In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio».
Ermes Ronchi: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio...». Versetto decisivo, centro del Vangelo di Giovanni, la rivelazione più profonda del volto di Dio, parole da riassaporare ogni giorno e alle quali aggrapparci forte nel passaggio supremo: Dio ha tanto amato. A queste parole la notte si illumina, qui possiamo rinascere alla fiducia, alla speranza, alla serena pace, alla voglia di amare e di vivere.
La rivelazione di Gesù è questa: Dio ha considerato il mondo, ogni essere vivente, ha considerato te, più importante di se stesso. Non solo l'uomo, è il mondo che è amato, la terra e gli animali e le piante e la creazione intera. E se egli ha amato il mondo, anch'io voglio amare questa terra. Custodire e coltivare persone e tante altre creature, piccole o grandi, perché tutte vivano e fioriscano: il mondo come il grande giardino di Dio e noi i suoi piccoli «giardinieri planetari».
Dio ha tanto amato: anche noi come lui abbiamo bisogno di amare tanto per stare bene. Noi e lui ci assomigliamo. Allora tutti i gesti di cura, di tenerezza, di amicizia verso ogni cosa che vive, ci avvicinano all'assoluto di Dio, rivelano il volto di Dio.
«Dio non ha mandato il Figlio per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato». Ciò che muove Dio non è la giustizia da applicare. Non è venuto dentro la logica di un tribunale. Non è il peccato dell'uomo, ma l'amore per l'uomo che spiega la vicenda di Gesù.
Se lo capisci, non avrai mai più paura di Dio, perché l'amore con la paura non ha niente a che fare. L'amore invece ha tanto a che fare con la felicità. È venuto perché il mondo sia salvato..., salvato dal disamore, il grande peccato.
«Chi crede in lui non è condannato. Ma chi non crede è già stato condannato».
Gesù sembra ora contraddirsi parlando di condanna, ma «condannato» vuol dire che non trova la pienezza, si smarrisce, non conosce la vera gioia, rimane sterile.
Chi invece crede... Ma in che cosa crede il cristiano? Noi abbiamo creduto all'amore (1Gv 4,16). Ci fidiamo e ci affidiamo all'amore come forma di Dio, forma dell'uomo, forma del vivere. È ciò che propone la festa della Trinità: Dio non è in se stesso solitudine ma flusso d'amore che riversa verità, intelligenza vita oltre sé, fuori di sé. Una casa aperta.
Nella Trinità c'è un progetto bellissimo per noi: è possibile raggiungere la nostra piena umanità e felicità, nella comunione. La Trinità è lo specchio del nostro cuore profondo, e del senso ultimo dell'universo. Davanti alla Trinità, io mi sento piccolo ma convocato a creare legami.
Piccolo ma abbracciato, come un bambino: abbracciato dentro un vento in cui naviga l'intero creato e che ha nome amore.
(Letture: Esodo 34, 4-6. 8-9; 2 Corinzi 13, 11-13; Giovanni 3,16-18)
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