lunedì 16 febbraio 2015

Le parabole del Signore

Georges André (1955), http://www.bibbiaweb.org/ga/ga_parabole.html

1. Semina e mietitura

"Il seme è la parola di Dio" (Luca 8: 11)
La vita
La legge diceva: "Fa questo e vivrai". Ma l'uomo è incapace di "fare"; agli occhi di Dio, egli è morto (Efesini 2). E' per questo che il divino Seminatore è uscito a seminare. Egli reca la parola di vita, quella sola parola che rigenera (1 Pietro 1: 23); genera (Giacomo 1: 18); produce la nuova nascita (Giovanni 3); e ci fa partecipi della natura divina (2 Pietro 1: 4).

          1.1 La semina

             a) Il seminatore

(Matteo 13; Marco 4; Luca 8)
Uscito dalla "casa" (Israele, coma la legge l'aveva costituito), Gesu si siede vicino al "mare" (figura dall'intera umanità): egli vuole recare alle folle qualcosa di completamente nuovo.
Questo seme - la Parola di Dio - cadrà su quattro terreni diversi:
- la strada: il cuore indurito dall'abitudine e dalla distrazione, come un luogo in cui vi si passa e ripassa continuamente;
- la roccia: il cuore duro, inconvertito, che ha soltanto l'apparenza della vita, nella quale la semenza non ha messo radice;
- le spine: il cuore non "sgombro", in cui l'erba cattiva che vi cresce soffocherà la buona semenza;
- la buona terra: il cuore che si è lasciato "lavorare" da Dio, e nel quale, se vi sarà del frutto, ciò non sarà grazie alla qualità del terreno, ma solo grazie alla semenza!
Chi è il seminatore? Nella sua interpretazione, il Signore non lo precisa, come invece fa nella parabola delle zizzanie (Matteo 13: 37). Prima di tutto il seminatore rappresenta Cristo stesso; ma è anche figura dei suoi discepoli (Ebrei 2: 3-4) e di tutti i credenti, ai quali egli concede il favore di essere uniti a Lui in questo prezioso servizio, al fine di diffondere l'Evangelo (2 Corinzi 9: 10); infine il seminatore prefigura il residuo futuro d'Israele che predicherà l'Evangelo del regno.
Quali sono gli ostacoli che impediscono alla Parola di portare del frutto? Gli uccelli che rappresentano il diavolo, sempre opposto a Cristo; la roccia, figura della carne, che "ha desideri contrari allo Spirito" (Galati 5: 17); le spine, simbolo del mondo - se uno lo ama, "l'amore del Padre non è in lui" (1 Giovanni 2: 15).
Gli uccelli
"Subito viene Satana e porta via la Parola seminata".
Azione rapida del maligno, che approfitta dell'insensibilità del cuore per cancellare ogni traccia della Parola che è stata udita. Come si è indurito il cuore? Per i figli di cristiani in particolare, non è forse con l'abitudine di udire la Parola senza farvi attenzione? "Oggi, se udite la sua voce, non indurate i vostri cuori" (questo avviene di volta in volta un po' di più).
La roccia
Se la strada è dura in superficie, la roccia è dura anche interiormente: è il cuore dell'uomo!
In qualche fessura della roccia può esserci un po' di terra (dei sentimenti, un interesse religioso) ma i germogli nati lì "non hanno radice in sé", dichiara il Signore. La Parola è stata ricevuta "con allegrezza"; c'è dell'entusiasmo, un'influenza, un ambiente, ma non è che apparenza, superficialità, una condizione precaria: "Sono di corta durata". Ognuno è messo alla prova (Giacomo 1: 12), ma non tutti sono trovati fedeli! E quando viene il sole della sofferenza, della persecuzione (Matteo e Marco) o della prova (Luca), coloro che non hanno lasciato dissodare profondamente i loro cuori dal Signore sono subito scandalizzati (Matteo e Marco) e si traggono indietro (Luca).
Non è forse un caso frequente tra noi? Uno ha dichiarato con gioia di appartenere al Signore; un'altro era pieno di zelo; poi si sono trovati in qualche situazione difficile, le sofferenze, il disprezzo... e la pietà si dilegua come la rugiada al mattino.
Le spine
Qui il suolo é migliore di quello roccioso: terra ce n'è, e per un momento si è nutrita qualche speranza: ma è infestato di spine. Di questa raffigurazione della parabola, le spine, abbiamo dal Signore Gesù quattro diverse spiegazioni: le cure mondane, l'inganno delle ricchezze, le cupidigie delle altre cose, i piaceri della vita. Queste nocive occupazioni sembrano essere appaiate: chi si cura molto delle cose della vita (che mangeremo? di che ci vestiremo?) corre lo stesso pericolo di colui che è abbagliato dall'abbondanza delle sue ricchezze; così pure, chi desidera ciò che non possiede è esposto quanto un altro che sprofonda nelle voluttà e nei piaceri. Queste cose, penetrate negli uni e negli altri, soffocano la Parola (Marco 4; 19).
Sulla strada, gli uccelli hanno fatto presto a portar via la Parola seminata; nel terreno roccioso, le poche radici e gli steli troppo esili sono diventati secchi in breve tempo quando il sole s'è alzato; ma le spine agiscono lentamente! Non è in un giorno che scompare la piccola pianta. Comincia una lunga lotta, lenta, inesorabile; se nulla interviene per togliere la cattiva erba, la giovane spiga indebolita, deperita, senza aria e senza luce, muore soffocata.
Nel primo senso della parabola, coloro che hanno ricevuto il seme tra le spine rappresentano probabilmente delle persone che non hanno la vita di Dio, sebbene abbiano manifestato di possederla; ma praticamente le "spine" ci minacciano tutti. Certo, esse non possono farci perdere la salvezza trovata per mezzo della fede nel Signore Gesù, ma possono farci addormentare e impedirci di portare del frutto. Non sono proprio le cure mondane o i piaceri, o le concupiscenze, che lentamente, progressivamente, infiltrandosi nel cuore, portano via il piacere della Parola e delle riunioni intorno al Signore, e poco a poco allontanano da lui?
Che fare? La Parola è "un martello" che spezza il sasso e, nel caso della roccia, potrà ugualmente operare, dissodando il suolo, riducendo a pezzi "l'io". Essa è anche "un fuoco" che può bruciare, cioè condurre a giudicare secondo Dio tutto ciò che soffoca il buon grano. "Gettando su lui ogni vostra sollecitudine, perché Egli ha cura di voi" (1 Pietro 5: 7). "Non abbiate cura della carne per soddisfarne le concupiscenze" (Romani 13: 14).
Tutti coloro che ricevono la semenza nella buona terra odono la parola e, ci dice Matteo, l'intendono: tale è la fede. Marco aggiunge: "La ricevono"; è la sottomissione. Luca precisa: "La ritengono"; prova di una obbedienza costante.
Non pensiamo che questa parabola sia destinata solo ai non convertiti. Gesù dichiara espressamente: "Tutte le volte che uno ode la parola...". Questi avvertimenti sono rivolti a ciascuno di noi, ogni volta che udiamo la Parola o la leggiamo consideriamo la conclusione del Signore: "Ponete mente a ciò che voi udite" (Marco 4: 24) e "Badate dunque come ascoltate" (Luca 8: 18).
Prestiamo dunque attenzione!

