sabato 28 dicembre 2013

Matteo 2, 13-15.19-23: Santa famiglia - Anno A

visualizzaI Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall'Egitto ho chiamato mio figlio». (...)

Leggevo proprio ieri l’intervista ad un noto attore italiano. Alla domanda “quanto conta per lei la famiglia” risponde: “Famiglia è una parola abusata, meglio dire rapporti di affetto”.
Meglio e più semplice: parlare di rapporti di affetto anziché di famiglia, permette di giustificare meglio la provvisorietà dei rapporti, l’incapacità di prendersi delle responsabilità a lunga scadenza, a sacrificare qualcosa di sé per garantire il bene degli altri…
Eppure ciascuno di noi ha, all’origine, un padre e una madre. La famiglia è il nucleo fondamentale della società, la famiglia è la realtà che Dio stesso ha voluto per suo figlio, la realtà che, secondo le parole di San Paolo, meglio esprime l’unità che, in Gesù Cristo, Dio vive nei confronti della Chiesa: un’unità che nasce dal dono della vita, da una dedizione d’amore che passa attraverso il servizio, il perdono, il prendersi cura…
All’interno della Santa Famiglia più volte durante l’anno si evidenzia il ruolo fondamentale di Maria e dunque della madre, ma il Vangelo ci presenta piuttosto il ruolo di Giuseppe, il ruolo paterno che guida e protegge, educa e si prende cura della propria famiglia.

giovedì 19 dicembre 2013

Matteo 1,18-24: IV Domenica di Avvento – Anno A

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Vedi anche: http://labibbiaelavita.blogspot.it/2011/08/matteo-118-24-giuseppe-assume-la.html

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. [...] Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.

Ermes Ronchi:

Prima che andassero a vivere insieme (passava un anno tra il matrimonio e la convivenza) Maria si trovò incinta. Sorpresa assoluta della creatura che arriva a concepire l'inconcepibile, il proprio Creatore. 
Qualcosa che però strazia il cuore di Giuseppe, che si sente tradito, con i progetti di vita andati in frantumi. E l'uomo giusto, entra in crisi: non volendo accusarla pubblicamente (denunciare Maria come adultera e farla lapidare) pensò di ripudiarla in segreto. Giuseppe non si dà pace, è innamorato, continua a pensare a lei, a sognarla di notte. Un conflitto emotivo e spirituale: da un lato l'osservanza della legge (l'obbligo di denunciare Maria) e dall'altro il suo amore. Ma basta che la corazza della legge venga appena scalfita dall'amore, che lo Spirito irrompe e agisce. Mentre stava considerando queste cose ecco che in sogno un angelo, che poi è Dio stesso, gli parla... Giuseppe, mani indurite dal lavoro e cuore intenerito e ferito, ci ricorda che l'uomo giusto ha gli stessi sogni di Dio.

sabato 14 dicembre 2013

MARIA nel Nuovo Testamento

Sguardo sintetico alla presenza di Maria nel Nuovo Testamento, da uno studio di Don Claudio Doglio, missionario del PIME di Genova - Nervi
 http://www.latheotokos.it/modules.php?name=News&file=article&sid=380

1. Maria nelle Lettere di Paolo

In tutto il suo epistolario solo una volta san Paolo fa riferimento alla madre di Gesù e quest'unica volta è un accenno indiretto. Nella Lettera ai Galati, mentre sta trattando il tema della giustizia di Dio donata agli uomini per grazia, affronta il serio rapporto fra la legge e la fede e cerca di chiarire la funzione di tali componenti. Per chiarire il suo argomentare teologico, Paolo fa un esempio concreto: paragona la legge ad un pedagogo, un maestro incaricato di seguire ed educare una persona finché non raggiunga la maggiore età. Così, egli dice, il periodo dell'antica alleanza corrisponde a questa fase della minore età e c'era bisogno della legge come di un pedagogo. Ma ora, aggiunge, è successo qualcosa di nuovo, di profondamente innovatore: è giunta la pienezza del tempo e Dio è entrato direttamente nel nostro mondo e nella nostra vita.
"Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio,
(a) nato da donna,
(b) nato sotto la legge,
(b') per riscattare coloro che erano sotto la legge
(a') perché ricevessimo l'adozione a figli" (Gal 4,4-5).
La novità di Gesù Cristo consiste proprio nella partecipazione alla nostra condizione umana, rendendo noi uomini capaci di partecipare alla condizione divina. Dio si è fatto come noi, per farci come lui. Dio si è fatto figlio dell'uomo, perché l'uomo diventi figlio di Dio; Dio si è sottomesso alla legge di Mosè, perché l'umanità intera sia liberata dalla legge del peccato e della morte. In questo sintetico quadro di teologia della redenzione, l'Apostolo fa riferimento alla nascita di Gesù da una "donna": evidentemente si tratta di Maria, ma egli non la nomina; la ricorda per sottolineare la partecipazione completa alla nostra situazione di uomini che nascono da donna. Paolo vuol dire: è diventato uno di noi, proprio come noi.
Inoltre, con buona probabilità, l'espressione paolina fa riferimento ad una formula presente nel libro di Giobbe, che serve per evidenziare la debole fragilità ed inconsistenza della creatura umana. Diceva infatti l'antico poeta: "L'uomo, nato di donna, breve di giorni e sazio di inquietudine, come un fiore spunta ed avvizzisce, fugge come l'ombra e mai si ferma" (Gb 14,1-2). Dio ha condiviso in Gesù questa fragilità umana; il ruolo di Maria è stato quello di offrirgli la debolezza della carne, perché egli potesse renderla forte con il dono dello Spirito.

venerdì 13 dicembre 2013

Matteo 11,2-11: III Domenica di Avvento-Anno A

Vedi anche: http://labibbiaelavita.blogspot.it/2011/08/matteo-112-11-domanda-di-giovanni.html

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In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» (...) 

