L’OSSERVATORE ROMANO
Pag 4 Colei che fu creduta di Lucetta Scaraffia
Giovedì 6 giugno nella cattedrale di Vicenza si apre la nona edizione del festival Biblico con la lectio magistralis a due voci del presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, e di Lucetta Scaraffia, di cui anticipiamo l’intervento. «“Se conoscessi il dono di Dio” (Giovanni, 4, 10a). Fede e libertà secondo le Scritture» è il tema di questa edizione che, fino al prossimo 9 giugno, vedrà oltre centosessanta eventi in quindici città.
L’incontro di Gesù con la samaritana (Giovanni, 4, 5-42) è senza dubbio uno degli episodi più significativi dei vangeli per la ricca presenza di elementi simbolici: dal pozzo di Giacobbe, che rappresenta l’Antico Testamento, al simbolismo dell’acqua e alla definizione di fede come adorazione del Padre “in spirito e verità”. Proprio per questo i grandi commentatori della tradizione, nelle loro fini speculazioni esegetiche su questi elementi, hanno tralasciato la riflessione sulla grandezza del messaggio d’amore contenuto nell’episodio, soprattutto per il fatto che la samaritana era una donna, e per di più una donna che non apparteneva al popolo ebraico. E che quindi Gesù, offrendo questi preziosi insegnamenti proprio a lei, segnalava un nuovo ruolo per le donne.
Ma il fatto che si trattasse proprio di una donna non sembrava degno di interesse. Al massimo, sulle orme di Agostino, i commentatori si spingono a considerarla figura della Chiesa, così come egli ha scritto: «È significativo il fatto che questa donna, che rappresentava la Chiesa, provenisse da un popolo straniero per i giudei: la Chiesa infatti sarebbe sorta dai gentili, che per i giudei erano stranieri». E ancora: «Ella infatti era una figura, non la verità: prefigurava la verità che lei stessa diventò; poiché credette in colui che voleva farne la figura di noi». Mentre in occidente l’esegesi insiste sul simbolismo ecclesiologico della samaritana, in oriente si levano due voci fuori dal coro, quelle di Giovanni Crisostomo e di Anfilochio di Iconio. L’interpretazione del primo è dettata dalla meraviglia, sincera, di fronte a un tipo di donna fuori dal comune, che non solo è ben più saggia ma anche più virile del giudeo Nicodemo (cfr. Giovanni, 3, 1-20) e «più potente degli apostoli»: Cristo ha rivelato apertamente a questa meretrice ciò che non ha rivelato a molti di loro. Una «meretrice apostolica», una donna che «si fa evangelista» e alla quale attribuisce anche un’«anima filosofica». Una sorta di soliloquio è invece l’omelia In mulierem peccatricem di Anfilochio di Iconio, che rievoca insieme la samaritana, la cananea, l’emorroissa: qui la samaritana è migliore del fariseo Simone, come la peccatrice è più degna di ammirazione. Ma sono state soprattutto le donne ad accorgersi per prime che si tratta di una donna vera e interessante. Se ne accorgono alla fine dell’Ottocento anche donne per epoca ed educazione ben lontane dal femminismo, come le figlie gemelle di un avvocato scozzese, entrambe vedove, Agnes Smith Lewis e la sorella Margaret. Affascinate dal moltiplicarsi dei ritrovamenti di testi biblici, le due sorelle divennero loro stesse orientaliste - non rinunciando però a organizzare garden parties nel deserto - finché nel 1892 scoprirono in un palinsesto del IV secolo la Vetus Syra, cioè la più antica versione siriaca dei vangeli, e tornarono più volte nel monastero di Santa Caterina per completare il deciframento del codice detto appunto Siro Sinaitico. Nell’episodio della samaritana il manoscritto aggiungeva, rispetto al testo originale greco, che Gesù era in piedi, suscitando in Agnes una riflessione graziosa e commossa: «Perché Nostro Signore era in piedi? Quando i discepoli lo avevano lasciato, stava seduto sull’orlo del pozzo; e sappiamo che era stanco. In ogni caso, l’orientale intento a insegnare sta normalmente seduto. E il comune orientale non si alzerebbe mai, di sua libera volontà, per cortesia nei confronti di una donna. Può darsi che Nostro Signore si fosse alzato in un impeto d’entusiasmo per le grandi verità che stava dicendo; ma mi è caro pensare che il suo grande cuore, pieno d’amore anche per i più umili fra gli esseri umani, lo rendesse superiore alle restrizioni proprie della sua razza