             b) Le zizzanie

(Matteo 13: 24-30, 36-43)
Il Signore stesso ha dato l'interpretazione profetica di questa parabola. Noi ne faremo solo l'applicazione pratica.
In Levitico 19: 19 e detto: "Non seminerai il tuo campo con due specie di semi". Ecco un campo ben seminato, "ma mentre gli uomini dormivano", viene il nemico. semina la zizzania in mezzo al frumento, e se ne va. Nella parabola del seminatore, il nemico porta via la Parola. Qui, egli viene a seminare un'erba cattiva.
Quando gli uomini si risvegliano, non notano nulla. I giovani germogli di grano crescono e si ingrandiscono e solo "quando l'erba fu nata ed ebbe fatto frutto, allora apparvero anche le zizzanie".
Si è letto un certo libro, si è assistito a un certo spettacolo. Non sembra che ne sia derivato alcun male, salvo forse il sentimento penoso del tempo sciupato; ma più tardi la zizzania germoglia. Un certo errore, in cui si era caduti, è stato capito; si è creduto di essersene resi conto e di averlo eliminato, ma più tardi ricompare. Dei genitori hanno allevato i loro figli nel timore del Signore, hanno insegnato a loro la Parola; questi l'hanno letta e hanno frequentato le riunioni. Poi, a una certa età, zampillano nel loro spirito ogni sorta di ragionamenti, di dubbi o di diverse concupiscenze. Da dove vengono?, dicono i genitori. Non abbiamo insegnato cose giuste ai nostri figli? Certamente; ma a un certo momento il nemico ha saputo seminare la zizzania. Non si è visto nulla per un po' di tempo; è passato qualche mese, degli anni; ed ora si manifesta il funesto risultato del suo lavoro. Il raccolto è compromesso, la forza è stata sprecata, il suolo impoverito!
Che avverrà al tempo della mietitura? La zizzania sarà bruciata! Come il legno, il fieno, la paglia di 1 Corinzi 3.
Non dobbiamo noi ripetere: Facciamo attenzione?

          1.2 La crescita

             a) La crescita normale

(Marco 4: 26-29)
Una breve parabola segue quella del seminatore per mostrarci che la crescita è la conseguenza naturale della vita: "La terra da se stessa dà il suo frutto: prima l'erba; poi la spiga; poi, nella spiga, il grano ben formato". Nessuno sforzo da fare, nessuna energia umana da impiegare per portare del frutto a qualunque costo. Basta lasciare agire la vita. Ma, perché cresca, Il seme ha dovuto germinare e mettere radice, e gli ostacoli - roccia, spine - han dovuto essere eliminati. Si tratta di stendere le sue radici verso l'acqua (Geremia 17: 8; Salmo 1: 3) e di lasciare che la luce dall'alto illumini l'anima. Il frutto non è prodotto in un giorno. La crescita è lenta e progressiva. Per la maturazione bisogna avere pazienza (Luca 8: 15).
In 2 Timoteo 2: 6, il lavoratore ha innanzitutto lavorato; in Giacomo 5: 7, "aspetta il prezioso frutto della terra"; e se pensiamo al divino Lavoratore, Isaia 53: 11 aggiunge che "Egli vedrà il frutto del tormento (o del lavoro) dell'anima sua".

             b) La crescita anormale

Il granello di senape (Matteo 13: 31-32; Marco 4: 30-33; Luca 13: 18-19)
Una pianta abitualmente di piccola altezza, a malapena un alberello, "quando è cresciuto... diviene un albero; tanto che gli uccelli del cielo vengono a ripararsi tra i suoi rami". Indipendentemente dalla sua portata profetica relativa allo sviluppo della cristianità nel mondo, questa parabola contiene un avvertimento per noi a non volerci elevare, dominare, porci al di sopra degli altri, divenire, per così dire, albero. Come gli uccelli tra i suoi rami, il nemico farebbe presto a introdursi, producendo risultati funesti nella vita di chi volesse innalzarsi al di sopra dei suoi fratelli.
Il lievito (Matteo 13: 33; Luca 13: 20-21)
Nell'offerta del pane, il lievito non trovava posto. Il fior di farina ci parla innanzitutto di Cristo; il lievito che la donna prende e nasconde, ci parla delle false dottrine o dei cattivi insegnamenti concernenti la Sua persona; altrove il lievito è una figura del male morale (1 Corinzi 5: 6), o del male dottrinale (Galati 5: 9). Esso produce quel "gonfiarsi" della carne, quell'innalzarsi dell' "io", che conduce sia all'ipocrisia (il lievito dei Farisei), sia alla corruzione, pericolo tanto più grande quanto più esso si estende a "tutta la pasta".