“Il male è potente…ma il bene è onnipotente”

La III domenica di Avvento ci invita alla gioia, alla speranza, alla perseveranza. Ma ci presenta Giovanni Battista che, incarcerato e minacciato di morte, dubita: “sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”.
Il male è talmente potente da azzittire ogni voce che, come quella di Giovanni, lascia che Dio parli e, con la sua parola, metta in crisi, denunci, critichi. Giovanni dubita: si è sbagliato? Si era solo illuso? Perché nel mondo non cambia niente se il Messia annunciato e atteso è finalmente arrivato?
Quanti dubbi anche nella nostra vita di fede: se Gesù è il figlio di Dio e si è incarnato in mezzo a noi, perché non ha sconfitto il male? Perché tanti innocenti continuano a soffrire? Perché il male anche oggi sembra prevalere e rinchiudere e azzittire il bene?
Se il male è potente (e potente il suo “marketing” pubblicitario che amplifica con efficacia i suoi successi), il bene è onnipotente, ma nell’amore: ama e per amore lascia liberi gli altri, ama senza cercare pubblicità, senza voler apparire. Per questo sembra agire con debolezza, con piccoli segni che vanno compresi e decifrati.
Gesù ai discepoli inviati da Giovanni risponde mostrando come la profezia di Isaia trovi in lui compimento: con l’avvento del Messia i “ciechi vedono, i muti parlano, gli zoppi saltano di gioia…”.

giovedì 12 dicembre 2013

Col 1,24: l'umano soffrire (Manicardi)

Da “Luciano Manicardi,  L’umano soffrire, ed. Qiqajon
Sintesi a cura di don Luciano Pascucci

E’ difficile portare uno sguardo spirituale sulla sofferenza che sia equilibrato dal punto di vista umano ed evangelico. La storia della spiritualità cristiana ci mostra affermazioni e giudizi che rappresentano esempi di deviazioni in senso coloristico che non hanno nulla a che fare con lo spirito del vangelo, della vita e della predicazione di Gesù, e che non sono nemmeno conformi a una visione autenticamente umana della malattia e della sofferenza. E che anche dal punto di vista teologico sono discutibili o addirittura aberranti.
E’ il caso della Lettera ai Colossesi 1,24, normalmente tradotto: “Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la chiesa”.
Questa traduzione sembra implicare l’idea che la passione di Cristo sia incompleta e insufficiente, che essa abbia bisogno delle sofferenze di Paolo (e dunque dei credenti) per essere condotta a pienezza, e dunque che le sofferenze dei credenti abbiano un valore redentivo.
In realtà se ci si attiene scrupolosamente al testo greco, rispettando l’ordine sintattico della frase, la traduzione del versetto deve suonare così: “Io trovo la mia gioia nelle (mie) sofferenze per voi e completo ciò che manca alle tribolazioni di Cristo nella mia carne, per il suo corpo, che è la chiesa”.
Non la passione di Cristo è insufficiente per la salvezza; non è a essa che manca qualcosa; non è neppure che questo qualcosa possa esservi portato da Paolo o dai credenti, ma è alla partecipazione dell’Apostolo e dei credenti alle sofferenze di Cristo che manca ancora qualcosa. Non la passione di Cristo è deficitaria, ma è “nella mia carne”, cioè alla “mia povera persona umana”, che manca qualcosa alla pienezza di partecipazione alle tribolazioni di Cristo.

 Offrire a Dio la sofferenza?

mercoledì 11 dicembre 2013

LA SACRALITÀ DELL’ACCOGLIENZA NELLA BIBBIA (Maggioni)

Vedi anche: http://www.credereoggi.it/upload/2006/articolo154_19.asp
«Il Signore protegge lo straniero» (SAL 146,9). Riflessioni di teologia biblica

Rev. Mons. Bruno MAGGIONI
Docente della Facoltà Teologica
 dell’Italia Settentrionale


Nel deserto l’ospitalità è una necessità per sopravvivere, e tutti ne hanno diritto da parte di tutti. Se colui che ospita e colui che è ospitato sono nemici, l’accettazione dell’ospitalità implica una riconciliazione. L’ospite è sacro e deve essere protetto da ogni pericolo. Il viaggiatore, che giungeva in un paese non conosciuto, sedeva sulla piazza del mercato finché uno dei cittadini non lo invitava a casa sua. Sin qui, si può dire, forse un po’ generalizzando, era il costume del tempo. Ma nella concezione biblica c’è molto di più. 
Racconti di ospitalità
La Bibbia parla raccontando. E a proposito dell’ospitalità ci sono racconti particolarmente illuminanti. Ne scegliamo tre.
1 – Abramo e i tre visitatori (Gn 18,1-10).

venerdì 6 dicembre 2013

Luca 1, 26-38: Immacolata Concezione

visualizzaIn quel tempo, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te» (...)

La SOLENNITA’ dell’IMMACOLATA prevale sulla II domenica di Avvento, ma Maria, festeggiata come colei che è nata immacolata, non prevale, ne vorrebbe prevalere rispetto al figlio che viene e che è nato in mezzo a noi. E’ piuttosto la prima TESTIMONE capace di indicarci come prepararci alla venuta del Signore.
A lei si affiancheranno, nelle prossime domeniche, il Battista e San Giuseppe, altri grandi testimoni che hanno avuto un ruolo di primo piano nell’avvento del Signore.
Torniamo a MARIA e a quanto, l’8 dicembre 1854, è stato definito in maniera solenne con il DOGMA dell’Immacolata Concezione: Maria è nata con un privilegio particolare concessogli dal Signore che ha così voluto prepararsi una degna dimora in cui far nascere il Figlio. Dio l’ha riempita della sua GRAZIA, ovvero della sua presenza, dei suoi doni. Per questo l’ha esentata dal peccato originale immergendola da subito nella realtà divina, così come noi siamo stati immersi in Lui nel Battesimo.

giovedì 28 novembre 2013

Matteo 24,37-44: I Domenica di Avvento (anno A)

visualizzaIn quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «[...] Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell'ora che non immaginate, viene il Figlio dell'uomo».

