lunedì 3 febbraio 2020

Mc 5,1-20: l'indemoniato di Gerasa

Epicoco:
Sarebbe interessante prendere dalla pagina del Vangelo di oggi il chiaro elenco di come il male si manifesta concretamente nella nostra vita. L’occasione è data dall’incontro che Gesù fa con l’indemoniato di Gerasa: “Egli aveva la sua dimora nei sepolcri e nessuno più riusciva a tenerlo legato neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva sempre spezzato le catene e infranto i ceppi, e nessuno più riusciva a domarlo. Continuamente, notte e giorno, tra i sepolcri e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre”. Quante volte la nostra vita sembra consumarsi nei sepolcri, e cioè sentendo che quello che viviamo sa di morte più che di vita. Non a caso usiamo parole del tipo: mi sento mortificato, sento la morte dentro, mi sembra come se non ci fosse più nulla d’interessante da vivere. Il male fa esattamente questo: ci fa vivere circondandoci dalla sensazione di morte. Il secondo sintomo del male è l’incapacità dei legami, delle relazioni: “nessuno più riusciva a tenerlo legato neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva sempre spezzato le catene e infranto i ceppi”. Senza legami, senza relazioni la nostra vita risulta alienata. Sono i legami che ci costringono a tenere i piedi per terra. Ma quando il male si affaccia dentro la nostra vita la prima cosa che fa è far ammalare le nostre relazioni. Se tu sei diviso dagli altri in realtà sei solo. E se sei solo sei vulnerabile, manovrabile, fragilissimo. Il terzo sintomo è essere noi stessi la mano che ci fa del male: “Continuamente, notte e giorno, tra i sepolcri e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre”. È una faccenda scandalosa che raramente accettiamo, e cioè che i primi responsabili della nostra sofferenza siamo noi stessi. Infatti molte volte creiamo da soli le condizioni per soffrire, e quando ci viene proposta una via d’uscita facciamo di tutto per non prenderla. Così da una parte gridiamo aiuto, ma dall’altra facciamo in modo che nessuno possa davvero aiutarci. Gesù è colui che ha il potere di liberarci da un male così.
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero all’altra riva del mare, nella regione dei Gerasèni.Come scese dalla barca, gli venne incontro dai sepolcri un uomo posseduto da uno spirito immondo.Egli aveva la sua dimora nei sepolcri e nessuno più riusciva a tenerlo legato neanche con catene,perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva sempre spezzato le catene e infranto i ceppi, e nessuno più riusciva a domarlo.Continuamente, notte e giorno, tra i sepolcri e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre.Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi,e urlando a gran voce disse: «Che hai tu in comune con me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!».Gli diceva infatti: «Esci, spirito immondo, da quest’uomo!».E gli domandò: «Come ti chiami?». «Mi chiamo Legione, gli rispose, perché siamo in molti».E prese a scongiurarlo con insistenza perché non lo cacciasse fuori da quella regione.Ora c’era là, sul monte, un numeroso branco di porci al pascolo.E gli spiriti lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi».Glielo permise. E gli spiriti immondi uscirono ed entrarono nei porci e il branco si precipitò dal burrone nel mare; erano circa duemila e affogarono uno dopo l’altro nel mare.I mandriani allora fuggirono, portarono la notizia in città e nella campagna e la gente si mosse a vedere che cosa fosse accaduto.Giunti che furono da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura.Quelli che avevano visto tutto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci.Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio.Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo pregava di permettergli di stare con lui.Non glielo permise, ma gli disse: «Và nella tua casa, dai tuoi, annunzia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ti ha usato».Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli ciò che Gesù gli aveva fatto, e tutti ne erano meravigliati. (Mc 5,1-20)

venerdì 7 aprile 2017

Dalla disobbedienza di Giona alla relazione con Dio. Il libro di Giona, di suor Pina Ester De Prisco

