giovedì 25 aprile 2013

Giovanni 13, 31-35: V di Pasqua

Tempera su tavola - Maestà, Siena
V Domenica di Pasqua, Anno C

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
Il percorso che le letture di oggi ci fanno fare può essere così sintetizzato:
- la Chiesa terrena, così come oggi la viviamo e come sempre è stata, è attraversata da difficoltà e crisi e insieme sostenuta da Dio attraverso le persone che le affida (1L);
- la Chiesa celeste, nostra meta, è la realtà attesa, nuova e insieme già inaugurata dalla risurrezione del Cristo (2L);
- il modo per realizzarla ci è affidato da Gesù con il comandamento nuovo: “amatevi gli uni gli altri COME IO ho amato voi” (V)

1. Nella Chiesa terrena, ci dice il libro degli Atti, i cristiani devono essere costantemente rianimati, confermati, esortati a restare saldi nell’attraversare le molte tribolazioni che la affliggono (esterne, ma anche interne, dettate dalle infedeltà degli uomini che ne fanno parte, come Giuda, come lo stesso Pietro rinnegatore, e tanti dopo di loro). E’ il compito degli apostoli, come Paolo e Barnaba, compito che loro affidano a loro volta agli anziani-presbiteri, gli attuali preti.
2. Alla chiesa pellegrina sulla terra si accosta, nella 2° lettura, la Chiesa celeste, la “nuova Gerusalemme”, la sposa pronta ad accogliere il suo sposo. Solo allora Dio abiterà in modo stabile con essa “ e asciugherà ogni lacrima dai loro occhi” eliminando morte, lutto, affanno, “perché le cose di prima sono passate”, perché io, Dio “faccio nuove tutte le cose”. E’ questa la META verso cui siamo incamminati ed essa sostiene, con la speranza, la fede: illumina e rende stabile il cammino fatto oggi nella strada oscura della storia presente e delle sue tribolazioni. Tutto è destinato a trasformarsi.
3. Questa Chiesa è credibile se vive il comandamento nuovo lasciatoci da Gesù come testamento spirituale, nel contesto dell’ultima cena, quando ormai è imminente la sua morte. E’ giunta per Gesù l’ora, quella della passione, morte e resurrezione, l’ora della glorificazione perché non c’è nulla che renda gloria a Dio, cioè lo manifesti, lo renda presente più di quanto Gesù fa donandosi a noi sulla Croce. Ma è anche l’ora di lasciare le consegne, di affidare il messaggio più importante: il comandamento nuovo.
- Esso è “nuovo” perché misurato su di lui (“come io”), cioè sul superamento di ogni limite (fino a dare la vita).
Amare come Cristo. Non:  quanto Cristo, impresa impossibile all’uomo, il confronto ci schiaccereb­be. Nessuno mai amerà quanto Lui. Ma come Lui: con quel sapore, in quella forma, con quello stile.  Con quel suo amore crea­tivo, che non chiude mai in un verdetto, che non guar­da mai al passato, ma apre strade. Amore che indica passi, almeno un passo in avanti, sempre possibile, in qualsiasi situazione. A­more che ti fa debole ep­pure fortissimo: debole verso colui che ami, ma in guerra contro tutto ciò che fa male”. (E. Ronchi)

giovedì 18 aprile 2013

Giovanni 10, 27-30: IV domenica di Pasqua

Catacombe anonime di via Anapo, RomaIV Domenica di Pasqua, Anno C

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Alberto Maggi:
http://paroledivita.myblog.it/archive/2010/04/23/videocommento-al-vengelo-iv-di-pasqua.html