L’Avvento ci offre la grazia di un NUOVO INIZIO, la possibilità di RICOMINCIARE (bene e meglio, almeno all’inizio!), nel segno della PACE (1L).
L’Avvento ci invita a GUARDARE AL FUTURO, al FINE (oltre che a la fine) della storia: non siamo padroni del tempo, ma padroni di dargli un senso.
-         Non possiamo accontentarci di mangiare e bere, prendere moglie o marito. Che male c’è? Nessuno! Ma sarebbe come accontentarci di beccare il cibo come le galline, senza vivere, ma pensando solo a sopravvivere, senza cercare e scoprire il senso della vita, senza cogliere i segni del tempo. Viviamo spesso nella superficialità, senza saper vedere il mistero della vita che è sempre oltre noi, le innumerevoli cose belle della vita.
-         In una recente intervista la comica Anna Marchesini, affetta da una malattia grave, ha affermato in maniera toccante: - Io vi garantisco – ve lo giuro – che sono così interessata, appiccicata, morbosamente ghiotta e obesa di vita… sono così interessata alla vita che mi interessa anche la morte, che di essa è il finale. E non è detto!
-        

giovedì 21 novembre 2013

Luca 23, 35-43: XXXIV Domenica Tempo ordinario - Anno C

visualizzaIn quel tempo il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l'eletto». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L'altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? (...) E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso». 

Gesù è Signore dell’universo: principio e fine di ogni cosa, è Re di “diritto divino”. Ma che tipo di re è Gesù?
Nel nostro immaginario il Re è una persona che ha un Regno e un popolo su cui esercita il suo potere, spesso in maniera dispotica e lunatica. Una persona ricchissima che ha una corte al suo servizio. Ha un esercito pronto a difenderlo a costo della loro vita…
Gesù è Re di un Regno spirituale che ha inaugurato qui in terra e affidato a ciascuno dei suoi discepoli, ha un popolo su cui esercita il potere dell’amore, del servizio.
Gesù era scappato di fronte alla folla entusiasta del miracolo del pane, pronta a proclamarlo loro re. Non esita a riconoscersi re (“ma non di questo mondo”) di fronte a Pilato, nel momento della Passione, della derisione.
“Come in cielo, così in terra”: in cielo regnare significa amare, e Gesù è Re dell’universo, di ogni realtà vivente, perché è capace di amare tutti, anche i propri nemici, anche coloro che lo mettono in croce.
Noi siamo re, sovrani e signori della nostra vita, nel momento in cui siamo liberi, capaci di spenderla per qualcosa e qualcuno per cui valga la pena vivere e dunque anche morire.

giovedì 14 novembre 2013

Luca 21, 5-19: XXXIII Domenica Tempo ordinario – Anno C

visualizzaXXXIII Domenica Tempo ordinario – Anno C(...) «Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere» (...)

Il TEMPIO
Sapete cosa è rimasto del grandioso Tempio di Gerusalemme? Sono un MURO, detto del pianto. Ai tempi di Gesù il Tempio, dopo decenni di lavori, era da poco terminato ed era nel suo massimo splendore. Tanti rimanevano, come turisti, ad ammirarlo.
Gesù profetizza la fine del Tempio: quello materiale (nel 70 d.C.), ma anche quello spirituale: con Gesù è il suo CORPO, la Chiesa, il nuovo tempio dove Dio si rende presente. E’ là dove due o più sono uniti nel suo nome e celebrano il nuovo e unico sacrificio gradito a Dio.

QUANDO? (“A che ora è la fine del mondo?”)
E’ sottointeso anche il discorso sulla FINE DEL MONDO. Gesù ci dice che essa avverrà, ma non come DISTRUZIONE di ogni cosa, bensì come INIZIO di un mondo nuovo (S.Agostino: “Non è il mondo che sta morendo, ma un nuovo mondo che sta nascendo”). Il mondo così come noi lo conosciamo (come, ovviamente, la nostra vita terrena) è destinato a finire.
Ciò che sta a cuore a Gesù è però:
-          di non lasciarsi ingannare;
-          di non lasciarsi prendere dal terrore;
-          di assicurarci il suo sostegno e la protezione di Dio Padre.
“Nessuno vi inganni”: molti sono venuti e verranno annunciando la fine del mondo (anche all’interno della Chiesa), faranno leva su EVENTI CATASTROFICI che mai sono mancati e, purtroppo, mai mancheranno:
-          guerre, terremoti, carestie e pestilenze;
-          soprattutto il fatto che vi perseguiteranno.

giovedì 7 novembre 2013

Enzo Bianchi: Dio è violento?


Uno dei motivi dello scetticismo odierno nei confronti dell'esperienza religiosa ebraico-cristiana è il persistere dell'immagine di un Dio che è a immagine e somiglianza dell'uomo nei suoi tratti peggiori: violento, iroso, geloso, che gode per lo sterminio dei nemici ed esige addirittura il sacrificio del proprio stesso figlio, come se fosse il pagamento di un debito, in cambio della salvezza degli uomini. L'interiorizzazione di questo volto di Dio è diffusa anche fra persone con un elevato livello d'istruzione. E' un fatto che dipende da vari fattori: un'eredità culturale del cristianesimo del passato, il sedimentarsi di alcuni pregiudizi anti-cristiani che sono una radicalizzazione dell'illuminismo, l'uso ambiguo nel contesto delle chiese cristiane di un linguaggio biblico e dottrinale che va adeguatamente compreso.
La questione del Dio violento richiede di essere presa di petto, mentre il più delle volte passa sotto un silenzio che in realtà non aiuta l'educazione alla fede. Non è evitando di affrontare un tema scomodo che lo si risolve; anzi, in tal modo si impedisce il progresso dei cristiani nella vita interiore e si consente il tramandarsi di rappresentazioni distorte del cristianesimo.
Il priore di Bose Enzo Bianchi si è misurato con la violenza di Dio e della religione cristiana in due recenti pubblicazioni che vale la pena di considerare assieme.
La violenza e Dio è un volumetto pubblicato da Vita e Pensiero in cui vengono trattati i cosiddetti "salmi imprecatori", che sono quelle parole contro i nemici, anche molto dure, contenute nel libro di preghiere della Bibbia, testo che costituisce la norma e la principale fonte a cui attingere per la preghiera dei cristiani (si pensi alla liturgia delle ore). In questi testi leggiamo di odio per i nemici, s chiede a Dio di colpirli, si proclama beato chi sfracella le teste dei loro figli contro la roccia, si esorta a bagnare i piedi nel loro sangue... Sono espressioni che paiono inconciliabili con l'insegnamento e la prassi di Gesù, tanto da eliminarle dalla liturgia.

sabato 2 novembre 2013

Luca 19,1-10: XXXI Domenica Tempo ordinario - Anno C

visualizza(...) Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto» (...).