Fonte: http://www.gliscritti.it/blog/entry/4091

Il libro di Giona è letto dagli ebrei nel giorno di Yom Kippur - giorno dell’Espiazione -, è un libro molto piccolo, solo quattro capitoli, e il genere letterario è quello del racconto o della parabola; un libro ricco di ironia, che viene letto per istruire e per piacere.
Il nome “Giona” significa colomba, con un richiamo alla colomba che Noè manda in perlustrazione dopo la fine del diluvio per verificare se le acque si erano ritirate. Un richiamo alla colomba del Cantico dei Cantici, alla colomba del libro di Osea in cui è indicata come ingenua e priva di intelligenza e infine alla colomba immagine del popolo dei profeti.
La struttura del libro può aiutarci a cogliere vari passaggi presenti in esso.
Dividiamo il primo capitolo in due parti:

mercoledì 14 dicembre 2016

La sofferenza del Natale (Gianfranco Ravasi)

La nostra particolare lettura dei vangeli dal punto di vista della sofferenza non può non iniziare che dai cosiddetti "racconti dell'infanzia" di Gesù, da noi solitamente collegati al Natale.
«Triste, malinconico, amaro Natale, anche quest'anno sei giunto a noi... »: questo verso iniziale di una lirica di un poeta francese sembra essere a prima vista solo provocatorio. Il Natale è, infatti, la festa per eccellenza della gioia. Si accendono le luci nelle nostre città; le notti sono squarciate dai festoni delle stelle luminose e dalle più volgari insegne al neon; le vie sono percorse dal filo musicale delle zampogne e dei dischi natalizi; si pensa ai regali e a cene sontuose; la civiltà dei consumi ci bombarda con mille segnali pubblicitari. Il Natale è come una tregua annuale in cui trionfano i buoni sentimenti, gli auguri di felicità prevalgono sulle imprecazioni e si moltiplicano tenerezze per i bambini.
In realtà, se dovessimo più attentamente leggere le pagine natalizie dei vangeli, raccolte nei capitoli d'apertura di Matteo e di Luca, scopriremmo che la luce, la pace e la gioia della nascita di Cristo sono striate da tanti segni oscuri di dolore, di amarezza e di paura. D'altra parte è noto che nei cosiddetti "vangeli dell'infanzia", attraverso una fitta serie di allusioni, si vuole far balenare nel ritratto del bambino Gesù già il volto del Cristo crocifisso e risorto. È curioso notare che nelle icone dedicate al Natale la scuola pittorica russa di Novgorod (XV secolo) sempre raffigurato Gesù bambino in una culla che aveva la forma di un sepolcro di marmo. Sul Natale si proietta già l'ombra della croce.

giovedì 1 dicembre 2016

Brani di difficile interpretazione della Bibbia. Le PARABOLE

Fonte: http://www.gliscritti.it/blog/entry/3937

Riprendiamo e commentiamo da V. Fusco, Parabola/Parabole, in Rossano P.-Ravasi G.-Girlanda A. (a cura di), Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1988, alcuni brani che commentano il significato delle parabole. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri testi di difficile interpretazione della Bibbia vedi la sezione Brani di difficile interpretazione della Bibbia. Per ulteriori approfondimenti vedi la sezione Sacra Scrittura
Il Centro culturale Gli scritti (27/11/2016)

Gli studi di Vittorio Fusco si incentrano sul fatto che la parabola non è un racconto a sé stante che possa prescindere dalla presenza viva di Cristo. La parabola, invece, indirizza alla novità della presenza di Dio in Gesù. Fusco mostra come tale sottolineatura emerga, anche se in maniera non pienamente consapevole, fin dai primi studi moderni sulle parabole
«Lo studio moderno delle parabole prende avvio con la rimozione [della] confusione tra parabola e allegoria ad opera di Adolf Jülicher (1857-1938), il quale mise in luce il carattere tardivo di questi sviluppi allegorizzanti nei testi evangelici e riscoprì come specifico della parabola il meccanismo argomentativo.
La parabola utilizza una vicenda fittizia che in un primo momento dev'essere considerata soltanto in se stessa, nella sua logica interna, per farne scaturire una conclusione, una valutazione, da trasferire poi - nella sua globalità, non nei singoli dettagli narrativi – alla situazione reale che il parabolista aveva di mira sin dall’inizio.

mercoledì 30 novembre 2016

Brani di difficile interpretazione della Bibbia. Mt 18,20

«Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20): l’ecclesiologia di Matteo nella riflessione di Gérard Rossé. Breve nota di Andrea Lonardo



Il centro culturale Gli scritti (25/11/2009)

