Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
Il percorso che le letture di oggi ci fanno fare può essere così sintetizzato:
- la Chiesa terrena, così come oggi la viviamo e come sempre è stata, è attraversata da difficoltà e crisi e insieme sostenuta da Dio attraverso le persone che le affida (1L);
- la Chiesa celeste, nostra meta, è la realtà attesa, nuova e insieme già inaugurata dalla risurrezione del Cristo (2L);
- il modo per realizzarla ci è affidato da Gesù con il comandamento nuovo: “amatevi gli uni gli altri COME IO ho amato voi” (V)
1. Nella Chiesa terrena, ci dice il libro degli Atti, i cristiani devono essere costantemente rianimati, confermati, esortati a restare saldi nell’attraversare le molte tribolazioni che la affliggono (esterne, ma anche interne, dettate dalle infedeltà degli uomini che ne fanno parte, come Giuda, come lo stesso Pietro rinnegatore, e tanti dopo di loro). E’ il compito degli apostoli, come Paolo e Barnaba, compito che loro affidano a loro volta agli anziani-presbiteri, gli attuali preti.
2. Alla chiesa pellegrina sulla terra si accosta, nella 2° lettura, la Chiesa celeste, la “nuova Gerusalemme”, la sposa pronta ad accogliere il suo sposo. Solo allora Dio abiterà in modo stabile con essa “ e asciugherà ogni lacrima dai loro occhi” eliminando morte, lutto, affanno, “perché le cose di prima sono passate”, perché io, Dio “faccio nuove tutte le cose”. E’ questa la META verso cui siamo incamminati ed essa sostiene, con la speranza, la fede: illumina e rende stabile il cammino fatto oggi nella strada oscura della storia presente e delle sue tribolazioni. Tutto è destinato a trasformarsi.
3. Questa Chiesa è credibile se vive il comandamento nuovo lasciatoci da Gesù come testamento spirituale, nel contesto dell’ultima cena, quando ormai è imminente la sua morte. E’ giunta per Gesù l’ora, quella della passione, morte e resurrezione, l’ora della glorificazione perché non c’è nulla che renda gloria a Dio, cioè lo manifesti, lo renda presente più di quanto Gesù fa donandosi a noi sulla Croce. Ma è anche l’ora di lasciare le consegne, di affidare il messaggio più importante: il comandamento nuovo.
- Esso è “nuovo” perché misurato su di lui (“come io”), cioè sul superamento di ogni limite (fino a dare la vita).
“Amare come Cristo. Non: quanto Cristo, impresa impossibile all’uomo, il confronto ci schiaccerebbe. Nessuno mai amerà quanto Lui. Ma come Lui: con quel sapore, in quella forma, con quello stile. Con quel suo amore creativo, che non chiude mai in un verdetto, che non guarda mai al passato, ma apre strade. Amore che indica passi, almeno un passo in avanti, sempre possibile, in qualsiasi situazione. Amore che ti fa debole eppure fortissimo: debole verso colui che ami, ma in guerra contro tutto ciò che fa male”. (E. Ronchi)
- «Come io ho amato voi ». L’amore cristiano è anzitutto un amore ricevuto, accolto. Come un’anfora che si riempie fino all’orlo e poi tracima, che diventa sorgente. L’amore non nasce da uno sforzo di volontà, riservato ai più bravi; l’amore viene da Dio, non dalla mia bravura: amare comincia con il lasciarsi amar . Non siamo più bravi degli altri, siamo più ricchi. Ricchi di Dio.
È un amore che perdona ma non giustifica ogni sbaglio. Giustifica la fragilità, lo stoppino smorto, la canna incrinata, ma non l’ipocrisia dei pii e dei potenti. Ama il giovane ricco ma attacca l’idolo del denaro. Se il male aggredisce un piccolo, Gesù evoca immagini potenti e dure come una macina al collo.
È un amore che perdona ma non giustifica ogni sbaglio. Giustifica la fragilità, lo stoppino smorto, la canna incrinata, ma non l’ipocrisia dei pii e dei potenti. Ama il giovane ricco ma attacca l’idolo del denaro. Se il male aggredisce un piccolo, Gesù evoca immagini potenti e dure come una macina al collo.