Zaccheo è un farabutto, un ladro dalla piccola statura, ma dalle ampie tasche. Un ometto che si approfitta del potere dei romani, gli invasori odiosi che hanno occupato il suo paese, per riscuotere a loro nome le tasse e aggiungervi una buona quota per lui.
Zaccheo però è uno curioso che non teme di fare una figuraccia davanti agli altri salendo su un albero per superare la folla e guardare negli occhi questo uomo, Gesù, di cui si parla tanto.
E Gesù passa nella nostra città, anche oggi, l’attraversa e guarda negli occhi di chi lo cerca, di chi si sforza di incontrarlo.
Lui ci precede (ci “primerìa” dice il Papa) e ci viene incontro, cerca la pecorella smarrita, non disdegna il cuore indurito di un ladro che, probabilmente, non è fiero della sua vita, ma non ha il coraggio di cambiarla, è imprigionato nel proprio ruolo.
Sempre citando il Papa, Gesù è uno che và nelle periferie esistenziali, che si muove cercando che si è allontanato, chi si è perduto.
Conosce il suo nome e si autoinvita ad andare a casa sua: è coraggioso Gesù, non teme rifiuti, non teme di essere invadente, non teme il giudizio degli altri. Fa il primo passo. Non attende di essere invitato, ma sa guardare negli occhi il desiderio dell’altro di cambiare vita, di incontrarlo.
La folla, la gente, la società, la cultura spesso diventa un ostacolo che ci impedisce di vedere Gesù che passa.

venerdì 25 ottobre 2013

Luca 18,9-14: XXX Domenica Tempo ordinario - Anno C: Il fariseo e il pubblicano

visualizza(...) «Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo» (...).

Sulla PREGHIERA: com’è la nostra vita di preghiera? Cosa ci insegna questa parabola?
1-     Non QUANTITA’, ma QUALITA’: non dipende da QUANTE preghiere faccio, ma da COME mi pongo in rapporto con Dio.
2-    Non DISPREZZO, ma GRATITUDINE: se riconosciamo di avere qualcosa di buono, lo dobbiamo a Dio e deve diventare motivo di gratitudine, non certo di superbo disprezzo verso chi non ha le stesse qualità (ma ne ha altre ed è ugualmente amato da Dio, come figlio). Una preghiera che contiene disprezzo non solo è vuota, ma dannosa!
3-    Non SUPERBIA, ma UMILTA’: non dobbiamo sminuire i doni che Dio ci fa (“non valgo niente”), ma ricordarci anche dei nostri limiti e peccati, del bisogno di Dio e degli altri, del bisogno di lasciarci purificare e aiutare da Dio. Il superbo è colui che si crede talmente grande da non sentire il bisogno di Dio e degli altri. L’umile è colui che avendo i piedi per terra (= humus), è consapevole dei propri pregi e dei propri limiti. Sa di non poter far nulla senza Dio.
4-    Non IO, ma TU: la preghiera del fariseo è incentrata sull’IO: “IO digiuno, IO pago le decime, IO non sono…”. Inizia bene (“O Dio, ti ringrazio..”), ma poi svuota di ogni significato la sua preghiera. Al posto di Dio in realtà c’è se stesso, come davanti ad uno specchio, come Narciso. Il pubblicano invece, nel suo peccato, esprime una preghiera autentica (“abbi pietà di me peccatore”) che lo apre ad un TU che lo trasforma, lo rende giusto. Se metti al centro l'io, nessuna relazione funziona. Non nella coppia, non con gli amici, non con Dio. Il cristiano è una persona che sbaglia, ma che desidera e prova sempre a fare di meglio, a lasciarsi aiutare e cambiare da Dio.

E Dio esaudisce sempre: non i nostri desideri (come Aladino), ma le sue promesse di bene: Dio è GIUSTO (vedi la prima lettura) e GIUSTIFICA (= rende giusto) colui che si affida a Lui con umiltà e sincerità, con AMORE verso il prossimo (“la sua preghiera arriva fino alle nubi”), con POVERTA’ (“la preghiera del povero attraversa le nubi”).
Ermes Ronchi: Gesù, rivolgendosi a chi si sente a posto e disprezza gli altri, mostra che non si può pregare e disprezzare, adorare Dio e umiliare i suoi figli, come fa il fariseo. Pregare può diventare in questo caso perfino pericoloso: puoi tornare a casa tua con un peccato in più.

venerdì 18 ottobre 2013

Luca 18, 1-8: XXIX Domenica Tempo ordinario - Anno C

visualizza(...) «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po' di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”» (...).
Ermes Ronchi:
Disse una parabola sulla necessità di pregare sempre senza stancarsi mai. Il pericolo che minaccia la preghiera è quello della stanchezza: qualche volta, spesso pregare stanca, anche Dio può stancare. È la stanchezza di scommettere sempre sull'invisibile, del grido che non ha risposta, quella che avrebbe potuto fiaccare la vedova della parabola, alla quale lei non cede.
Gesù ha una predilezione particolare per le donne sole che rappresentano l'intera categoria biblica dei senza difesa, vedove orfani poveri, i suoi prediletti, che egli prende in carico e ne fa il collaudo, il laboratorio di un mondo nuovo. Così di questa donna sola: c'era un giudice corrotto in una città, una vedova si recava ogni giorno da lui e gli chiedeva: fammi giustizia contro il mio avversario! Che bella figura, forte e dignitosa, che nessuna sconfitta abbatte, fragile e indomita, maestra di preghiera: ogni giorno bussa a quella porta chiusa. Come lei, anche noi: quante preghiere sono volate via senza portare una risposta! Ma allora, Dio esaudisce o no le nostre preghiere? «Dio esaudisce sempre: non le nostre richieste, le sue promesse» (Bonhoeffer). E il Vangelo ne trabocca: sono venuto perché abbiate la vita in pienezza, non vi lascerò orfani, sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del tempo, il Padre sa di cosa avete bisogno.

giovedì 10 ottobre 2013

Luca 17,11-19: XXVIII Domenica Tempo ordinario - Anno C

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(...) Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?» (...).

