Nel nostro itinerario lungo le asperità testuali del quarto Vangelo abbiamo già incontrato la figura del “discepolo che Gesù amava”, presente sei volte solo nella parte terminale dello scritto, in connessione con la passione, morte e risurrezione di Cristo. Identificato dalla maggior parte degli esegeti con l’apostolo Giovanni, egli entra ora in scena nel finale stesso del Vangelo, dopo l’incontro del Risorto con Pietro, in un dialogo tra costui e lo stesso Gesù fatto di battute a prima vista piuttosto strane.
Pietro, infatti, chiede a Cristo: «Signore, che cosa sarà di lui?» (21,21), una domanda che in greco è ridotta al minimo, hoútos de tí; «Ma... e lui?». E Gesù replica: «Supponendo che io voglia che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Preòccupati piuttosto di seguirmi!» (21,22). Tutto ruota attorno a due elementi. Il primo è quel “rimanere”, in greco ménein che può significare “rimanere in vita”.
Pietro, infatti, chiede a Cristo: «Signore, che cosa sarà di lui?» (21,21), una domanda che in greco è ridotta al minimo, hoútos de tí; «Ma... e lui?». E Gesù replica: «Supponendo che io voglia che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Preòccupati piuttosto di seguirmi!» (21,22). Tutto ruota attorno a due elementi. Il primo è quel “rimanere”, in greco ménein che può significare “rimanere in vita”.
È vero, però, che il verbo nell'uso giovanneo indica il “restare in comunione nell'amore” e, quindi, il valore sarebbe più simbolico e spirituale. Tuttavia, il commento che l’evangelista aggiunge, come vedremo, ribadisce la prima interpretazione sul “rimanere in vita”. Il secondo dato è quel «finché io venga»: la frase rimanda alla seconda venuta di Cristo alla fine dei tempi. Abbiamo, così, un’informazione interessante su un’idea diffusa nella comunità delle origini e che era presente anche nella Chiesa di Tessalonica, come atte stano le due Lettere paoline indirizzate ai cristiani Tessalonicesi: si pensava che la seconda venuta o parusía di Cristo per porre il suggello alla storia avrebbe avuto luogo in un arco di tempo breve dopo la risurrezione.
Ecco, allora, il commento dell’evangelista che registra e smentisce una falsa convinzione legata alle parole di Cristo che avevano, invece, un taglio paradossale per distogliere san Pietro dall'interesse per la sorte del discepolo amato: «Si diffuse tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù, però, non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?» (21,23). Nonostante questa puntuale smentita, la tradizione popolare continuò a fantasticare: il discepolo amato da allora vagherebbe per il mondo sino alla fine dei tempi, oppure dormirebbe nella sua tomba a Efeso e certi sismi che si sono verificati in quell'area sarebbero il segno che egli respira e si agita...!
23 gennaio 2014
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