          1.3 Il frutto

"Ogni albero si riconosce dal suo proprio frutto", ci dice Luca 6: 44. Di quale natura è il frutto che noi portiamo?
Nelle sue parabole, il Signore sottolinea che il Padre cerca del frutto.
In quella dei cattivi vignaiuoli (Matteo 21: 33-44; Marco 12: 1-9; Luca 20: 9-16), il padrone manda i suoi servitori per ricevere i frutti della sua vigna, ma non ottiene niente. Egli invia pure il suo "figlio unico", ma non raccoglie un grappolo in più. La vigna non ha fruttato nulla? Al contrario, ma i lavoratori hanno tenuto il frutto per loro stessi. Questa non è sovente la nostra immagine? Abbiamo ricevuto molto dal Signore! Ma per che cosa e per chi impieghiamo tutto questo? Per Lui o per noi stessi? Attenzione: "Egli morì per tutti, affinché quelli che vivono non vivano più per loro stessi, ma per Colui che è morto e risuscitato per loro" (2 Corinzi 5: 15) ! Come di morti fatti viventi, noi siamo chiamati a presentare noi stessi a Dio, e le nostre membra come strumenti di giustizia (Romani 6: 13). Lo facciamo? Oppure tutto il nostro lavoro, le nostre membra e noi stessi, sono riservati al nostro solo ed egoistico uso?
Nella parabola del fico sterile (Luca 13: 6-9), il padrone viene a cercare del frutto, ma non ne trova. Il coltivatore non ha più serbato il frutto per sé, ma è l'albero che non ne ha prodotto. Con pazienza, il padrone è ritornato per tre anni di seguito: nessun risultato! "Perché sta lì a rendere improduttivo anche il terreno?". Vi è allora l'intercessione del vignaiuolo, figura del Signore Gesù, che si prenderà ancora cura dell'albero "e forse darà frutto in avvenire"; se no, sarà tagliato. In quanto a noi stessi, siamo sicuri di non "rendere improduttivo anche il terreno?"
La parabola del seminatore aveva ricordato che non tutti producono del frutto nella stessa misura, ma chi trenta, chi sessanta e chi cento.
Nella parabola di Giovanni 15, il Signore fa vedere che il Padre toglie il tralcio che non dà frutto; ma se vi è del frutto, il Padre rimonda il tralcio affinchè dia più frutto. Se noi dimoriamo in Cristo, vi sarà molto frutto e il Padre sarà glorificato.
Nella parabola dei cattivi vignaiuoli, il Figlio è l'inviato del Padre; in quella del fico sterile, l'intercessore; in quest'ultima, la sorgente stessa di ogni frutto, la vera vite, il vero ceppo; ma è sempre il Padre che cerca del frutto e che, se ve n'è, è glorificato.
Il frutto si rivela principalmente in ciò che uno è (Galati 5: 22-23), nell'attitudine, nel carattere, nella personalità. Il servizio si esprime attraverso delle azioni: ciò che uno fa. Ma le due cose vanno insieme e non possono essere separate: "Portando del frutto in ogni opera buona". Ciò che noi facciamo conta, ma di più conta come lo facciamo. L'attività per il Signore, o meglio la presunta attività, di uno la cui condotta smentisca poi questa attività, e che mai porterà del frutto, sarà una pessima testimonianza, se non addirittura un ostacolo. Per contro, anche nell'inattività forzata (dovuta, ad esempio, a malattia o a prigionia per l'Evangelo), allorquando non rimane altro che il servizio della preghiera, ed eventualmente quello della corrispondenza, il seme che ha messo radice nel cuore, può portar frutto, anche al centuplo.

          1.4 La messe

             a) La manifestazione del frutto prodotto

Molte parabole ci mostrano che il giorno della mietitura mette in evidenza se vi è del frutto, di qual genere sia e quanto sia. Galati 6: 7-10 ne riassume tutto l'insegnamento: "Quello che l'uomo avrà seminato, quello pure mieterà... se non ci stanchiamo, mieteremo a suo tempo". Nella luce di questo giorno, sarà manifestato se uno ha seminato per la sua propria carne, raccogliendo la corruzione, oppure per lo Spirito, mietendo dallo Spirito la vita eterna. Già sulla terra si discerne talvolta la qualità del frutto prodotto; ma quanto sarà viva la luce che metterà tutto in evidenza nel giorno del tribunale di Cristo! D'altronde ci è detto: "Chi semina scarsamente mieterà altresì scarsamente; e chi semina liberalmente mieterà altresì liberalmente" (2 Corinzi 9: 6).

             b) Le anime salvate

In parecchie parabole, la mietitura corrisponde all'adunata degli eletti. In Giovanni 4: 35-36, parlando ai suoi discepoli, il Signore dice: "Mirate le campagne come già son bianche da mietere"; e li incoraggia aggiungendo: "Il mietitore riceve premio e raccoglie frutto per la vita eterna, affinché il seminatore e il mietitore si rallegrino assieme". Dio si serve generalmente di più strumenti per portare un'anima a Cristo; molte persone hanno spesso dovuto seminare in un cuore finché sia venuto al Salvatore. E colui di cui Dio si servirà al momento decisivo in cui l'anima si volgerà verso Lui, non sarà che l'ultimo anello di una lunga catena.
Gli operai del Signore non sono che strumenti, dei messaggeri. E' bastato che Lui, il vero chicco di grano caduto in terra, morisse perché producesse molto frutto (Giovanni 12: 24).
Il Salmo 126: 5-6 ci illustra bene questo duplice quadro. Coloro che seminano sono messi in parallelo con Colui che va recando la semenza. Essi seminano "con lacrime" e Lui "va piangendo". E' impossibile lavorare nell'opera del Signore e spandere il divino seme senza incontrare, come il Signore stesso, molte lacrime nel duro lavoro lungo i solchi del campo. Ma se i servitori partecipano alle lacrime, anch'essi, come il loro Maestro, hanno parte alla mietitura e ai canti di gioia. Ma solo di Lui è detto: "Tornerà... porterà i suoi covoni"; questi appartengono a Lui e a nessuno dei suoi servitori; per loro Egli è morto; essi sono il frutto del tormento dell'anima sua, e di cui Egli sarà soddisfatto in eterno.


      2. La salvezza

          2.1 La responsabilità di andare a Cristo

             a) La porta stretta

(Luca 13: 22-30; Matteo 7: 13-14)
"Signore, son pochi i salvati?", domandò un uomo che vide Gesù passare per la strada con alcuni discepoli. E Gesù rispose: "Sforzatevi d'entrare per la porta stretta": che t'importa il numero di coloro che saranno salvati? L'importante è che tu sia del numero! Ci si preoccupa spesso della sorte dei pagani e si discute molto sulla predestinazione. Ma ciò che conta innanzitutto è di andare a Cristo; ciascuno, individualmente!
La porta stretta ci parla di decisione. Vi sono dei giorni, delle ore, in cui lo Spirito di Dio lavora nella coscienza e nel cuore; si lascerà che passino senza decidersi per Cristo? Vi è una lotta: la carne non si trova a suo agio, vi è sofferenza dinanzi a tutto ciò cui bisogna rinunziare. Chi vincerà? In Matteo 7, è presentata una scelta tra la porta stretta e la porta larga, tra la via stretta e la via spaziosa. Scelta e decisione vitali, perché la via larga conduce alla porta chiusa, alla perdizione eterna.