Enzo Bianchi: http://www.monasterodibose.it/content/view/3528/47/lang,it/

Ermes Ronchi: Le mie pecore ascoltano la mia voce. È bello il termine che Gesù sceglie: la voce. Prima ancora delle cose dette conta la voce, che è il canto dell'essere. Riconoscere una voce vuol dire intimità, frequentazione, racconta di una persona che già abita dentro di te, desiderata come l'amata del Cantico: la tua voce fammi sentire. Prima delle tue parole, tu.
Ascoltano la mia voce e mi seguono. Non dice: mi obbediscono. Seguire è molto di più: significa percorrere la stessa strada di Gesù, uscire dal labirinto del non senso, vivere non come esecutori di ordini, ma come scopritori di strade. Vuol dire: solitudine impossibile, fine dell'immobilismo, camminare per nuovi orizzonti, nuove terre, nuovi pensieri. Chiamati, noi e tutta la Chiesa, ad allenarci alla sorpresa e alla meraviglia per cogliere la voce di Dio, che è già più avanti, più in là.
E perché ascoltare la sua voce? La risposta di Gesù: perché io do loro la vita eterna. Ascolterò la sua voce perché, come una madre, Lui mi fa vivere, la voce di Dio è pane per me. Così come «la voce degli uomini è pane per Dio» (Elias Canetti).

sabato 13 aprile 2013

Giovanni 21,1-19: III domenica di Pasqua

III domenica di Pasqua - Anno C(...) Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».
Enzo Bianchi: http://www.monasterodibose.it/content/view/3525/47/lang,it/

Ermes Ronchi: Gli Apostoli sono tornati là dove tutto ha avuto inizio, al loro mestiere di prima, alle parole di sempre: vado a pescare, veniamo anche noi; e poi notti di fatica, barche vuote, volti delusi.
L'ultima apparizione di Gesù è raccontata nel contesto della normalità del quotidiano. Dentro di esso, nel cerchio delle azioni di tutti i giorni anche a noi è dato di incontrare Colui che abita la vita e le persone, non i recinti sacri.

sabato 6 aprile 2013

Gv.20,19-31: "Beati quelli che pur non avendo visto crederanno".

Per arrivare alla fede si può passare anche attraverso un itinerario tormentato o incerto ma accessibile a tutti, come quello di Tommaso che ha bisogno dei segni per credere.
Proprio per questo lo sentiamo vicino, affine alla nostra sensibilità, conforto per quanti procedono a fatica nella galleria, spesso oscura, che conduce alla ricerca di Dio.
Era l'unico degli undici a non essere nel cenacolo la domenica di Pasqua, quando il Signore si mostrò vivo; ed ora, la seconda domenica di Pasqua, otto giorni dopo, come dice Giovanni, eccolo protagonista di un incontro memorabile. I suoi amici gli dicono “abbiamo visto…”, ma Tommaso replica: "Se non vedo… non crederò". Come biasimarlo? Probabilmente, avremmo fatto la stessa cosa…
Il vedere è il modo più semplice per conoscere, ed anche il modo più semplice per credere. Anche il discepolo che si era recato al sepolcro vide e credette, Maria Maddalena vide il Signore e poi lo riconobbe. Persino il cieco nato prima vide il Signore e poi credette in lui. La fede nasce da un'esperienza, come la conoscenza. Si può parlare solo di quello che si è visto e sentito. Perciò il desiderio di vedere è naturale, ovvio, un'esigenza che può essere considerata quasi alla stregua di un diritto.

mercoledì 3 aprile 2013

Giovanni 20,19-31: II domenica di Pasqua (C)

II Domenica di Pasqua - Anno C
(...) «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». (...)
Enzo Bianchi: http://www.monasterodibose.it/content/view/3520/47/lang,it/

Vedi anche: http://labibbiaelavita.blogspot.it/search/label/Gv.20.19-31

Ermes Ronchi: A noi giovò più l'incredulità di Tommaso che non la fede degli apostoli (Gregorio Magno). Tommaso ci è più utile degli altri. Perché ci mostra quale grande educatore fosse Gesù: aveva formato Tommaso alla libertà interiore, al coraggio di dissentire per seguire la propria coscienza.
Erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per paura dei Giudei. Una comunità chiusa, impaurita, a porte sbarrate; Tommaso no, lui va e viene, è un coraggioso (aveva esortato i suoi compagni: andiamo anche noi a morire con lui!). Lì dentro si sentiva mancare l'aria.
Abbiamo visto il Signore, qui, quando tu non c'eri, gli dicono. E lui: se non vedo con i miei occhi non vi credo.