e del suo tempo, spingendolo a dimostrare nei confronti del nostro sesso (...) quella cortesia che fra tutti i popoli veramente progrediti è considerata una manifestazione di vera e nobile virilità». La prima in ordine cronologico a segnalare la singolarità di questa presenza, però, era stata Teresa d’Avila, sempre molto consapevole della differenza femminile: «Ciò che mi sorprende è vedere come quella gente abbia creduto a una donna, e a una donna che non doveva essere di nobile condizione, perché andava ad attingere acqua. Umile, sì, doveva essere, perché quando il Signore le palesò i suoi peccati, non solo non se ne offese, come si farebbe oggi nel mondo dove la verità è difficilmente ascoltata, ma rispose che egli doveva essere un profeta. (…) Fatto sta che fu creduta» (Pensieri sull’amore di Dio). Teresa aveva incontrato molti problemi a farsi ascoltare con autorevolezza, quindi per lei si trattava di una questione non secondaria. Sono stati in seguito gli studi di teologhe e di femministe che hanno aperto una nuova lettura della samaritana come donna, all’interno di un più vasto interesse per le donne nei vangeli. È avvenuto così che soprattutto nella seconda parte del Novecento si è sottolineato che le donne protagoniste di incontri decisivi con Gesù erano tante, e in larga maggioranza “irregolari”, cioè impure secondo la tradizione ebraica o perché peccatrici o perché affette da una malattia che le rendeva impure, come l’emorroissa. Anche la samaritana è impura: non è giudea, appartiene a un popolo disprezzato dagli ebrei, ed è peccatrice, come Gesù le ricorda, alludendo ai suoi cinque mariti. Eppure Gesù la coinvolge in un dialogo profondo e decisivo, che verte sulla fede e sul modo di adorare Dio. Addirittura, come ha rilevato in un’omelia Benedetto XVI, «le confidò - cosa rarissima - di essere il Messia». Gesù non parla di questi problemi con i teologi, ma con una donna che gli risponde con prontezza e anche un po’ di impertinenza, una donna con la quale, secondo le convenzioni, non avrebbe neppure dovuto parlare. Una donna che, come hanno felicemente colto i molti artisti che hanno dipinto questa scena, si presentava anche come seduttiva, nel corso di un incontro isolato che poteva presentare delle ambiguità. Gesù non solo le chiede da bere, ma la coinvolge in un dialogo appassionato, di cui lei, rapidamente, comprende la natura spirituale riconoscendo in lui il messia. L’esegeta protestante France Quéré sottolinea il «sorprendente contrappunto» che si tesse nel dialogo fra i due al pozzo, un dialogo che alterna parole scherzose e provocatrici a un crescente coinvolgimento che porta la samaritana, dopo qualche battuta, a rivolgersi a lui come Signore. La donna passa cioè dalla posizione di chi scherza e deve donare acqua a un assetato - un ebreo che dovrebbe rifiutarsi di prendere acqua da lei, donna impura - a quella di colei che implora e rivela senza reticenze la sua immensa sete spirituale. Del resto, nota sempre Quéré, «egli si contenta di chiederle da bere, preghiera, lo si è visto, del tutto banale; è lei che provoca il dialogo discutendo inopinatamente una richiesta così elementare». Per cui, in questo come in altri episodi evangelici che vedono donne protagoniste, «la loro arditezza si confonde alla sua». Per la sua natura di peccatrice la samaritana si può così considerare una sorta di “doppio” di Maria Maddalena, della peccatrice per eccellenza che viene salvata da Gesù e lo sa amare come nessuno dei suoi discepoli, con un coraggio e una intensità che lo commuovono. La figura di Maddalena nei vangeli è controversa: secondo la tradizione occidentale, infatti, si suppone in generale che sia stata Maddalena la protagonista di importanti episodi - la contrapposizione con la sorella Marta a casa di Lazzaro, l’unzione con oli preziosi prima dei piedi e poi del capo di Gesù in due circostanze distinte, la peccatrice perdonata e l’indemoniata - mentre quella orientale preferisce sfumare questo ruolo attribuendolo a tre personaggi diversi, le tre Marie. In ogni caso, Maddalena è la prima persona a cui appare il risorto. Secondo Giovanni, Maddalena era andata da sola al sepolcro, e da sola riceve da Gesù il compito di portare agli apostoli la notizia della resurrezione, mentre