             b) La casa sulla roccia o sulla sabbia

(Matteo 7: 24-27; Luca 6: 47-49)
Due case, esteriormente simili, sorgono l'una sulla roccia, l'altra sulla sabbia. Il fondamento è nascosto. Non è così di molti giovani allevati, forse, nella stessa famiglia o nello stesso ambiente? Nei cuori degli uni, Cristo ha il suo posto; ma i cuori degli altri Gli sono rimasti chiusi. In Matteo, colui che ha costruito sulla roccia è qualificato "avveduto", l'altro non è solo imprevidente, ma "stolto". In Luca, colui che ha costruito sulla roccia "ha scavato e scavato profondo". Nulla di superficiale. Egli non dice: Io ho sempre creduto; ma un lavoro profondo dello Spirito di Dio ha messo a nudo il peccato del suo cuore, e l'ha condotto alla confessione e al pentimento, alla vera conversione.
Verranno la pioggia, i torrenti, i venti (Matteo), figura di tutta l'opposizione di Satana: oppure una piena e la fiumana (Luca), simbolo del mondo che travolge; il danno sarà tanto più grande quanto più bella era la casa.
Come mettere in pratica le parole del Signore (Matteo 7: 24), fare la volontà del Padre suo e non contentarsi di dire: "Signore, Signore"? (v. 21). Giovanni 6: 29 ci dice: "Questa è l'opera di Dio: che crediate in Colui che Egli ha mandato". Non si tratta solo di una adesione intellettuale, di una certa conoscenza dell'opera compiuta alla croce. Il Signore dice: "Chi mangia la mia carne ebeve il mio sangue ha vita eterna" (v. 54). Bisogna afferrare, per mezzo della fede, che Cristo ha preso un corpo e l'ha dato per noi, che ha versato il suo sangue per togliere i nostri peccati. E' l'accettazione con tutto il nostro spirito, il nostro cuore e la nostra volontà (Apocalisse 22: 17) dell'opera di Cristo, incrollabile fondamento della vita eterna; è l'appropriazione personale, come cibo e bevanda, di un Cristo morto, risposta ai bisogni imperiosi e profondi dell'anima: e non solo un "memoriale" della sua morte come è la cena, istituita da lui "la notte in cui fu tradito".

          2.2 Gli ostacoli

In diverse parabole il Signore mette in evidenza i diversi mezzi che il nemico impiega per impedire alle anime di venire a Lui.

             a) Le scuse

Il gran convito (Matteo 22: 1-14; Luca 14: 15-24)
In Luca, tutti i convitati "cominciarono a scusarsi". Uno aveva comprato un campo: la valutazione del suo bene aveva necessariamente precedenza sull'invito del padrone di casa. Un altro aveva comprato cinque paia di buoi e doveva provarli. Sono gli strumenti del suo lavoro. Le attività quotidiane sovente costituiscono il pretesto per non andare a Cristo: non si ha il tempo di pensare a Lui; vi sono molte cose da fare. Il terzo si era sposato. Quanto spesso è questo un tranello nelle mani del nemico per distogliere un cuore disposto ad avvicinarsi al Signore! Un'affezione per una persona che non conosce il Signore vincola e, forse per sempre, allontana da Lui.
Matteo ci dà il segreto di quelle scuse, dicendo molto semplicemente: "Ma questi non vollero venire (Matteo 22: 3). Il Signore Gesù rimproverava i Farisei: "Non volete venire a me per aver la vita!". Nell'ultimo capitolo della Bibbia, riecheggia ancora l'appello: "Chi vuole, prenda in dono dell'acqua della vita".

             b) La propria giustizia

Nella stessa parabola, Gesù parla di un invitato che non indossava l'abito di nozze (Matteo 22: 11-13). Senza dubbio egli aveva stimato il suo abbigliamento migliore del vestito offerto dal re. Ma basta uno sguardo del re (v. 11) per mettere tutto in luce; una sorte terribile aspetta colui che aveva creduto potersi sedere alla tavola divina, rivestito della sua propria giustizia: è legato, portato via, gettato fuori nelle tenebre, dove sono il pianto e lo stridore dei denti.
Quale contrasto con il figliuol prodigo che, vestito di stracci, accetta con gioia la più bella veste offertagli dal padre!
Il figlio primogenito, in Luca 15, ci dà un altro esempio di questa propria giustizia che rifiuta l'invito della grazia. Quest'uomo era consapevole di tutte le sue virtù: "Ecco, da tanti anni ti servo, e non ho mai trasgredito un tuo comando". Sono numerosi coloro che, come anche il giovane ricco, dicono: "Tutte queste cose io le ho osservate fin dalla mia giovinezza" (Luca 18: 21). All'inizio del racconto del Figliuol prodigo, i due fratelli erano nella casa, allevati nello stesso ambiente e dallo stesso padre. Nel corso della parabola, uno se ne va e il primogenito solo resta in famiglia. Alla fine, il più giovane, ritornato alla vita, è dentro, mentre suo fratello è fuori. Perché fuori? Perché "non volle entrare". Avrebbe preferito sedersi a tavola con i suoi amici e gustare la buona cucina con loro piuttosto che con suo padre e col suo fratello! Malgrado l'insistenza paterna, egli resta fuori, sviato dalla propria logica, la sua giustizia, incapace di afferrare la grazia.

             c) Gli sforzi per correggersi

Sono questi veramente un ostacolo? Matteo 12: 43-45, Luca 11: 24-26, ci danno la risposta nella parabola dello spirito immondo. Questa si riferisce in primo luogo al popolo giudeo, ma ne possiamo fare pure un'applicazione pratica. Questa casa spazzata e ornata, ma vuota, somiglia a un cuore che ha cercato di correggersi, di adornarsi di buone opere, ma in Cristo non ha posto. E se il cuore è vuoto, Satana è pronto a entrarvi, e "l'ultima condizione di quell'uomo diventa peggiore della prima". Così è pure di Laodicea: "Io son ricco, e mi sono arricchito, e non ho bisogno di nulla". E il Signore è alla porta che bussa e supplica: "Se uno ode la mia voce ed apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli meco". Beata posizione quella di un cuore riempito di Cristo, e che non s'è affidato al suoi propri sforzi per correggersi.

             d) L'orgoglio spirituale

Nella parabola del fariseo e del pubblicano (Luca 18: 9-14), il Signore getta una luce cruda su questo formidabile ostacolo, il più grande di tutti, che una volta nel cuore porta a confidare in se stesso e a considerare gli altri uomini come nulla. "Ti ringrazio ch'io non sono come gli altri uomini...": consapevolezza dei suoi privilegi e dell'importanza della sua persona; "Io digiuno...": separazione esteriore dal mondo; "pago la decima...": beneficienza pubblica, buone opere. Cosciente dei suoi propri meriti, accecato nel suo peccato, il fariseo ignora quella grazia divina, che è invece la sola risorsa del pubblicano il quale supplica: "O Dio, sii placato verso me peccatore!".

             e) La prosperità

(Luca 12: 16-21)
Ecco un uomo pieno di sé e delle sue ricchezze. (Quante volte il suo "io" emerge in soli tre versetti!). "Anima, tu hai molti beni riposti per molti anni". Ma Dio gli dice: "Stolto, questa notte stessa l'anima tua ti sarà ridomandata; e quel che hai preparato, di chi sarà?". "E che giova egli all'uomo se guadagna tutto il mondo e perde l'anima sua?" (Marco 8: 36). Abrahamo aveva compreso il tranello teso dal re di Sodoma: "Dammi le persone, e prendi per te la roba" (Genesi 14: 21).
La Parola non condanna il possesso di beni materiali, ma il Signore fa vedere il pericolo d'accumulare ricchezze e di non essere poi ricchi "in vista di Dio". Altrove, egli aggiunge: "Quanto malagevolmente coloro che hanno delle ricchezze entreranno nel regno di Dio!". E quando i discepoli se ne meravigliano, perché le ricchezze rappresentavano sotto la legge una prova del favore divino, e domandano chi può essere salvato, Gesù dice: "Agli uomini è impossibile, ma non a Dio; perché tutto è possibile a Dio" (Marco 10: 23-27).
Chi potrebbe dunque essere salvato, povero o ricco, senza l'opera della grazia divina? Ma Satana sa ben servirsi delle cose della terra per porre davanti a coloro che le possiedono un temibile ostacolo sulla strada della salvezza.