Cosa ci insegnano i 10 lebbrosi del Vangelo?
1-     A RICONOSCERE LA NOSTRA LEBBRA (e il nostro bisogno di essere guariti)
La LEBBRA è la terribile malattia quasi debellata nei paesi occidentali, ma presente in molti paesi del terzo mondo. Essendo CONTAGIOSA comporta l’esclusione dal tessuto sociale. La “nostra” lebbra è il PECCATO che è contagioso e per sua natura ci porta a dividerci e isolarci da Dio e dagli altri.
2-     A RICONOSCERE LA PRESENZA DEL SIGNORE CHE PASSA NELLA NOSTRA VITA
3-     AD AVERE FEDE IN DIO, in Gesù il Cristo:
credendo che sia in grado di risanarci;
Invocando il suo aiuto (preghiera fiduciosa e corale: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi”);
credendo alla sua Parola aldilà delle apparenze: ricevono una indicazione (“andate al Tempio, dal sacerdote” perché venga riconosciuta ufficialmente la loro guarigione e possano essere riammessi nella società) senza certezze, senza che nulla sia cambiato: si mettono in cammino fidandosi della sua parola;
è nel CAMMINO che vengono RISANATI: se si è FERMI e INCREDULI non può avvenire alcuna guarigione.

sabato 5 ottobre 2013

Luca 17, 5-10: XXVII Domenica Tempo ordinario - Anno C

visualizza   In quel tempo, gli Apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe. Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

-          “Fino a quando, Signore?” (1° lettura)
La nostra fede è messa a dura prova da situazioni di difficoltà nelle quali il Signore sembra assente, indifferente. Dallo scandalo del male di fronte al quale Dio sembra restare come spettatore impotente o distratto.
Al profeta Abacuc che rimprovera Dio (anche questa è preghiera!) il Signore risponde invitandolo ad avere SPERANZA: il male ha un termine, c’è in Dio un progetto d’amore che, con il tuo contributo, cresce e matura.

-          “Accresci in noi la fede!” (Vangelo)
Ma la speranza richiede fede! C’è bisogno di una grande fede per perseverare di fronte alle difficoltà della vita, di fronte allo scandalo del male. Chi di noi non ha, come gli apostoli, chiesto al Signore: “aumenta la mia fede”?
  • Gesù non esaudisce la richiesta: la fede è donata a tutti, ma spetta a ciascuno di noi ACCOGLIERLA. La FEDE è la libera risposta dell’uomo al corteggiamento di Dio: nell’amore, nel suo amore, non può imporci di corrispondere, non può aumentare la nostra disponibilità ad accogliere il suo amore: spetta a noi e solo a noi!
  • Non si tratta di QUANTITA’, ma di QUALITA’: è sufficiente una quantità quasi nulla per compiere miracoli. La fede è per sua natura “piccola”, invisibile, fragile, ma capace di grandi cose. Come del resto siamo noi: piccoli, fragili, ma capaci, in Dio, di fare miracoli.

sabato 28 settembre 2013

Luca 16, 19-31: XXVI domenica Tempo ordinario - Anno C

visualizzaNon è ovviamente un caso che, nella parabola, ad avere un nome proprio è solo il povero Lazzaro, mentre il ricco viene tutt’al più ricordato come un “epulone”, cioè un gaudente, una persona che amava godere delle sue ricchezze.

E che male c’è? Di per sé il ricco non è descritto come un malvagio. Non ha fatto del male a nessuno, ma non ha neanche fatto del bene.

E’ stato INDIFFERENTE: tra lui e il povero Lazzaro c’era un ABISSO in terra e tale rimane anche in cielo. Come a dire: noi costruiamo in terra il nostro futuro: la mancanza di amore del ricco diventa l’arida mancanza che vive in cielo.

“Guai agli spensierati” dice il profeta Amos (I L) “che mangiano, canterellano, bevono…”, non fanno niente di male se non disinteressarsi della rovina del loro popolo che sfocerà nel dramma della deportazione che mette fine all’ “orgia dei dissoluti”.. Non si sono preoccupati…ora la rovina del loro paese li trascina nella disperazione.

giovedì 26 settembre 2013

Luca 16, 19-31: Lazzaro e il ricco (Ancel)

Abbiamo già meditato sul testo di s. Luca (cap. 16), dove si parla di Lazzaro e del ricco. Penso che abbiate no­tato un elemento che mi sembra molto importante: l’inco­scienza di questo ricco. Pensava di non fare niente di male: vestiva di porpora e di bisso e ogni giorno teneva splendidi banchetti. Nessun peccato, è vero. Avere splendidi vestiti è bene; mangiare bene non è peccato. Certamente questo ricco non sembra aver coscienza di essersi dimenticato dei poveri.
Il ricco, in un tardivo ravvedimento, domanda ad Abra­mo di mandare Lazzaro alla casa di suo padre per illuminare i suoi cinque fratelli sulla sua condizione di tormento, per­ché non vi cadano anch’essi. La gente per lo più è inco­sciente, non fa attenzione ai poveri, a tutti i “lazzari” del mondo, non sente rimorsi, ha una grande pace interiore, perché dice a se stessa: “Non ho fatto male a nessuno”. E i poveri muoiono di fame.
Quanta gente, prima di fare una spesa, si domanda: “Ci sono poveri nel mondo: ho il diritto di fare questa spe­sa?”. Di solito quando uno ha del denaro fa le spese che vuole. “Il denaro è mio! ” — pensa. Mio? No! Perché quan­do uno si trova in estrema necessità, non c’è più differenza tra mio e tuo. Il dramma del mondo di oggi sta nel fatto che ci sono i poveri e la gente vive tranquilla.
Dobbiamo essere disponibili allo Spirito santo.
Avete letto la risposta di Abramo nella parabola del ricco Epulone: “Hanno Mosè e i profeti”; come se oggi dicessi­mo: “Hanno il vangelo e i sacerdoti”. Ebbene: e noi che abbiamo fatto? Un giorno, in Brasile, un sacerdote mi di­ceva: “I ricchi in passato li abbiamo utilizzati per avere denaro, ora li insultiamo, ma non abbiamo mai pensato a evangelizzarli. Quando saremo davanti a Dio ci verrà chie­sta ragione di tutti questi ricchi che non abbiamo evangeliz­zato”.
 da Mons. Alfred Ancel, Evangelizzare i poveri
 http://nuke.pradoitaliano.it/LinkClick.aspx?fileticket=tMMI3Qyn784%3D&tabid=63&mid=399.

