Donne della fede:
Gesù e le donne nel Vangelo
di Giovanni
di Bruno Forte, Padre Arcivescovo
(“Lectio divina” ai Consacrati, 2
Febbraio 2013, Cattedrale di Chieti)
L’eredità biblica riguardo alla donna,
così come giunge a Gesù di Nazaret nell’ambiente culturale dell’Israele del suo
tempo, può esprimersi in tre componenti: la bontà degli inizi; la relazione
ferita e il protagonismo straordinario di singole figure femminili.
La bontà degli inizi è
testimoniata soprattutto nel capitolo 2 della Genesi, in cui la metafora della
costola di Adamo da cui è tratta Eva - la “vita” - mostra l’assoluta parità di
dignità e la reciprocità nella relazione interpersonale fra la donna e l’uomo
(i commentatori ebrei sottolineano la bella unità suggerita dal gioco di parole
ish =
uomo, ishah =
donna, osservando come la differenza fra i due termini libera le lettere del
Nome divino).
Gesù ristabilisce con la donna la
relazione originaria, e ancor più ne valorizza il ruolo nella
nuova creazione operata dal Suo avvento
nella storia. Egli si dimostra totalmente libero dai tabù che gravano sulle
donne che incontra nel suo ministero: si lascia toccare dall’emorroissa (cf. Mt
9,20ss); accetta l’omaggio della peccatrice (Lc 7,26-50); domanda dell’acqua a
una straniera da non frequentare, una Samaritana (Gv 4). Da Maria
nell’annunciazione alle donne dei racconti pasquali i Vangeli testimoniano un
susseguirsi di figure femminili: c’è perfino un gruppo di donne itineranti che
seguono Gesù (Lc 8,2s; Mt 27,55s e Mc 15,40s). “Tutte queste donne del Vangelo
compongono una figura ben più complessa della condizione femminile di quanto ci
si potesse attendere. Non ci si può attenere ad un’immagine di donna confinata
allo spazio domestico e che sarebbe tenuta a
distanza dai grandi avvenimenti giocati
in quei giorni ... L’audacia e l’iniziativa caratterizzano molte di loro ...
Parecchie sono modelli d’intelligenza spirituale che superano di molto gli
uomini della cerchia di Gesù”. Un punto è chiaro: “Nei Vangeli la divisione non
passa fra i sessi, ma fra i poveri che affidano la loro desolazione o la loro
indigenza a Cristo e coloro che, dicendosi giusti o credendosi giustificati,
sono indifferenti o ostili alla salvezza che Egli porta”. Inoltre, appare in questi
testi una “superiore facilità delle donne a comprendere quanto Gesù dice e a
riconoscere il dono che Egli porta”. Forse perché, escluse da ogni potere in
base alle regole sociali del tempo, esse sono più libere dall’orgoglio
spirituale, che acceca, e più disponibili al servizio e all’accoglienza.
Come le donne dei Vangeli hanno
incontrato Gesù aprendosi alla fede in Lui? Qual è stato il loro cammino verso
l’accoglienza del Suo mistero? Che cosa questo incontro ha comportato per la loro
vita? Le risposte variano naturalmente in rapporto ai diversi personaggi
femminili di cui parlano gli Evangelisti: e la ricchezza di esperienze e di
modelli è in realtà superiore a ogni ottimistica aspettativa. Ecco perché
occorre fare delle scelte: il Vangelo di Giovanni - con la sua peculiare
attitudine al simbolo - offre già da solo molto materiale. Ci fermiamo su
quattro episodi, indicativi di quattro forme fondamentali dell’incontro col
Signore vissuto dalle donne, che parla però a tutti e stimola ciascuno a
trovare la sua via verso di Lui. Nell’incontro con la Samaritana al Pozzo di Giacobbe è la fede come cammino di libertà che si rivela; in quello con l’adultera è la forza della verità che trionfa attraverso
un cuore umile; nella resurrezione
di Lazzaro è la fede audace di
Marta, nutrita di amicizia, che emerge; nella visita delle donne al sepolcro il giorno di Pasqua è il dinamismo dell’amore che si lascia
riconoscere.
Gv 4,1-42: La Samaritana, un incontro che rende liberi.
“Giunse
Gesù ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe
aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c'era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque,
stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò
intanto una donna di Samaria ad attingere acqua”
(vv. 5-7). La Samaritana è una
persona che si nasconde: dagli altri, tanto è vero che va al pozzo nell’ora in
cui nessuno ci sarebbe
stato, l’ora più calda del giorno (“Era verso mezzogiorno”),
per non essere vista e fatta oggetto
di giudizi; da se stessa, perché cerca di trasferire il discorso su questioni
grandi, oggettive, in
modo da non essere lei al centro (“Signore, vedo che tu sei un
profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è
Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare”); dalla sua storia, perché dice una mezza
verità sul suo passato: “Non ho marito”.