          2.3 Troppo tardi

"Eccolo ora il tempo accettevole; eccolo ora Il giorno della salvezza!", dice la voce divina. "Tu hai del tempo... un'altra volta... domani...", suggerisce Satana all'anima tormentata; pericolo che il Signore mette in evidenza in diverse parabole.

             a) Il ricco e Lazzaro

(Luca 16: 19-31)
Sollevando il velo dell'aldilà, Gesù fa vedere nell'Ades (soggiorno dei morti) il ricco "nei tormenti" (ripetuto quattro volte). E' troppo tardi per essere salvato. "Fra noi e voi è posta una gran voragine", dice la voce del cielo; è impossibile passare dall'Ades al "seno di Abrahamo". La Parola di Dio è chiara e netta; non vi è una seconda possibilità: "E' stabilito che gli uomini muoiano una volta sola, dopo di che viene il giudizio" (Ebrei 9: 27).
Rendendosi conto che per lui è troppo tardi, l'uomo vorrebbe tuttavia che qualcuno dei morti andasse a parlare ai suoi fratelli; ma la Parola esclude e condanna anche severamente ogni relazione con i morti. Non è dal loro avvertimento che può scaturire la vita, ma unicamente dalla Parola di Dio: "Hanno Mosè e i profeti; ascoltino quelli".

             b) L'avversario

(Matteo 5: 25-26; Luca 12: 58-59)
Questa parabola si applica tanto ai Giudei ("Io avrò soddisfazione dai miei avversari..." - Isaia 1: 24) quanto a noi e possiamo capire come è importante fin d'ora essere riconciliati con Dio. "Prepàrati... a incontrare il tuo Dio!", dice il profeta (Amos 4: 12). Incontrare Gesù ora, significa ricevere la vita eterna, essere riconciliati con Dio, trovare un Amico fedele che ci seguirà durante tutto il nostro cammino. Rifiutare questo incontro significa comparire dopo la morte dinanzi al Giudice, che senza misericordia, in quanto è giusto, "ti darà in man delle guardie, e sarai cacciato in prigione" (v. 25). Io ti dico in verità che di là non uscirai, finché tu non abbia pagato l'ultimo quattrino" (v. 26), cosa impossibile a farsi data l'immensità del nostro debito.

             c) La porta chiusa

(Luca 13: 25; Matteo 25: 10)
Coloro che avranno rifiutato d'entrare per la porta stretta (Matteo 7: 13) si troveranno davanti una porta chiusa. Essi supplicano: "Signore, aprici", ma il Padrone di casa non apre. Chi sono dunque questi che restano fuori? Ascoltiamoli: "Noi abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza, e tu hai insegnato nelle nostre piazze!". Rimarranno fuori per sempre proprio coloro che sono stati messi in contatto con Cristo, che hanno udito l'Evangelo ma non hanno avuto la decisione, l'energia d'entrare attraverso la porta stretta. Anche in Matteo 25: 10, quando "l'uscio fu chiuso", rimangono fuori della porta a bussare invano, delle vergini che avevano ricevuto una lampada, che erano uscite a incontrare lo sposo, ma... non avevano dell'olio, non avevano la fede né lo Spirito di Dio.

          2.4 L'opera di Dio

A più riprese, nei suoi insegnamenti, il Signore dà degli avvertimenti alle anime e le mette di fronte alla loro responsabilità. Ma con quale gioia, in Luca 15, Colui che "accoglie dei peccatori" presenta la grazia. Sei volte in questo capitolo si rallegrai! Se non manca d'avvertire e di riprendere, con quale gioia il Signore cerca, trova e dona.
E' il cuore di Dio il centro dell'Evangelo. Sotto l'aspetto del pastore - il Figlio - sotto quello della donna - lo Spirito Santo - e nella terza parabola, il Padre, le tre Persone della Trinità sono all'opera per salvare i peccatori. Il pastore e la donna cercano "fino a che non l'abbiano trovato". Il Padre attende, accoglie, accetta, copre di baci e fa tutto ciò che è in rapporto con i suoi diritti e le esigenze della sua natura per poter introdurre nella sua casa. Da una parte l'amore che cerca, dall'altro l'amore con il quale si è ricevuti. La pecora e la dramma non potevano far nulla per essere trovate, mentre un lavoro si produce nella coscienza del figliuolo prodigo; ma dal versetto 22 anche lui si lascia fare tutto, e accetta. La pecora è condotta ìn mezzo al gregge, di cui il pastore è il centro (Giovanni 10: 16), e il figlio è condutto alla tavola del padre. Anticamente anche Ruth, venuta dalle campagne di Moab, sedette per la grazia di Dio alla tavola di Boaz; e Mefibosheth, chiamato dalla città dì Lodebar, prenderà posto alla tavola del re Davide.
Il figliuol prodigo era tanto colpevole al momento in cui, voltando le spalle a suo padre, varcò la soglia della casa paterna, quanto all'epoca in cui mangia i baccelli con i porci. Ma la grazia agisce; il pensiero della felicità che si trovava nella casa lontana si risveglia nel suo cuore. Vi è convinzione nella coscienza e attrazione del cuore. E' la rivelazione di Dio all'anima, e Dio è luce e amore. La luce produce il convincimento di peccato, l'amore attrae. Tutto timoroso, il figlio si mette in cammino. Vi è il sentimento del peccato e l'umiliazione, ma ancora ignoranza della grazia di Dio: egli non è sicuro di essere ricevuto. Ma il padre lo previene, prima del suo arrivo, e agisce verso il figlio non secondo i meriti del figlio, ma secondo il suo cuore di padre. Così il figlio non poté più chiedere di essere trattato come uno dei servi del padre; avendo riconosciuto il suo peccato e confessata la propria indegnità, egli si affida all'amore che l'accoglie. D'ora in avanti la sua posizione è stabilita dal cuore del padre, dai sentimenti del padre, dall'amore che questi aveva per suo figlio.
Ma egli non poteva entrare così come era nella casa; doveva esservi introdotto in modo consono alla dignità del padre. Si tira fuori la più bella veste, l'anello e i calzari; e, cucinato il vitello ingrassato, con tutta la casa il figlio prende posto alla tavola del padre. Era perduto ed è stato ritrovato. Era morto ed è tornato a vita.
"E si misero a far gran festa": un banchetto cominciato sulla terra che verrà continuato nel cielo senza mai aver fine. Contrasto tragico con coloro che, in Luca 13: 25, davanti alla porta chiusa, essendo fuori non potranno che picchiare invano, rimanendo per sempre nelle tenebre che avranno scelte.