venerdì 20 settembre 2013

Luca 16, 10-13: XXV Domenica Tempo ordinario - Anno C

visualizza(...) Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne».
1. SIAMO TUTTI AMMINISTRATORI DEI BENI DI DIO

Quanto possediamo non è nostro, ma di Dio. E' affidato a noi da un Padrone che ci chiede di farlo fruttificare amministrandolo per il BENE COMUNE, per condividerlo con chi è privo del necessario. Questa è la concezione cristiana della RICCHEZZA: come ogni strumento, i beni materiali non sono buoni nè cattivi, ma neutri. Buono o cattivo è l'USO che se fa: se non è posto al servizio degli altri, le ricchezze divengono facilmente un PADRONE assoluto (che prende il posto di Dio), un padrone assetato di sempre maggiori ricchezze.

2. SE SIETE AMMINISTRATORI DISONESTI, SIATE ALMENO SCALTRI

venerdì 13 settembre 2013

Luca 15, 1-32: XXIV Domenica Tempo ordinario - Anno C

visualizzaIn quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l'ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. (...)
1. DIO CONTINUA AD ESSERE PADRE ANCHE DI CHI NON SI SENTE FIGLIO
Dio non esclude nessuno dal suo amore di Padre. E' il peccato che ci allontana da Dio, ma Dio mai si allontana da noi. Il peccato fa sentire Dio distante, indifferente, freddo, ma è la nostra percezione di Dio che cambia e si deforma: Dio continua a volerci bene e a desiderare che "torniamo in noi" (come il Figliol prodigo della parabola, quando tocca il fondo della sua fuga) per tornare a Lui.
Non solo: Dio non è solo come un Padre che attende con ansia quel momento, ma è come un PASTORE che lascia tutto il gregge per cercare chi si è perso, o come una DONNA che non si da pace finchè non ritrova la sua moneta perduta.
La GIOIA DI DIO sta nel ritrovare chi si era perduto, nel poterlo riabbracciare, ridonandogli la dignità perduta di figlio amato.

2. GESU' ACCOGLIE I PECCATORI E MANGIA CON LORO
"Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io" (S.Paolo nella II lettura): è venuto per me, è venuto principalmente per chiunque abbia perso la gioia di sentire e sapere che Dio gli è vicino, lo ama, è dalla sua parte.

giovedì 5 settembre 2013

Luca 14, 25-33 XXIII Domenica Tempo ordinario - Anno C

visualizza(...) «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. (...) Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo». 


Vivere da cristiani, seguire l'esempio di Gesù, significa andare controcorrente, impegnarci in una esigente lotta spirituale. Per questo Gesù è così duro. Non offre facili illusioni, immediati piaceri a basso costo...

- "SE...": prima di approfondire le condizioni della sequela ci invita a domandarci seriamente: vogliamo seguirlo? Averlo come MAESTRO di vita? Se è così allora:

1- DEVO METTERLO AL PRIMO POSTO, prima ancora dei legami familiari. E non per manie di protagonismo, ma perchè è Lui che ci insegna ad amare veramente coloro che ci mette accanto: non c'è competizione. C'è piuttosto il rischio di amare me negli altri, di cercare il mio tornaconto mascherandolo con amore per gli altri. O di fare di un legame affettivo un LEGACCIO che schiavizza me e gli altri.

2- DEVO ACCETTARE LA CROCE: devo mettere in conto che ci saranno difficoltà, che la vita ha un suo peso che vale la pena di sostenere, che non devo fuggire o lasciarmi schiacciare da tale peso.

3- DEVO EVITARE DI FARE AFFIDAMENTO AI BENI MATERIALI: perchè se faccio i calcoli sulle mie risorse faccio ben poco, rischio quantomeno di vedere INCOMPIUTI i miei progetti o di CAPITOLARE di fronte agli avversari e alle avversità.
Se faccio conto su Dio (distaccandomi - spesso anche materialmente- dai miei beni), se faccio conto sul suo aiuto, sulle sue forze ("nulla è impossibile a Dio") allora porterò a termine, cioè a buon fine, la mia vita, lasciando che Lui ne faccia un capolavoro che mai avrei immaginato di poter essere. Allora potrò trovarmi di fronte ad ogni forza avversaria e rimanere saldo, vincente.

Due annotazioni finali:

lunedì 26 agosto 2013

PADRE NOSTRO (Mt 6,9-13)

PADRE NOSTRO (Mt 6,9-13)[1]
Compendio di tutto il Vangelo, esempio di preghiera comunitaria (è tutta riferita alla prima persona plurale), non ostentata, semplice, essenziale, costituita da un’invocazione cui seguono 7 richieste (5 nella versione di Luca): 3 riguardanti Dio, 4 riguardanti gli uomini.
Padre nostro
La novità è costituita dall’invocazione iniziale: “Padre nostro”. Anche l’A.T. conosce questa invocazione, ma è rivolta al creatore, non tanto al Papà celeste cui affidarci come bambini. Gesù ci invita innanzitutto ad avere con Dio una confidenza filiale spontanea e intima e ad avere questa dimensione di famiglia universale che si rivolge insieme allo stesso Padre, senza mai dimenticarsi degli altri, suoi fratelli[2].
Siamo amati da Dio, nostro Padre, ma siamo invitati ad accogliere e a corrispondere a tale amore, in modo da avere un rapporto da figli. Dio è un Padre che conosce i suoi figli ed è attento ai loro bisogni, pronto a rispondere alle loro domande di cose buone. I figli non devono dunque essere preoccupati, ansiosi.
E’ un Padre che non fa distinzione tra i figli buoni e i malvagi; è un Padre che ama il figlio anche nel suo peccato, senza esigere da lui alcuna reciprocità; è un Padre che ama gli ultimi, i poveri, i piccoli, e ad essi vuol donare il suo Regno.
Affermando che Dio è Padre, diciamo anche che la l’origine della nostra esistenza è in lui: confessiamo di essere stati voluti, pensati, amati e chiamati alla vita da lui.
Che sei nei cieli
Dio è un padre celeste, non terreno! In questo modo il cielo ricorda l’alterità, la santità di Dio, ma resta vicino agli uomini, fino a stringere con loro alleanza, fino ad essere Sposo di un’umanità sua sposa.
1. Sia santificato il tuo nome