Nel saggio L’ecclesiologia di Matteo. Interpretazione di Mt 18,20 [1], G. Rossé riprende un suo precedente e più ponderoso studio - Gesù in mezzo. Matteo 18,20 nell’esegesi contemporanea, Città Nuova, Roma, 1972 - aggiornandolo a partire dalle ricerche di H. Frankemölle [2]. Quest’ultimo ha convincentemente sostenuto come l’ecclesiologia di Matteo non sia stata elaborata in polemica con il giudaismo, quanto piuttosto a partire da una positiva rilettura cristologica del “Dio con noi” della tradizione veterotestamentaria. Se l’AT affermava che Dio dimorava in mezzo al suo popolo, questa verità è, in Matteo, “attualizzata e cristologizzata come presenza di Gesù in mezzo alla sua comunità” (Rossé 1987, p. 12).

Così scrive G. Rossé [3]:

«Matteo ha saputo integrare la teologia dell’alleanza nella sua ecclesiologia [4]Gesù ormai realizza la presenza di Dio in mezzo al suo popolo; egli è il Dio-con-noi della comunità dei discepoli, chiamata però ad estendersi a tutte le nazioni (cfr. Mt 28,19ss).

martedì 29 novembre 2016

Avvento: tempo di sogni con Giuseppe (Mt 1,18-25)

Riprendiamo sul nostro sito un contributo preparato da suor Pina Ester De Prisco per il Sussidio del Centro Oratori Romani 2016/2017. I neretti sono nostri ed hanno l’unica finalità di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (29/11/2016)
Le prime luci dell’Avvento si accendono, riempiendo di attesa le nostre esistenze e Giuseppe si fa compagno di viaggio nel nostro indugiare dinanzi alla grotta di Betlemme, dove nascerà il Figlio di Dio.
Si fa sempre fatica a parlare di Giuseppe, perché nei vangeli si dice poco di lui, ma l’evangelista Matteo ne parla in ben due capitoli, e lo fa con la categoria dei sogni! I sogni, spesso, sono usati nella Scrittura per rivelare la volontà e la Parola di Dio.
Basti pensare alla figura anticotestamentaria del giovane Giuseppe, per comprendere che il tema del sogno non è avulso dalle pagine dell’Antico Testamento. Due sogni guidarono e condussero Giuseppe a diventare principe d’Egitto, passando attraverso un destino di sofferenza e tradimento, fino all’espropriazione dei suoi diritti di “figlio e fratello” (Gen 37,5-10). Sogni, dunque, grandi, ma tortuosi, ma potremmo anche dire tortuosi perché grandi!
Sono i sogni che appartengono anche alle nostre vite, alle nostre famiglie, sogni a cui non vogliamo rinunciare, e che teniamo custoditi nei nostri cuori, nella speranza che possano avverarsi, ma che devono conciliarsi con chi ci è accanto e soprattutto con i disegni di Dio. Sono sogni che attraversano il vaglio dell’evangelo, così come avviene per Giuseppe, lo sposo di Maria, e nel vangelo di Matteo sono riportati ben quattro sogni.

lunedì 28 novembre 2016

Perché Gesù parlava in parabole, di Andrea Lonardo


«Si avvicinarono a Gesù i discepoli e gli dissero: “Perché a loro parli con parabole?”. Egli rispose loro: “Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato”». «Gesù congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: “Spiegaci la parabola della zizzania nel campo”. Ed egli rispose…» (Mt 13,36-37).
Il testo evangelico mostra come le parabole non siano state raccontate da Gesù per venire incontro ai semplici, non sono state pensate per trovare un linguaggio più comprensibile utilizzando esempi della vita di tutti i giorni. Esse al contrario non possono essere capite da soli e richiedono spiegazioni: gli stessi apostoli le debbono approfondire.
La parabola del seminatore, come quella della zizzania, richiedono che si faccia un passo avanti per venire ad un contatto più diretto con Gesù. A lui bisogna chiedere del significato delle parabole.
Ed è questa la via per diventare discepoli del Signore: stare vicino a lui e chiedergli. Tanti ascoltano e si allontanano, senza che le parabole siano diventate per loro l’occasione per stare con il Signore.
Questo è il motivo per il quale Gesù parla in parabole. Egli è la presenza di Dio, è il regno ormai vicino, ma l’uomo deve rispondere con la propria libertà a questa venuta ed avvicinarsi.