- E’ un amore reciproco (“gli uni gli altri”), per cui nessuno è superiore all’altro e tutti hanno bisogno dell’amore dell’altro. E se non siamo corrisposti? Come può diventare vicendevole? “Metti amore e troverai amore”. Semina, dissoda, concima, attendi con speranza, ma soprattutto con costanza e impegno. Ma soprattutto segui l’esempio di Gesù che ha amato anche Giuda fino all’ultimo istante, fino alla fine lo ha tratta da amico: gli lava i piedi, come agli altri, gli offre il pane intinto nel vino, segno di amicizia e di intimità. Spera fino alla fine che cambi atteggiamento, senza giudicarlo, senza emarginarlo, senza negargli l’affetto. Gli uni gli altri significa inoltre reciprocità. Non siamo chiamati solo a spenderci per gli altri, ma anche a lasciarci amare: è nel dare e nel ricevere amore che si pesa la beatitudine della vita.
- L’amore reciproco è, infine, la tessera di riconoscimento dell’essere cristiani e, insieme, il mezzo per renderci credibili, per dare testimonianza. L’amore reciproco affascina, attira, coinvolge ben più di celebrazioni spettacolari, di grandi raduni, di feste animate. E’ l’amore reciproco vissuto nella quotidianità a renderci cristiani, ben più dell’essere conformi alla dottrina, delle dichiarazioni di fede o di adesione morale.
- Se fossi disposto ad amare l’altro fino a donargli la mia vita non dovrei allora perdonarlo per qualche sgarbo fatto?
Preghiera conclusiva
Il momento è quello
solenne e drammatico
in cui ogni parola acquista
una forza ed un senso particolari.
Tu stai andando incontro alla morte
e quello che ci affidi
è un vero e proprio testamento.
Tu ci chiedi di amare, di amarci,
secondo la misura che ci manifesterai
con la tua passione e la tua morte:
senza limiti, senza barriere,
senza confini, fino in fondo.
Sarà questo il vero,
l’autentico segno
che ti apparteniamo,
che siamo tuoi discepoli.
Non le celebrazioni spettacolari,
non i raduni entusiastici, non le assemblee festose,
ma l’amore che sapremo donarci
nel tessuto della vita quotidiana,
con semplicità ed umiltà,
con gioia e con impegno,
con libertà e con coraggio,
con tenerezza e con misericordia.
Questo amore costituisce
“la prova del nove”:
non le patenti di ortodossia,
non la conformità della dottrina,
non le dichiarazioni di fede o di adesione morale.
È questo l’amore che tu ci hai manifestato,
è di questo amore che vivono i discepoli.
Amen.
Ermes Ronchi: Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli
altri. Sì, ma di quale amore? Parola così abusata, parola che a pronunciarla
male brucia le labbra, dicevano i rabbini. Noi confondiamo spesso l'amore con
un'emozione o un'elemosina, con un gesto di solidarietà o un momento di
condivisione.
Amare sovrasta tutto questo, perché contiene il brivido emozionante della scoperta dell'altro, che ti appare non più come un oggetto ma come un evento, come colui che ti dà il gusto del vivere, che spalanca sogni, che ha la forza dolce delle nascite, che ti fa nascere, con il meglio di te.
Per amare devo guardare una persona con gli occhi di Dio, quando adotto il suo sguardo luminoso divento capace di scoprirne tutta la bellezza e grandezza e unicità. E da questo si sprigiona fervore, meraviglia, incanto del vivere. Io vado dall'altro come ad una fonte, e mi disseta. Allora lo posso amare, e nell'amore l'altro diventa il mio maestro, colui che mi fa camminare per nuovi sentieri. Allo stesso modo anche i due sposi devono amarsi come due maestri, ciascuno maestro dell'altro, ciascuno messo in cammino verso orizzonti più grandi. Lasciarsi abitare dalle ricchezze dell'altro, e la vita diventa immensamente più felice e libera. Allo stesso modo anche il povero che incontro o lo straniero che bussa alla mia porta li posso guardare come fossero i «nostri signori» (san Vincenzo de Paolis), e imparare quindi a dare come faceva Gesù: non come un ricco ma come un povero che riceve, come un mendicante d'amore. E pensare davanti al povero: sono io il povero, fatto ricco di te, dei tuoi occhi accesi, della tua storia, del tuo coraggio.