      3. Cammino e testimonianza

"... Lasciandovi un esempio, onde seguiate le sue orme" (1 Pietro 2: 21)
"Esaminando che cosa sia accetto al Signore" (Efesini 5: 10)
Dopo essere stati condotti al Signore, noi siamo chiamati a camminare al suo seguito in questo mondo. Ora, il cammino è fatto di dettagli. In un gran numero di piccole parabole, il Signore ci insegna come in ogni particolare della vita quotidiana, possiamo stabilire che cosa gli sia accetto. Ma anche in tutta la sua vita Egli ce ne ha lasciato il perfetto modello.

          3.1 La luce

(Matteo 5: 14-16; Marco 4: 21-23; Luca 8: 16-18, 11:33-36)
"Voi siete la luce del mondo", dice Gesù ai suoi discepoli. Prima che la luce splenda al di fuori, bisogna che brilli al di dentro. Per questo egli aggiunge più in là - Matteo 6: 22-23, Luca 11: 34 - la parabola dell'occhio puro. Un occhio puro non vede che un solo oggetto: è necessario che contempliamo Cristo nel suo cammino, nella sua vita, nella sua gloria, prima che noi stessi póssiamo brillare. Se l'occhio è "viziato", vale a dire guarda a destra e a sinistra ogni sorta di cose, l'intero corpo sarà tenebroso. Solo la contemplazione di Cristo ci permetterà di riflettere Lui. L'occhio illumina l'interiore, la lampada brilla al di fuori.
Osserviamo che in Marco e in Luca il Signore parla della lampada immediatamente dopo la parabola del seminatore. Prima la vita, in seguito la luce. Dove brilla essa?
In Matteo 5: 15 la lampada splende "per tutti quelli che sono in casa". La prima testimonianza del credente è nella sua famiglia. Quando egli ha dato il suo cuore al Signore è là che dimostra, prima che altrove, il cambiamento avvenuto nella sua vita. E' la stessa cosa nella famiglia di Dio. Ma Luca 8: 16 dice che la lampada brilla affinché "chi entra vegga la luce". Entrano in casa nostra degli ospiti, degli estranei; si rendono conto d'essere in una famiglia cristiana? Quando gli inviati di Babilonia sono andati da Ezechia, il profeta Isaia gli domanda: "Che cosa hanno visto nella tua casa?". Il re racconta come ha fatto visitare tutte le sue ricchezze, il suo arsenale, i suoi tesori; ma quegli stranieri avevano visto nella sua casa il riflesso della luce divina? E le anime che Dio dirige verso "la casa della fede" vi vedono esse sempre brillare la luce della vita?
Infine, Matteo 5: 16 ci dice che la luce deve risplendere nel cospetto degli uomini; testimonianza resa non attraverso molte parole, ma "per le vostre buone opere che avranno osservate" (1 Pietro 2: 12).
Da ogni casa, in ogni famiglia cristiana deve brillare la luce, perché la "città posta sopra un monte non può rimaner nascosta". E vi sarà anche una buona testimonianza di tutta l'assemblea locale, se ciascuno di coloro che ne fanno parte segue fedelmente il Signore.
Ma il nemico cerca di impedire alla luce di brillare e suscita degli ostacoli. Invece di essere collocata sul candeliere, la lampada può essere messa:
a) In un luogo nascosto (Luca 11: 33). Giuseppe d'Arimatea era discepolo di Gesù in segreto; Nicodemo andava a Lui di notte. Non succede anche a noi di nascondere la nostra luce e di non osare confessare il Signore? Trovandosi in un luogo pubblico, si eviterà di ringraziare il Signore per il cibo o forse si cercherà di non far notare che lo si fa; dinanzi al mondo, si temerà di prendere una netta posizione di cristiano.
b) Sotto il moggio (Matteo 5: 15): unità di misura per i liquidi e i cereali, il moggio ci parla dell'attività esteriore, degli affari, del mestiere. In quale misura la luce divina brilla, quando siamo assorbiti dal nostro lavoro giornaliero, non solo sotto forma di discorsi, ma negli atti, nel modo di fare, nell'attenzione messa al proprio lavoro, nel comportamento nei confronti degli inferiori, dei superiori e dei colleghi? Un cristiano si può lasciare invadere dalle sue occupazioni a tal punto che non lo si distingue più da un uomo del mondo i cui interessi sono solo terreni.
c) Sotto il letto, ci dice ancora Marco 4: 21: pigrizia, desiderio di comodità, indifferenza, sonno, possono velare la luce, annullare ogni testimonianza per il Signore. Si preferisce la vita facile agli inconvenienti che arrecherebbe una decisa testimonianza per Cristo.
Vi sono delle cose invisibili nella vita cristiana: il fondamento della casa, le radici dell'albero o della spiga. La lampada invece è visibile a tutti. Ma può esistere la lampada senza il fondamento preliminare sulla roccia, senza le radici che si estendono verso il fiume, senza l'occhio puro che ha prima contemplato Cristo?
Questa luce che deve risplendere al cospetto degli uomini è fatta di azioni, di opere, di attitudini, dell'irradiamento di tutta la personalità nella quale Cristo vive (Galati 2: 20). Come ha brillato quella luce in Gesù, che poteva dire: "Io sono la luce del mondo"! E l'apostolo Giovanni poteva aggiungere: "Se camminiamo nella luce, com'Egli è nella luce..." (1 Giovanni 1: 7). Che il nostro occhio sia tanto puro da vedere Lui che ha camminato nella luce, al fine di rispecchiare qualche cosa del perfetto modello che ci ha lasciato.