venerdì 23 agosto 2013

Il Padre nostro (Mt 6,9) commentato da Enzo Bianchi

La preghiera del Signore si apre con il vocativo “Padre” (Lc 11,2) o “Padre nostro” (Mt 6,9), in un modo diretto, carico di tenerezza. Questo termine appare a Gesù il più appropriato per rivolgersi a Dio, e i vangeli ci testimoniano che lui stesso nella sua lingua aramaica lo chiama: “Abba” (Mc 14,36), Papà amato! Facendo propria la semplicità di cuore tipica dei bambini, Gesù prega Dio con piena confidenza, con un affetto naturale e spontaneo.
Questo grido di Gesù deve essere risuonato con tale frequenza nelle prime comunità cristiane che anche i credenti di lingua greca lo utilizzano. Ce lo testimonia l’Apostolo Paolo, scrivendo a cristiani provenienti dal paganesimo: “Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno Spirito di figli, per mezzo del quale gridiamo: ‘Abba, Padre!’” (Rm 8,15); “Che voi siete figli lo prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: ‘Abba, Padre!’” (Gal 4,6). Insomma, i primi cristiani si rivolgono a Dio in modo franco e confidente, senza moltiplicare le parole, perché sanno che così ha fatto Gesù, loro fratello.

giovedì 4 luglio 2013

Luca 10,1-12.17-20: XIV Domenica Tempo Ordinario-Anno C

Tempera su tavola - Maestà, SienaIn quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada (...) Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”»(...).
Enzo Bianchi: http://www.monasterodibose.it/content/view/3610/47/lang,it/

Ermes Ronchi: La messe è abbondante, ma sono pochi quelli che vi lavorano. Gesù insegna uno sguardo nuovo per muoverci nel mondo: la terra matura continuamente spighe di buonissimo grano. Insegna un modo nuovo di guardare l'umanità: la vede come un campo traboccante di un'abbondanza di frutti.
Noi abbiamo sempre interpretato questo brano come un lamento sul tanto lavoro da fare e sulla scarsità di vocazioni sacerdotali o religiose. Ma Gesù dice qualcosa di molto più importante: il mondo è buono. C'è tanto bene sulla terra. Sa che il padre suo ha seminato bene nei cuori degli uomini: molti di essi vivono una vita buona, tanti cuori inquieti cercano solo un piccolo spiraglio per aprirsi verso la luce, tanti dolori solitari attendono una carezza per sbocciare alla fiducia.
Gesù manda discepoli, ma non a lamentarsi, come facciamo noi, di un mondo lontano da Dio, ma ad annunciare un capovolgimento: il Regno di Dio si è fatto vicino, Dio è vicino, vicino alla tua casa... Mai è stato così vicino! Viviamo oggi un momento epocale di rinascita spirituale, di rinascita alla vita. Questo mondo che a noi sembra avviato verso la crisi, è un immenso laboratorio di idee nuove, progetti, esperienze di giustizia e pace, un altro mondo sta nascendo, e reca frutti di libertà, di consapevolezza, di salvaguardia del creato.
Di tutto questo lui ha gettato il seme, nessuno lo potrà sradicare dalla terra. Manca però qualcosa, manca chi lavori al buono di oggi. Mancano operai del bello, mietitori del buono, contadini che sappiano far crescere i germogli di un mondo più giusto, di una mentalità più positiva, più umana. A questi lui dice: Andate: non portate borsa né sacca né sandali...

sabato 29 giugno 2013

Luca 9, 51-62: XIII domenica del tempo ordinario, anno C

(...) Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l'ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio. Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va' e annuncia il regno di Dio». (...)
ENZO BIANCHI: http://www.monasterodibose.it/content/view/1407/47/lang,it/

ERMES RONCHI: Vuoi che scenda un fuoco dal cielo e li consumi? La reazione di Giacomo e Giovanni al rifiuto dei Samaritani segue la logica comune: farla pagare, occhio per occhio.
Gesù si voltò, li rimproverò e si avviò verso un altro villaggio. Nella concisione di queste parole si staglia la grandezza di Gesù. Che difende chi non la pensa come lui, che capovolge la logica della storia, quella che dice: i nemici si combattono e si eliminano. Gesù invece intende eliminare il concetto stesso di nemico. E si avviò verso un altro villaggio. Il Signore inventore di strade: c'è sempre un nuovo villaggio con altri malati da guarire, altri cuori da fasciare; c'è sempre un'altra casa dove annunciare pace. Non ha bisogno di mezzi forti o di segni prodigiosi, non cova risentimenti. Lui custodisce sentieri verso il cuore dell'uomo, come canta il salmo: beato l'uomo che ha sentieri nel cuore (84,6), che ha futuro e fiducia. E il Vangelo diventa viaggio, via da percorrere, spazio aperto. E invita il nostro cristianesimo a diventare così, a continui passaggi, a esodi, a percorsi.

sabato 22 giugno 2013

Luca 9, 18-24 XII Domenica Tempo ordinario - Anno C

Tempera su tavola, Maestà - SienaXII Domenica Tempo ordinario - Anno C

Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto». Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno (...) 