Vi do un comandamento nuovo. Non si tratta di una nuova ingiunzione, ma della regola che protegge la vita umana, dove sono riassunti del destino del mondo e la sorte di ognuno: «abbiamo tutti bisogno di molto amore per vivere bene» (Maritain).
Dove sta la novità? Già nell'Antico Testamento era scritto ama Dio con tutto il cuore, ama il prossimo tuo come te stesso. La novità del comando sta nella parola successiva: Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Non dice quanto vi ho amato, impossibile per noi la sua misura, ma come Gesù, con il suo stile unico, con la sua eleganza gentile, con i capovolgimenti che ha portato, con la sua creatività: ha fatto cose che nessuno aveva fatto mai. I cristiani non sono quelli che amano (lo fanno in molti sotto tutte le latitudini) ma quelli che amano come Gesù: se io vi ho lavato i piedi così fate anche voi, fatelo a partire dai più stanchi, dai più piccoli, i vostri signori...
Come Lui, che non solo è amore, ma esclusivamente amore.
(Letture: Atti 14,21-27; Salmo 144; Apocalisse 21,1-5; Giovanni 13, 31-35)
Amare sovrasta tutto questo, perché contiene il brivido emozionante della scoperta dell'altro, che ti appare non più come un oggetto ma come un evento, come colui che ti dà il gusto del vivere, che spalanca sogni, che ha la forza dolce delle nascite, che ti fa nascere, con il meglio di te.
Per amare devo guardare una persona con gli occhi di Dio, quando adotto il suo sguardo luminoso divento capace di scoprirne tutta la bellezza e grandezza e unicità. E da questo si sprigiona fervore, meraviglia, incanto del vivere. Io vado dall'altro come ad una fonte, e mi disseta. Allora lo posso amare, e nell'amore l'altro diventa il mio maestro, colui che mi fa camminare per nuovi sentieri. Allo stesso modo anche i due sposi devono amarsi come due maestri, ciascuno maestro dell'altro, ciascuno messo in cammino verso orizzonti più grandi. Lasciarsi abitare dalle ricchezze dell'altro, e la vita diventa immensamente più felice e libera. Allo stesso modo anche il povero che incontro o lo straniero che bussa alla mia porta li posso guardare come fossero i «nostri signori» (san Vincenzo de Paolis), e imparare quindi a dare come faceva Gesù: non come un ricco ma come un povero che riceve, come un mendicante d'amore. E pensare davanti al povero: sono io il povero, fatto ricco di te, dei tuoi occhi accesi, della tua storia, del tuo coraggio.
Vi do un comandamento nuovo. Non si tratta di una nuova ingiunzione, ma della regola che protegge la vita umana, dove sono riassunti del destino del mondo e la sorte di ognuno: «abbiamo tutti bisogno di molto amore per vivere bene» (Maritain).
Dove sta la novità? Già nell'Antico Testamento era scritto ama Dio con tutto il cuore, ama il prossimo tuo come te stesso. La novità del comando sta nella parola successiva: Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Non dice quanto vi ho amato, impossibile per noi la sua misura, ma come Gesù, con il suo stile unico, con la sua eleganza gentile, con i capovolgimenti che ha portato, con la sua creatività: ha fatto cose che nessuno aveva fatto mai. I cristiani non sono quelli che amano (lo fanno in molti sotto tutte le latitudini) ma quelli che amano come Gesù: se io vi ho lavato i piedi così fate anche voi, fatelo a partire dai più stanchi, dai più piccoli, i vostri signori...
Come Lui, che non solo è amore, ma esclusivamente amore.
(Letture: Atti 14,21-27; Salmo 144; Apocalisse 21,1-5; Giovanni 13, 31-35)
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