I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall'Egitto ho chiamato mio figlio». (...)
Leggevo
proprio ieri l’intervista ad un noto attore italiano. Alla domanda “quanto
conta per lei la famiglia” risponde: “Famiglia
è una parola abusata, meglio dire rapporti di affetto”.
Meglio
e più semplice: parlare di rapporti di affetto anziché di famiglia, permette di
giustificare meglio la provvisorietà dei rapporti, l’incapacità di prendersi
delle responsabilità a lunga scadenza, a sacrificare qualcosa di sé per garantire
il bene degli altri…
Eppure
ciascuno di noi ha, all’origine, un padre e una madre. La famiglia è il nucleo
fondamentale della società, la famiglia è la realtà che Dio stesso ha voluto
per suo figlio, la realtà che, secondo le parole di San Paolo, meglio esprime
l’unità che, in Gesù Cristo, Dio vive nei confronti della Chiesa: un’unità che
nasce dal dono della vita, da una dedizione d’amore che passa attraverso il
servizio, il perdono, il prendersi cura…
All’interno
della Santa Famiglia più volte durante l’anno si evidenzia il ruolo fondamentale
di Maria e dunque della madre, ma il Vangelo ci presenta piuttosto il ruolo di
Giuseppe, il ruolo paterno che guida e protegge, educa e si prende cura della
propria famiglia.
La
figura di Giuseppe ci permette di
sottolineare il ruolo fondamentale del padre
all’interno della famiglia e di come, nella nostra società, questa figura sia
spesso debole, assente, totalmente presa dal lavoro (a volte vissuto anche come
una fuga dalle responsabilità familiari), incapace di prendere posizioni
nell’educazione dei figli, educazione che lascia nelle mani della moglie che,
sempre più spesso, è anche lei impegnata nel mondo lavorativo oltre che
sociale.
Ci
disturbano le espressioni di San Paolo della moglie sottomessa al marito, le
ascoltiamo come un esempio del maschilismo dei tempi passati, una espressione
retrograda, oggi inaccettabile.
Qualche
anno fa una giornalista romana, Costanza
Miriano, ha pubblicato un libro dal titolo “Sposati e sii sottomessa”. L’abbiamo invitata anche nella nostra
parrocchia e ha dato vita ad un dibattito molto acceso. In questi giorni il
libro è stato tradotto anche in Spagna e accolto con proteste e denuncie
giudiziarie per apologia alla violenza contro le donne.
La
tesi della Miriano è che l’invito di San Paolo và letto (e vissuto) come un impegno
a restituire al marito il suo ruolo di responsabilità. Mettersi sotto per
sostenere tutto l’impianto familiare e per obbligare l’uomo a svolgere i suoi
compiti. La mitologia
imperante è: affermati, imponiti, realizzati, abbi successo. San Paolo ci parla
di sottomissione reciproca, di servizio, di perdono.
La II lettura mi ricorda anche un’altra
espressione che è già diventata famosa: le tre parole che Papa Francesco invita
a dirsi in famiglia: SCUSA, GRAZIE,
PERMESSO, tre parole che rafforzano la famiglia. “Perdonatevi…rendete
grazie…mostrate tenerezza, delicatezza …lasciate entrare nelle vostre case la
Parola di Dio. Sia vostro alimento quotidiano più della televisione e del
computer.
Torniamo per concludere alla Santa
Famiglia: è una famiglia irregolare, emigrante, perseguitata, priva di
sicurezze economiche.
Ogni cosa che accade a Maria e
Giuseppe è una vicenda di scombussolamento dei loro piani, di imprevisto, e
ogni volta essi accettano il cammino della riformulazione, si rimettono a
disposizione, si fidano delle possibilità della vita e delle promesse di Dio.
Le storie delle nostre famiglie,
ci dice la famiglia di Nazareth, non le possiamo dominare, far divenire quello
che noi vogliamo. Non sono neppure sottratte alla nostra libertà. Possono
essere storie familiari sempre aperte, contando sulla risorsa delle presenza di
Dio e sulla nostra disponibilità a rimetterci ogni volta in cammino.
La Santa Famiglia ci insegna: la
riuscita delle nostre famiglia non è legata al fatto che le cose vadano bene,
che al loro interno non si vivano difficoltà, fatiche, errori e anche drammi.
La riuscita delle nostre famiglie sta nel fatto che ognuno, nelle vicende
positive e in quelle negative, impegni la sua vita per promuovere la vita degli
altri. E faccia spazio a Dio fidandosi delle sue indicazioni.
“Preghiera semplice” della famiglia
Signore, fa’ della nostra famiglia uno strumento della tua pace:
dove prevale l’egoismo, che portiamo amore,
dove domina la violenza,
dove prevale l’egoismo, che portiamo amore,
dove domina la violenza,
che portiamo tolleranza,
dove scoppia la vendetta,
dove scoppia la vendetta,
che portiamo riconciliazione,
dove serpeggia la discordia,
dove serpeggia la discordia,
che portiamo comunione,
dove regna l’idolo del denaro,
dove regna l’idolo del denaro,
che portiamo libertà dalle cose,
dove c’è scoraggiamento, che portiamo fiducia,
dove c’è sofferenza, che portiamo consolazione,
dove c’è solitudine, che portiamo compagnia,
dove c’è tristezza, che portiamo gioia,
dove c’è disperazione, che portiamo speranza.
dove c’è scoraggiamento, che portiamo fiducia,
dove c’è sofferenza, che portiamo consolazione,
dove c’è solitudine, che portiamo compagnia,
dove c’è tristezza, che portiamo gioia,
dove c’è disperazione, che portiamo speranza.
O Maestro, fa’ che la nostra famiglia non cerchi tanto di
accumulare, quanto di donare,
non si accontenti di godere da sola ma sappia condividere.
Perché c’è più gioia nel dare che nel ricevere,
nel perdonare che nel prevalere,
nel servire che nel dominare.
non si accontenti di godere da sola ma sappia condividere.
Perché c’è più gioia nel dare che nel ricevere,
nel perdonare che nel prevalere,
nel servire che nel dominare.
Così costruiremo insieme una società solidale e fraterna.
Amen
Amen
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