          3.2 Il sale

(Matteo 5; 13; Marco 9: 49-51; Luca 14: 34-35)
La luce dissipa le tenebre; il sale preserva dalla corruzione. Esso ci parla di separazione per Dio, di decisione del cuore per Lui, dell'effetto santificante della grazia nell'essere interiore.
In Matteo, il Signore dice: "Voi siete il sale della terra": la testimonianza dei credenti nel mondo deve preservare dalla corruzione l'ambiente in cui si trovano. Risalire la corrente; saper dire "no"; rifiutare un invito; tacere dinanzi a battute equivoche al posto di riderci su. Si acquisterà più rispetto dai propri compagni affermando la propria fede o il proprio desiderio di purità, che non manifestando di far coro con loro. Il mondo disprezza i cristiani rilassati, e quando il sale ha perso il proprio sapore "non è buono a nulla"; lo si calpesta, è gettato nel letame. "Il giusto che vacilla davanti all'empio è come una fontana torbida e una sorgente inquinata" (Proverbi 25: 26).
Il sale è collegato al sacrificio; e in Marco 9: 50 va visto sotto questo aspetto. Sull'oblazione offerta (Levitico 2) non doveva mai mancare il sale, segno del patto, cioè la decisione del cuore di essere fedele nella relazione nella quale Dio ci ha posti nei riguardi di Cristo. Daniele prese in cuor suo la risoluzione di non contaminarsi con le vivande del re. Vi saranno talvolta delle costose rinunzie: ci si dovrà tenere in disparte, anche dalle cose che sembrano buone, se si vuole essere fedeli alla testimonianza del Signore.
In Luca 14: 34, il sale è in rapporto con la posizione di discepolo. E' il sale di devozione a Cristo, la decisione del cuore di dare a lui il primo posto, anche prima della famiglia, di se stesso, e di quello che uno ha (v. 26, 27, 33).
Se manca questo attaccamento alla sua Persona, se il sale ha perduto il suo sapore, lo si getta fuori, non serve a nulla; seguirLo non è altro che una professione esteriore.

          3.3 Il perdono

(Matteo 18: 23-35)
La luce e il sale concernono particolarmente il nostro cammino individuale, ma noi siamo chiamati a vivere insieme ad altri credenti. Una testimonianza collettiva può essere realizzata soltanto se si segue l'insegnamento di Colossesi 3: 13: "...Sopportandovi gli uni gli altri e perdonandovi a vicenda, se uno ha di che dolersi d'un altro. Come il Signore vi ha perdonati, così fate anche voi".
Notiamo che questa parabola segue immediatamente il versetto che ci è caro: "Dovunque due o tre son radunati nel nome mio, quivi son io in mezzo a loro". Sembra che lo Spirito di Dio si faccia premura d'attrarre la nostra attenzione sulla necessità del perdono fra fratelli, per poter realizzare praticamente Il radunamento intorno al Signore. Quanto è compromessa la testimonianza allorché dei fratelli cominciano a disputare fra loro, a ignorarsi, se non addirittura a dividersi.
"Un re volle fare i conti coi sui servi". Che accadrà quando Dio vorrà "fare i conti" con noi? Non vogliamo lasciare la sua luce lavorare le nostre coscienze e condurci a Lui, confessando le nostre colpe? Uno dei servi era debitore di diecimila talenti, debito impossibile da pagare, quand'anche ne avesse la pretesa; e quel debito gli è rimesso nella sua totalità; avrà quel servo la consapevolezza dell'immensa grazia che gli è stata fatta?
"Colui a cui poco è rimesso, poco ama" (Luca 7: 47).
Certamente, a noi non è stato perdonato poco! Ma se si dimentica la purificazione dei propri, peccati, forse perché non li si è veramente e dettagliatamente confessati al Signore, si perde di vista l'estensione della grazia. Se non si è considerato l'abisso nel quale il Signore Gesù ha dovuto discendere quando portava le nostre iniquità, più numerose dei capelli del suo capo (Salmo 40), come si capirà l'orrore che Dio ha del peccato, e la grandezza del debito che ci ha rimesso?
Dimenticare questo porta a essere duri con i propri fratelli. Poiché un altro servo gli doveva cento denari, il servo creditore lo strangolava, esigendo il pagamento, e gettandolo poi in prigione dal momento che non poteva pagare. Un fratello forse ti ha offeso e tu non lo saluti più! Hai dei motivi di risentimento contro i fratelli, e per questo non apri più bocca nell'assemblea! Ma è giusto? Il Signore Gesù non ha fatto nulla per te? E' a lui che bisogna pensare, a ciò che Egli ha fatto per noi; si potrà allora perdonare "di cuore al proprio fratello".
Notiamo che quando i servi constatano la durezza del loro compagno, non rendono pubblica la cosa, raccontandola a sinistra e a destra, ma se ne vanno e la rivelano al loro Signore!
E ricordiamoci del perfetto Modello che sulla croce poteva dire: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno".

          3.4 L'umiltà

Invitato a cena da uno dei principali farisei, il Signore Gesù notava "come gl'invitati sceglievano i primi posti".
Colui al quale nulla è nascosto conosceva i motivi che spingevano l'uno o l'altro a prendere, moralmente, fra i propri fratelli tale o talaltro posto. Egli osserva, sonda, pesa i cuori. Alla tavola del convito, ciascuno ha preso il posto che gli sembrava dover corrispondere al suo rango. Il padrone di casa non è ancora entrato (v. 10) e gli invitati si siedono dove a loro sembra bene. Quale sarà la valutazione del padrone di casa quando verrà? Nella parabola, egli fa sedere all'ultimo posto l'orgoglioso, che aveva scelto il primo, e fa salire più in su colui che, con umiltà, si era seduto in fondo alla tavola (*).
"Chiunque s'innalza sarà abbassato, e chi si abbassa sarà innalzato".
Il Signore stesso ce ne ha dato l'esempio; egli dice ai suoi discepoli: "Io sono in mezzo a voi come colui che serve". In quel momento, egli non era più a tavola, poiché si era alzato (Giovanni 13) per lavare i loro piedi.
Un fratello può essere più dotato di un altro (tutto ciò che ha gli è stato donato). Lo scopo non è di dominare sui fratelli, ma soltanto di servirli meglio. In Luca 22, il Signore aveva appena istituito la Cena quando tra i discepoli nacque una contesa per sapere chi di loro fosse il maggiore; e Gesù disse loro: "Il maggiore fra voi sta come il minore, e chi governa come colui che serve". L'apostolo aggiungerà: "...ciascuno di voi, con umilità, stimando altrui da più di se stesso, avendo ciascuno di voi riguardo non alle cose proprie, ma anche a quelle degli altri" (Filippesi 2: 3-4).
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(*) Per mettere in evidenze che Il pensiero dei Signore è spesso totalmente differente dal nostro quanto alla valutazione del posto moritato, si può parafrasare la parabola in questo modo: Ad una cena, prima dell'arrivo dell'ospite d'onore, ciascuno ha preso il posto di sua scelta. L'ospite arriva e, invece di sedersi al posto preparato per lui, va a mettersi all'estremità opposta della tavola! Così, chi aveva scelto l'ultimo posto viene a trovarsi vicino a lui, e chi si era stimato degno di rimanere alla sua destra o alla sua sinistra, viene a trovarsi lontano!

