giovedì 10 ottobre 2013

Luca 17,11-19: XXVIII Domenica Tempo ordinario - Anno C

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(...) Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?» (...).

Cosa ci insegnano i 10 lebbrosi del Vangelo?
1-     A RICONOSCERE LA NOSTRA LEBBRA (e il nostro bisogno di essere guariti)
La LEBBRA è la terribile malattia quasi debellata nei paesi occidentali, ma presente in molti paesi del terzo mondo. Essendo CONTAGIOSA comporta l’esclusione dal tessuto sociale. La “nostra” lebbra è il PECCATO che è contagioso e per sua natura ci porta a dividerci e isolarci da Dio e dagli altri.
2-     A RICONOSCERE LA PRESENZA DEL SIGNORE CHE PASSA NELLA NOSTRA VITA
3-     AD AVERE FEDE IN DIO, in Gesù il Cristo:
credendo che sia in grado di risanarci;
Invocando il suo aiuto (preghiera fiduciosa e corale: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi”);
credendo alla sua Parola aldilà delle apparenze: ricevono una indicazione (“andate al Tempio, dal sacerdote” perché venga riconosciuta ufficialmente la loro guarigione e possano essere riammessi nella società) senza certezze, senza che nulla sia cambiato: si mettono in cammino fidandosi della sua parola;
è nel CAMMINO che vengono RISANATI: se si è FERMI e INCREDULI non può avvenire alcuna guarigione.
4-     A RIFLETTERE SULLA NOSTRA CAPACITA’ DI RINGRAZIARE (e a non fermarci a compiere il “nostro dovere”, ma saper tornare al Signore per ringraziarlo di quanto abbiamo sperimentato/ vissuto trovando nel ringraziamento la dimensione che ci apre alla SALVEZZA): “RINGRAZIARE CI SALVA”
La parola EUCARISTIA significa RENDERE GRAZIE: di quanto il Signore ci ha fatto vivere (della vita in generale, delle persone che ci ha messo accanto, della presenza del Signore che ci ama, guida, sostiene, risana, perdona…e SALVA dall’infelicità, dal non senso, dallo sciupare il dono della vita chiudendoci rispetto alla sua pienezza ed eternità.
Ogni LITURGIA EUCARISTICA (Messa) dovrebbe dunque essere innanzitutto un rendere grazie a Dio per quanto abbiamo precedentemente vissuto e un lasciarci guidare e sfamare per riprendere con vigore rinnovato la vita quotidiana.
Ma abbiamo difficoltà a RINGRAZIARE: viviamo in una cultura del “tutto mi è dovuto”, del mito del “mi sono fatto da solo”, del fastidio di dover “dipendere” da altri, dover ringraziare altri per quanto sono e ho.
Esempio dei bambini che non capiscono perché dobbiamo ringraziare il Signore per i pasti che prendiamo (benedicendo la mensa): per molti di loro quanto si mangia è solo frutto del lavoro dei genitori (e i genitori- si sa- non c’è certo bisogno di ringraziarli).
            “Và, la tua fede ti ha salvato”
E’ la conclusione del brano del Vangelo che ci rimanda ancora al tema della FEDE:
Domenica scorsa Gesù ci ricordava come la fede sia una realtà invisibile e apparentemente piccolissima, ma capace di operare miracoli; una realtà che richiede gratuità, altruismo e apertura alla testimonianza. Oggi la liturgia aggiunge che la fede NON HA CONFINI (coinvolge il generale siriano, Naaman, così come il lebbroso risanato straniero perché samaritano) né razziali, né cultural, né sociali. Affidandoci e ringraziando il Signore ci apre alla salvezza.
Aggiunge infine San Paolo: anche se fossimo INFEDELI, Dio rimane fedele (perché “non può rinnegare sé stesso”): Dio è inevitabilmente fedele a sé stesso e quindi al suo amore per noi: Dio ci precede, è avanti a noi ad attenderci, è sempre pronto ad accoglierci.

Ermes Ronchi:

Dieci lebbrosi all'ingresso di un villaggio, nove giudei e un samaritano insieme. La sofferenza li ha uniti, la guarigione li separerà. Insieme pregano Gesù ed egli: appena li vede... Notiamo il dettaglio: subito, senza aspettare un secondo di più, appena li vede, con un'ansia di guarirli. La sua fretta mi ricorda un verso bellissimo di Twardowski: affrettiamoci ad amare, le persone se ne vanno così presto! Affrettiamoci ad amare...
Gesù disse loro: Andate a presentarvi ai sacerdoti. E mentre andavano, furono purificati. Sono purificati non quando arrivano dai sacerdoti, ma mentre camminano, sui passi della fede.
Nove dei guariti non tornano: scompaiono nel vortice della loro felicità, dentro gli abbracci ritrovati, ritornati persone piene, libere. Unico, un eretico straniero torna indietro e lo fa perché ascolta il suo cuore, perché intuisce che la salute non viene dai sacerdoti, ma da Gesù; non dall'osservanza di leggi e riti, ma dal rapporto vivo con lui. Per Gesù conta il cuore e il cuore non ha frontiere politiche o religiose. Il centro del brano è l'ultima parola: la tua fede ti ha salvato. Nove sono guariti, ma uno solo è salvato. Per fede. Nel racconto possiamo distinguere i tre passi fondamentali del cammino del credere: ho bisogno / mi fido / ringrazio e mi affido.
La fede nasce dal bisogno, dal grido universale della carne che soffre, dalla nostra fame di vita, di senso, di amore, di salute, quando non ce la fai e tendi le mani. Poi «mi fido». Il grido del bisogno è ricco di fiducia: qualcuno ascolterà, qualcuno verrà, già viene in aiuto. I dieci si fidano di Gesù e sono guariti. Ma a questa fede manca qualcosa, una dimensione fondamentale: la gioia di un abbraccio, una relazione, una reciprocità, una risposta.
Il terzo passo: ti ringrazio è compiuto dallo straniero. Il filosofo Hegel dice: denken ist danken, pensare è ringraziare, perché siamo debitori, di tutto. E il poeta Turoldo: io vorrei dare una cosa al mio Signore, ma non so che cosa... ecco, la vita che mi hai ridato, te la rendo nel canto.
Allora corro da lui, mi stringo a lui, come un bambino alla madre, come l'amato all'amata, quando ciascuno mette la propria vita, e i sogni e il futuro, nella mani dell'altro. Tutti hanno ricevuto il dono, uno solo ha risposto. La fede è la libera risposta dell'uomo al corteggiamento di Dio. Ed entrare in contatto con la madre di tutte le parole religiose: «grazie». Voglio fare come quello straniero: domani inizierò la mia giornata tornando a Dio con il cuore, non recitando preghiere, ma donandogli una cosa, una parola: «grazie». E lo stesso farò poi con quelli di casa. Lo farò in silenzio e con un sorriso.
(Letture: 2 Re 5,14-17; Salmo 97; 2 Timoteo 2,8-13; Luca 17,11-19) 

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