Gesù la libera progressivamente
e con delicatezza dalle sue maschere: prendendo l’iniziativa dell’incontro,
rompe tutti
i pregiudizi razziali, sociali, relativi alla differenza sessuale (in quanto
donna, samaritana - appartenente
a un gruppo disprezzato, che era stato occupato da genti idolatriche
provenienti da cinque
regioni diverse secondo 2 Re 17,24-41, la donna coi suoi cinque mariti è
simbolo del popolo intero
- ed in quanto ripetutamente adultera quella donna andava tenuta a distanza
secondo la logica del
tempo). Mostrando la rilevanza soggettiva dei discorsi oggettivi, come quello
sull’acqua viva, Gesù
la porta a coinvolgersi in prima persona: “ ‘Chi
beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io
gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna’.
‘Signore, gli disse la donna, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e
non continui a venire qui ad attingere acqua’ ”
(vv.14s). Dicendole, infine, la verità sul suo passato, la restituisce alla integralità del suo
cammino, investito dalla luce della misericordia divina: “Hai detto bene ‘non ho marito’; infatti hai avuto
cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il
vero” (vv. 17s). La donna si lascia
liberare progressivamente: non è prigioniera dell’orgoglio spirituale,
percepisce l’amore che sana e perdona. “Signore,
vedo che tu sei un profeta”.
Così, viene liberata nell’incontro con Gesù e la confessione di fede cui giunge
la trasmette agli altri con audacia, senza più paura: “La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e
disse alla gente:
‘Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse
il Messia?’. Uscirono
allora dalla città e andavano da lui... Molti Samaritani di quella città
credettero in lui per le
parole della donna” (vv. 28-30. 39). Avrebbe avuto un
dottore della legge la stessa docilità, lo stesso amore umile per perdere e così
ritrovarsi a un nuovo, più alto livello? È veramente femminile questa capacità
di accogliere in profondità, di lasciarsi inondare dalla luce che si offre
attraverso parole
e gesti di verità e di misericordia...
Gv 8,1-11: L’Adultera, la forza della verità.
“Gesù
si avviò allora verso il monte degli Ulivi. Ma all'alba si recò di nuovo nel
tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava.
Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e,
postala nel mezzo, gli dicono: ‘Maestro, questa donna è stata sorpresa in
flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne
come questa. Tu che ne dici?’. Questo dicevano per metterlo alla prova e per
avere di che accusarlo” (vv. 1-6). Agli occhi degli uomini
gli imputati sono
due, l’adultera e Gesù, che mette in discussione la prassi di lapidarla. “Ecce
duo sunt: misera et
misericordia”, dirà Sant’Agostino. Gesù riporta tutto alla verità del porsi
sotto lo sguardo di Dio: se
per Deuteronomio 17,7 dovevano essere i testimoni a scagliare la prima pietra,
Gesù chiama ognuno
a mettersi sotto la luce di quello sguardo: “Chi
di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei… Ma quelli,
udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli
ultimi” (vv. 7. 9). È decisivo il movimento
dello sguardo di Lui: prima rivolto alla
terra (“Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per
terra… E chinatosi di nuovo, scriveva per terra”:
vv. 7-8), poi evidentemente alla donna, che resta sola davanti a Lui, avvolta
per la prima volta
da uno sguardo che non è né di cupidigia, né di giudizio, ma di verità e di
misericordia: “Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi
allora Gesù le disse: ‘Donna, dove sono?
Nessuno ti ha condannata?’. Ed
essa rispose: ‘Nessuno, Signore’. E Gesù le disse: ‘Neanch'io ti condanno; và e
d'ora in poi non peccare più’ ” (vv. 9-11). Gesù non costringe la
persona nel suo passato,
ma la spiega e la libera a partire dal suo futuro. Sei quello che diventerai...
La donna può iniziare
una vita nuova perché si è lasciata liberare dallo sguardo della Verità: ci
insegna che la grandezza
di uno spirito si misura dal grado di verità che è capace di sopportare. E
mediamente sembra
che le donne del Vangelo siano capaci più degli uomini di sopportare lo sguardo
liberante della
Verità...
Gv 11,1-44: Marta, l’amicizia e l’audacia della fede.