Enzo Bianchi: http://www.monasterodibose.it/content/view/3592/47/lang,it/

Ermes Ronchi: Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare... Silenzio, solitudine, preghiera sono il grembo in cui si chiarisce l'identità profonda. Sono i momenti in cui la verità si fa come tangibile, la senti sopra, sotto, intorno a te come un manto luminoso; in cui ti senti docile fibra dell'universo. E in quest'ora speciale Gesù pone la domanda decisiva, qualcosa da cui poi dipenderà tutto: fede, scelte, vita... ma voi chi dite che io sia?
Preceduta da un «ma», come in contrapposizione alle risposte della gente: dicono che sei un profeta, bocca di Dio e dei poveri, una creatura di fuoco e luce. Quella di Gesù non è una domanda per esaminare il livello di conoscenza che gli apostoli hanno di lui, ma contiene il cuore pulsante dei miei giorni di credente: Chi sono io per te? Non è in gioco l'esatta definizione di Cristo, ma la presa, lo spazio che occupa in me, nei pensieri, nelle parole, nella giornata. Il tempo e il cuore che mi ha preso. 

domenica 16 giugno 2013

Dio e l'infinito nella Bibbia

Praticamente assente come categoria filosofica e fisica, l'infinito si intreccia alla dimensione dello spazio e al suo costituirsi come orizzonte di incontro di Dio con l'uomo.

Autore: Card. Gianfranco Ravasi[Testo tratto da Gianfranco Ravasi, "Dove sei, Signore?" (Edizioni San Paolo)]
Image Alternative TextNella fama popolare lo scrittore americano ottocentesco Edgar Allan Poe è rimasto autore di inquietanti gialli di indole metafisica. Egli, però, ci ha lasciato anche vari scritti teorici. In uno di essi, Eureka del 1848, osservava: “La parola 'infinito' – come le parole 'Dio', 'spirito' e alcune altre, i cui equivalenti esistono in tutte le lingue – non è espressione di un'idea, ma espressione dello sforzo verso quell'idea”. Questa considerazione ben s'adatta alla Bibbia, quando essa viene sfogliata alla ricerca di temi teorici, di categorie filosofiche e teologiche simili a quelle che il mondo greco-romano ha sviluppato in modo sistematico sulla via della speculazione. E' proprio il caso del concetto di infinito: senza esitazioni il Concilio Vaticano I (1870) applicava questo aggettivo a Dio, così come secoli prima il Concilio Lateranense IV (1215) lo definiva “immensus”. Ma per una civiltà come quella semitica, che elaborava il suo pensiero attraverso i simboli e l'esperienza concreta, il concetto di infinito – per usare le parole di Poe –, più che un'idea chiara e distinta, era “espressione di uno sforzo” per conquistare e raffigurare quell'idea.

sabato 15 giugno 2013

Luca 7,36-8,3: XI domenica del tempo ordinario (C)

Tempera all’uovo su tavola telata e gessata cm 49 x 32 - stile coptoXI Domenica
Tempo ordinario Anno C

In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui (..) Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo (...).Vedendo questo, il fariseo che l'aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!». Gesù allora (..) volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l'acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli (...) Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato (...)». 

Enzo Bianchi: http://www.monasterodibose.it/content/view/1385/47/lang,it/

Ermes Ronchi: Leggo questo racconto grondante di lacrime e d'amore, grondante di vita, e provo a guardare come guarda Gesù, che si fa largo dentro il groviglio delle nostre contraddizioni morali, per fissarsi sul germe intatto, il germe divino che attende la risurrezione anche nel cuore dell'ultima prostituta. Gesù vede oltre le etichette: arriva una donna e dove gli altri vedono solo una peccatrice, lui vede un'amante: ha molto amato.
Un Vangelo che ci contesta e ci conforta. Il cristianesimo non è un intreccio complicato di dogmi e doveri. Gesù ne indica il cuore: ama, hai fatto tutto.
Quella donna ha ascoltato il profondo bisogno di ricevere e dare amore, che ognuno di noi ha dentro; un bisogno che, se lo soffochi, ti rende infelice o avido o cinico. 
Va diritta davanti a lui, non gli chiede permesso, fa una cosa inaudita tanto è sconveniente: mani, bocca, lacrime, capelli, profumo su di lui. Lei sa, con tutte le sue fibre, che quello strano rabbì non l'avrebbe cacciata. 
Sono gesti contro tutti i rituali, che vanno oltre lecito e illecito, oltre doveri o obblighi, con una carica affettiva veemente. Ai quali Gesù non si sottrae, che apprezza. Bastava, come tanti altri, chiedere perdono. Perché quell'eccesso, il profumo, le carezze, i baci? 
È la lingua universale in cui è detto il cuore. E Dio guarda il cuore. E gode vedendo la donna uscire da un rapporto scadente di contabilità o di baratto con il Signore, e spiccare il volo negli spazi della libertà e del dono.
Simone, tu non mi hai dato un bacio, questa donna invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi.

domenica 9 giugno 2013

Giovanni, 4, 5-42: L’episodio evangelico dell’incontro tra Cristo e la samaritana dall’esegesi antica alle letture moderne e contemporanee

L’OSSERVATORE ROMANO
Pag 4 Colei che fu creduta di Lucetta Scaraffia

Giovedì 6 giugno nella cattedrale di Vicenza si apre la nona edizione del festival Biblico con la lectio magistralis a due voci del presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, e di Lucetta Scaraffia, di cui anticipiamo l’intervento. «“Se conoscessi il dono di Dio” (Giovanni, 4, 10a). Fede e libertà secondo le Scritture» è il tema di questa edizione che, fino al prossimo 9 giugno, vedrà oltre centosessanta eventi in quindici città.

L’incontro di Gesù con la samaritana (Giovanni, 4, 5-42) è senza dubbio uno degli episodi più significativi dei vangeli per la ricca presenza di elementi simbolici: dal pozzo di Giacobbe, che rappresenta l’Antico Testamento, al simbolismo dell’acqua e alla definizione di fede come adorazione del Padre “in spirito e verità”. Proprio per questo i grandi commentatori della tradizione, nelle loro fini speculazioni esegetiche su questi elementi, hanno tralasciato la riflessione sulla grandezza del messaggio d’amore contenuto nell’episodio, soprattutto per il fatto che la samaritana era una donna, e per di più una donna che non apparteneva al popolo ebraico. E che quindi Gesù, offrendo questi preziosi insegnamenti proprio a lei, segnalava un nuovo ruolo per le donne.