secondo Luca le donne al sepolcro erano tre. Vale la pena ricordare che Maddalena corre a riferire a Pietro e al discepolo che Gesù amava, Giovanni. I due uomini hanno bisogno di controllare che Gesù non sia più nel sepolcro, vedono i panni e il sudario rivoltato, credono e se ne tornano indietro. E Giovanni commenta: «Non avevano ancora capito la Scrittura, secondo la quale egli doveva risuscitare dai morti. I discepoli intanto se ne tornarono di nuovo a casa» (20, 9-10). Maria invece resta fuori del sepolcro a piangere. Sempre nel vangelo giovanneo, Gesù ordina a Maddalena di portare la notizia con parole molto simili a quelle che aveva usato per inviare la samaritana presso il suo popolo per avvertirli che era arrivato presso di loro il messia: «Va’ dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro» (20, 17). Come Maddalena, ella possiede un incarico in questo senso, un incarico personale, affidatole dal messia: «Va’, chiama tuo marito e torna qui» e poi riceve personalmente da Gesù l’annunzio che «è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Giovanni, 4, 23). Come scrive Adrienne von Speyr, «egli non solo redime i credenti, li inserisce come cooperatori nella sua opera». Due peccatrici pronte a riconoscerlo e ad amarlo, alle quali Gesù affida un importante compito di testimonianza, in un’epoca e presso un popolo che non dava valore giuridico alla testimonianza femminile. La somiglianza è forte, e non casuale, ovviamente. E Giovanni riporta anche l’immediata presa di distanza degli uomini di Samaria dalla messaggera poco qualificata: «Alla donna dicevano: Non è più per quanto tu hai detto che noi crediamo. Noi stessi infatti abbiamo udito e sappiamo che è veramente lui il salvatore del mondo». La peccatrice promossa a messaggera da Gesù per la sua fede e per la sua capacità di amore, viene subito rinnegata dagli uomini del suo popolo. Del resto, anche Pietro e Giovanni non credono a Maddalena, e si precipitano al sepolcro per vedere con i propri occhi. Certamente, anche il giudizio positivo che Gesù aveva su Maddalena non era proprio condiviso da tutti, come dimostra la tradizione gnostica che riferisce di una rivolta di Pietro contro Maddalena, che sarebbe invece l’unica e vera iniziata. In tutti gli episodi di cui è protagonista, o che le sono stati attribuiti dalla tradizione, Maddalena risulta essere soggetto di una relazione molto intensa con Gesù, una relazione particolarmente significativa, mal vista dagli immancabili moralisti che non accettano volentieri l’idea che Gesù stia tanto in confidenza con una donna, per di più nota peccatrice. Una lettura femminista sostiene invece che Maddalena in realtà non sia mai stata una peccatrice, ma che gli uomini - cioè gli apostoli - un po’ invidiosi del suo legame stretto con Gesù, le abbiano attribuito questa fama per denigrarla. In realtà, si tratta di una riabilitazione che impoverisce il testo evangelico: se non fosse una peccatrice, infatti, la sua figura sarebbe meno affascinante, meno intensa, e risalterebbe meno la totale assenza di moralismo in Gesù. Avremmo insomma un’occasione in meno per capire che Gesù valuta le persone dal loro coraggio e dalle loro passioni, non da un comportamento corretto. Preferiamo l’idea di una peccatrice salvata, ragione per cui in Maddalena «la macchia del suo passato e la grazia della sua liberazione rimangono inscindibilmente legate al suo nome». In entrambi i casi, Maddalena e la samaritana erano peccatrici e sono state purificate da Gesù: Adrienne von Speyr annota che questa assoluzione è in realtà una sorta di anticipazione, rispetto alla morte sulla croce che ci avrebbe liberato tutti dai peccati. Lo stesso atteggiamento indifferente al moralismo ritroviamo in Gesù nel caso della samaritana: Gesù affida il suo messaggio a una peccatrice, le rivolge parole cariche di significato profondo, la nomina sua messaggera. Come Maddalena, anche la samaritana ha sete soprattutto di amore: invece di ergersi a giudice moralista, Gesù si limita a constatare la sua sete d’amore e a indirizzarla verso un obiettivo diverso da quello dell’amore umano, l’unico obiettivo che può saziare il suo desiderio: l’amore di Dio. La donna capisce subito quello che le propone Gesù, e parte