Il rapporto di Gesù con Marta come con
sua sorella Maria e il fratello Lazzaro è di profonda amicizia: libera e irruente,
Marta non esita a rimproverare Gesù, quasi a insegnargli... il mestiere di
Messia (lo fa nella bellissima scena di Lc10,38-42, dove il senso vero non è la
preferenza della vita contemplativa sull’attiva, ma la necessità che un
rapporto vero sia costruito non sull’interesse pur nobilissimo del fare, ma
sull’accoglienza e l’ascolto interpersonale; e lo fa qui, quasi a rimproverarlo
di poca tempestività... messianica).
“Marta
dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava
seduta in casa. Marta disse a Gesù: ‘Signore, se tu fossi stato qui, mio
fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio,
egli te la concederà’. Gesù le disse: Tuo fratello risusciterà’ ”
(vv. 20-23). Tuttavia, è proprio questa totale assenza di forme esteriori,
questo andare subito
all’essenziale che la conduce a fare una delle professioni di fede più alte di
tutto il Vangelo: “Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di
Dio che deve venire nel mondo” (v. 27). È l’amore che vede l’invisibile, non un
sapere arido o peggio ancora un formalismo legale. E Gesù accetta di essere così profondamente
coinvolto in questo registro dell’amore, che non ferma le lacrime e libera il pudore dei
sentimenti veri e profondi: “Gesù quando la vide piangere e
piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si
turbò e disse: ‘Dove l'avete posto?’. Gli dissero: ‘Signore, vieni a vedere!’.
Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: ‘Vedi come lo amava!’ ”
(vv. 33-36). È una donna, con la sua amicizia vera, col suo amore senza fronzoli e senza possessività, che
induce Gesù a compiere il grande segno di restituire la vita a un amico morto: “Lazzaro, vieni fuori!”.
È l’amore audace che libera l’impossibile possibilità di Dio. E questo nei Vangeli è operato da una
donna (qui Marta, a Cana Maria, la donna: cf. Gv 2).
Gv 20, 1-18: Maria Maddalena, il dinamismo dell’amore.
Maria rappresenta il dinamismo dell’amore: l’amore
che cerca, l’amore che trova, l’amore che dona. Umanamente andare al sepolcro a
prim’ora, da sola, era un gesto di puro amore, al di là di ogni logica: l’amor
“che a null’amato amar perdona” (Dante). “Nel
giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino,
quand'era ancora buio”. Per Maria Gesù, l’Amato del suo cuore, non può essere
morto, anche se è morto. È questa logica dell’impossibile che la spinge a
cercarlo: ed è significativo che sia una donna a viverla, quasi gli uomini
fossero resi ciechi dalle evidenze per vedere al di là dell’ovvio e del
visibile. In Gesù, con intuizione singolare, Maria riconosce inizialmente il
custode del giardino, il giardiniere del giardino della nuova creazione, così
come il Dio creatore lo era stato dell’opera dei sei giorni: ella “si voltò
indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che
era Gesù. Le disse Gesù: ‘Donna, perché piangi? Chi cerchi?’. Essa, pensando
che fosse il custode del giardino, gli disse: ‘Signore, se l'hai portato via
tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo’ ” (vv.
14s). È in una donna che si compie la sintesi più audace di tutta la
storia della salvezza, l’incontro di inizio e compimento. “Gesù le
disse: ‘Maria!’. Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico:
‘Rabbunì!’, che significa: Maestro! Gesù le disse: ‘Non mi trattenere, perché
non sono ancora salito al Padre; ma và dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al
Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro’” (vv.
16s), Quando Maria è chiamata per nome,
allora il suo amore vede e la confessione diventa: “Maestro
mio”. Quel
possessivo dice come la Verità
debba essere sempre appropriata alla persona, non sia qualcosa, ma Qualcuno. Il dinamismo
dell’amore non si ferma però qui: Non mi trattenere, vuol dire che l’amore non
è, non deve
essere possessività gelosa. Maria andrà a dare agli altri quanto ha
gratuitamente ricevuto: è l’apostola del Risorto. “Maria di
Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: ‘Ho visto il Signore’ e anche
ciò che le aveva detto’” (v. 18). E il fatto che siano le donne le prime
testimoni della
resurrezione - dato lo scarso valore che nel contesto del tempo aveva la loro
testimonianza – è la prova
più chiara della storicità di quell’incontro, che - se fosse stato inventato -
nessuno avrebbe attribuito
ad una donna. Le donne sono all’inizio della nostra fede: e arrivano prima,
perché amano con un
amore che prevede, anticipa e fa sintesi, più di tanti discorsi di dotti e di
sapienti..
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