Uno dei motivi dello scetticismo odierno nei confronti dell'esperienza religiosa ebraico-cristiana è il persistere dell'immagine di un Dio che è a immagine e somiglianza dell'uomo nei suoi tratti peggiori: violento, iroso, geloso, che gode per lo sterminio dei nemici ed esige addirittura il sacrificio del proprio stesso figlio, come se fosse il pagamento di un debito, in cambio della salvezza degli uomini. L'interiorizzazione di questo volto di Dio è diffusa anche fra persone con un elevato livello d'istruzione. E' un fatto che dipende da vari fattori: un'eredità culturale del cristianesimo del passato, il sedimentarsi di alcuni pregiudizi anti-cristiani che sono una radicalizzazione dell'illuminismo, l'uso ambiguo nel contesto delle chiese cristiane di un linguaggio biblico e dottrinale che va adeguatamente compreso.
La questione del Dio violento richiede di essere presa di petto, mentre il più delle volte passa sotto un silenzio che in realtà non aiuta l'educazione alla fede. Non è evitando di affrontare un tema scomodo che lo si risolve; anzi, in tal modo si impedisce il progresso dei cristiani nella vita interiore e si consente il tramandarsi di rappresentazioni distorte del cristianesimo.
Il priore di Bose Enzo Bianchi si è misurato con la violenza di Dio e della religione cristiana in due recenti pubblicazioni che vale la pena di considerare assieme.
La violenza e Dio è un volumetto pubblicato da Vita e Pensiero in cui vengono trattati i cosiddetti "salmi imprecatori", che sono quelle parole contro i nemici, anche molto dure, contenute nel libro di preghiere della Bibbia, testo che costituisce la norma e la principale fonte a cui attingere per la preghiera dei cristiani (si pensi alla liturgia delle ore). In questi testi leggiamo di odio per i nemici, s chiede a Dio di colpirli, si proclama beato chi sfracella le teste dei loro figli contro la roccia, si esorta a bagnare i piedi nel loro sangue... Sono espressioni che paiono inconciliabili con l'insegnamento e la prassi di Gesù, tanto da eliminarle dalla liturgia.
L'Antico Testamento suona spesso sgradevole e inaccettabile, Bianchi lo riconosce, ma questo comporta la fatica di comprenderlo senza respingerlo, per fedeltà allo stesso Nuovo Testamento che verrebbe altrimenti frainteso e distorto. Bisogna considerare, innanzi tutto, che la Bibbia parla con il linguaggio dell'uomo, e i salmi imprecatori sono voce dei tormentati, degli oppressi, dei derisi e dei calpestati dai quali non ci si può aspettare un linguaggio asettico e sdolcinato. Pregare con i salmi imprecatori è difficile, ma è un fatto di solidarietà con le vittime e di fare spazio alla loro sofferenza nella nostra vita di fede e nel nostro cuore. "Certamente sono suppliche a volte eccessive; ma chi può mai pesarle e condannarle, se non si è trovato nella stessa situazione di violenza sofferta nella propria persona?" (p. 15).
Il libro guida in una lettura dei salmi imprecatori che ne decifra il contesto e gli accenti, fino a ferne emergere il valore di educazione alla fede. In queste parole ci ritroviamo, ci specchiamo e riconosciamo una parte di noi che ancora si deve convertire al Vangelo. La sofferenza e la fame e sete di giustizia hanno valore agli occhi di Dio (cfr. Mt 5,4.6); sono i sentimenti di odio e di violenza che li possono accompagnare ad aver bisogno di essere guardati con onestà (non negati ipocritamente) per essere guariti.
"Certe grida dei salmi sono quelle di un uomo primitivo? E' possibile. tuttavia quest'uomo primitivo è in noi ed è un uomo vivente e presente. E convertirlo senza conoscerlo è impossibile. Ebbene, pregando i salmi imprecatori, il cristiano riconoscerò che forse in lui abita ancora uno spirito che non è di Cristo. Non dobbiamo credere di essere più vicini allo spirito di perdono del Vangelo solo perché il Vangelo è cronologicamente più recente dei salmi" (p. 69).
Un'altra categoria biblica a rischio di interpretazioni distorte è quella del sacrificio e del valore sacrifcale della morte di Gesù, il cui significato è particolarmente improtante nella comprensione della Messa cattolica, nonostante non sia l'unica presente nel Nuovo Testamento.
Dio ha preteso il sacrificio di suo figlio Gesù? La Messa è ripetizione di questo sacrificio, è essa stessa sacrificio?
"L'ambivalenza del sacrificio" è il titolo del quarto fascicolo 2013 della rivista internazionale di teologia Concilium, al quarantanovesimo anno di vita, in cui il tema viene affrontato da prospettive diverse. Enzo Bianchi è autore di un articolo,"Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio"che ripercorre la Bibbia e la tradizione cristiana, dalla patristica al Vaticano II, per mettere a fuoco e ampliare il senso del sacrifico di lode, della consegna di sé ai fratelli.
Già per Samuele, Geremia ed Osea è la pratica dell'amore ciò che Dio vuole, più che il sacrificio in sé. E' a questi profeti che Gesù si riallaccia. L'ultima cena ci dà il vero senso del suo sacrificio e quindi della celebrazione eucaristica: la sua morte in croce è l'ultimo atto di una vita consegnata e spezzata come il pane in quanto contraddistinta dall'amore per Dio e per gli uomini. Non è la sottomissione a una divinità sanguinaria. Nel sacrificio cristiano c'è una novità: "la libera offerta del prioo corpo ricevuto in dono da Dio, cioè di tutta la propria persona. Questo è fare la volontà di Dio: Dio non vuole altri sacrifici, e Gesù con la sua esistenza spesa nell'amore e nella misericordia ha cercato di insegnarcelo una volta per tutte".
Quello di Gesù è il sacrificio di chi ama anche a costo della vita. Questi scritti sono come ulteriori tasselli nell'opera di Enzo Bianchi, che assume sempre più la fisionomia di una lettura dell'uomo che, sulla via di Gesù, raggiunge la piena umanità, si umanizza come dice lui. Non è una visione angelicata dell'umanità, ne comprende anche gli aspetti bui come la violenza che dentro la lotto spirituale possono essere assunti e convertiti. A caro prezzo, certo. Ma questo è fare del proprio vivere un'arte. Un'arte di amare, direi.
Nessun commento:
Posta un commento