ad annunziarlo agli altri: che l’abbia capito lo vediamo non solo dalla sua prontezza nell’accettare il compito di testimone, ma soprattutto dal suo dimenticare presso il pozzo l’otre con cui era solita attingere acqua, un utensile prezioso per la vita quotidiana. Come se sapesse che di quell’acqua non avrà più bisogno. Questo passaggio, questa fulminea comprensione, si spiegano proprio con la sua sete d’amore, come ha illustrato magistralmente Benedetto XVI: «È il desiderio che rende profondo il cuore. Non nel saturare continuamente la mancanza apparente consiste il destino del vivere. Piuttosto nel comprendere dove stia la vera mancanza e nell’incontrare chi possa realmente non solo colmarla, ma renderla sorgente che zampilla per la vita eterna, fonte che disseta non solo l’assetato, ma, nell’annunzio del vangelo, ogni uomo». Le donne che Gesù sceglie come interlocutrici privilegiate sono vive perché dominate da questo desiderio d’amore, che le ha condotte anche al peccato. A lui interessa solamente l’amore, e la samaritana, come la peccatrice redenta, da molti identificata con Maddalena, è una donna capace di amore, anche prima di conoscere Gesù: «Già precedentemente essa avrà vissuto in una specie di amore, di un amore però che non le impediva di peccare, che non era più forte della sua volontà di peccato. Si trattava di un amore che avanzava tastoni alla cieca, di un amore carico di speranza. Quello che era in lei puro, era forse più speranza che amore» scrive Adrienne von Speyr. Ma per Gesù l’amore è uno solo: non esiste un amore sbagliato e uno giusto. Per questo non disprezza le due donne, Maddalena e la samaritana, per la loro sete di amore umano, ma si limita a insegnare loro qual è il vero amore. Senza dubbio è stato Benedetto XVI, nel commento all’episodio della samaritana - ma soprattutto nell’enciclica Deus caritas est, come indica chiaramente nella prefazione - a spiegare con maggiore chiarezza questa verità: «I temi “Dio”, “Cristo” e “amore” sono fusi insieme come guida centrale della fede cristiana. Volevo mostrare l’umanità della fede, di cui fa parte l’eros - il “sì” dell’uomo alla sua corporeità creata da Dio, un “sì” che nel matrimonio indissolubile tra uomo e donna trova la sua forma radicata nella creazione». Proprio per questa capacità di amore che anima le donne, la loro presenza nei Vangeli è così incisiva e importante. Scrive Quéré: «Si è colpiti, lungo tutti i vangeli, chiunque ne sia l’autore, dall’estrema decisione delle donne, dal loro spirito di iniziativa, dalla loro lucida audacia, dalla loro ostinazione, dalla qualità della loro intelligenza. Esse sono le compagne reali del Cristo. Discutono con lui e per lui allo stesso tempo, l’amano, in breve si conducono liberamente, degnamente». Attraverso le loro parole, o ancora di più attraverso i loro gesti, si capisce chiaramente come la fede non sia una cosa rigida, definita, ma un principio di vita che suggerisce azioni improvvise, come la corsa della samaritana per avvertire il suo popolo, o la scelta di onorare Gesù con unguenti preziosi. Gesti spontanei, dettati dall’amore e indifferenti all’opinione degli altri, gesti coraggiosi e originali, come le parole semplici ma convincenti che la samaritana troverà per farsi ascoltare. Le donne sono animate da un amore che le riempie di speranza, nonostante la loro condizione emarginata e spesso dolorosa. Anche la samaritana, in poche parole, rivela una vita di delusioni e fatiche, segnata ogni giorno dalle incombenze quotidiane e dalla solitudine. Ma capace di cogliere ogni segnale di speranza: lo possiamo vedere anche dall’inusuale orario in cui si reca a prendere l’acqua. Non sappiamo come mai la donna sia andata al pozzo nella calura di mezzogiorno, e non nelle ore in cui solitamente le donne attingevano acqua, all’alba e al tramonto. Forse ha sentito un richiamo, ha risposto a una improvvisa necessità: in questo suo affrontare la canicola è nascosta la speranza di un nuovo inizio. In tutto l’episodio, però, la speranza è come una luce che risplende attraverso la narrazione, inespressa eppure adempiuta. Siamo sicuri che, da questo momento, per quella donna tutto cambierà perché è cambiato il suo cuore.
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