          3.5 Le occasioni di caduta

             a) Per noi stessi

Matteo 5: 28-30 merita la nostra seria attenzione. Si tratta dell'adulterio, una tentazione che ogni giorno può colpirci, giovani o più anziani, celibi o sposati, se la concupiscenza, il desiderio colpevole, segue lo sguardo. Non appena ci si rende conto che un'amicizia ci porterebbe a un legame non secondo Dio (ad esempio, trattandosi di uno scapolo, che la compagna non è quella che il Signore ha in vista per fondare un focolare, o se si è già sposati, che si giungerebbe a una unione illecita), è importante obbedire senza indugio alla parola del Signore: "Se l'occhio tuo destro ti fa cadere in peccato, cavalo e gettalo via da te": non vedersi più. "E se la tua man destra ti fa cadere in peccato, mozzala e gettala via da te": non più contatto, non più corrispondenza. Bisogna necessariamente, senza riguardi e senza indugi, troncare una tale relazione (Proverbi 6: 27-29)!
Marco 9: 43 è più generico. Parlando della mano, del piede o dell'occhio, il Signore prevedi senza dubbia delle azioni, dei luoghi, delle cose viste o lette, che sono occasione di caduta. Tutta la testimonianza può essere guastata, l'anima insozzata. la luce offuscata. "Mozza, cava" dice il Maestro. Si è cominciato a leggere un certo libro e si scopre che insudicia il nostro spirito o turba la nostra fede; abbiamo l'energia di metterlo subito da parte! Si frequenta qualcuno che ci trascina nel mondo nella tentazione. Bisogna rompere senza indugi una simile amicizia!

             b) Per gli altri

Dopo aver posto in mezzo ai discepoli un piccolo fanciullo, esempio d'umiltà, in Matteo 18: 6 il Signore aggiunge: "Ma chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono in me, meglio per lui sarebbe che gli fosse appeso al collo una macina da mulino e fosse sommerso nel fondo del mare". Come il Signore condanna severamente coloro che scandalizzano un debole, un fanciullo nella fede, in Matteo 18, o uno di quelli che non seguiva Gesù con i discepoli, in Marco 9! Una parola leggera, una battuta equivoca, una riflessione fatta di sfuggita di cui non si è misurata la portata, ma che germoglierà in un cuore giovane; dei cattivi esempi, dei dubbi circa la Parola; le maldicenze, i pettegolezzi, le critiche, la denigrazione dell'assemblea, delle riunioni, di tale o tal'altro servitore del Signore: questo è scandalizzare. Quando Abrahamo discese in Egitto, aveva come compagno il giovane Lot. Il patriarca s'era reso conto che non era il luogo dove Dio lo voleva, si era pentito ed era poi tornato a Bethel dove aveva avuto la sua tenda; la sua anima è stata restaurata. Ma suo nipote aveva conservato la visione dell'Egitto e delle sue attrazioni. Nel giorno decisivo, quando deve scegliere le terre, si presenta ai suoi occhi la pianura del Giordano, irrigata "come il paese d'Egitto" (Genesi 13: 10). Il ricordo di quello che aveva visto ha influito sulla sua scelta; è quindi all'origine del suo decadimento spirituale e della rovina della sua famiglia. L'errore di Abrahamo ha generato così quello di Lot. Io sono un aiuto o un ostacolo? o, peggio ancora, un'occasione di caduta?

          3.6 Giudicare gli altri

Il bruscolo e la trave (Matteo 7: 1-5; Luca 6: 41-42)
"Non giudicate", dice il Signore. Non che non si debba, quando è necessario, esercitare la disciplina fraterna o quella dell'assemblea. Ma dobbiamo guardarci dal giudicare i motivi in base ai quali altri agiscono e che noi non conosciamo. Prima di cercare di correggere gli altri e di far loro la lezione, quanto è importante togliere prima la trave dal nostro occhio. Un cieco non può guidare un altro cieco. Solo il giudizio di se stesso promette di veder chiaro per togliere il bruscolo dell'occhio del proprio fratello. Quante volte si critica questo o quel particolare della vita altrui, del suo abbigliamento, della sua casa, e non si è coscienti del proprio egoismo e dei proprio orgoglio. In Galati 6: 1, dopo aver esortato i fratelli spirituali a rialzare con spirito di mansuetudine colui che è stato colto in qualche fallo, l'apostolo aggiunge: "E bada bene a te stesso, che talora anche tu non sii tentato".
In Giovanni 13, il Signore Gesù ci ha dato l'esempio supremo. Lui, il Signore e il Maestro, non è rimasto a tavola, ma levatosi da cena ha messo da parte le sue vesti, simbolo della sua gloria; poi preso un asciugatoio e cintosene, ha versato dell'acqua nel bacino e ha cominciato a lavare i piedi dei discepoli. Con quale scopo? "Se non ti lavo, non hai meco parte alcuna" dice a Pietro. Nessuna comunione con il Signore se i nostri piedi non sono stati lavati da lui! Come nostro Avvocato, egli intercede per noi e ci conduce alla confessione delle nostre colpe. Ma il Signore aggiunge: "Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro v'ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri". In questo spirito, imitando le Sua umiltà e il Suo amore, adoperiamoci per la restaurazione dei nostri fratelli, al fine di godere insieme a loro della piena comunione con il Signore. Ricordiamo loro l'amore del Signore, ciò che Gli è dovuto, nella consapevolezza della grazia che ha agito verso loro come anche verso noi, e aiutiamoli a riprenderne coscienza.
La vita è fatta di tanti piccoli particolari: queste parabole, molto corte per la maggior parte, ci fanno vedere quali attenzioni il Signore desidera che i suoi abbiano di questi particolari. Dove sono le risorse per un tale cammino? Questo non può realizzarsi che "in novità di vita" (Romani 6: 4), dimorando in Lui. "Senza di me non potete far nulla." (Giovanni 15). Ma "colui che dimora in me, e nel quale io dimoro, porta molto frutto". Nessuna luce senza relazione con la sorgente; nessun cammino alla gloria del Signore, né testimonianza, senza comunione continua con Lui.


      4. Il servizio

"A ciascuno il compito suo" (Marco 13: 34)

          4.1 La diversità nel servizio

Troviamo nelle parabole ogni tipo di servitore: seminatore, messaggero, economo, portinaio, vignaiuolo, mietitore, coltivatore, lavoratore, albergatore, e molti altri ancora.
Vediamo che il servizio viene esercitato in ogni luogo: nella casa, nei campi, nella fattoria, vicino al gregge, nella città e lungo i sentieri, nella vigna, ai bordi della strada e nella locanda.
I beneficiari sono tanto vari quanto numerosi: viaggiatori, poveri, zoppi, ciechi, domestici della casa, malati, carcerati; in fondo, tutti gli uomini.
E questo servizio è continuo, di giorno e di notte, alla prima ora come alla undicesima, alla prima veglia come alla quarta.
Il credente è un servitore di Cristo: a ciascuno quindi il compito suo! Cerchiamo di capire quale lavoro il Signore ci vuole affidare; ricordandoci sempre che se vi sono diversi servizi, noi serviamo tutti un solo Signore.

          4.2 Quale parte vi prendiamo noi?

             a) I due figliuoli

(Matteo 21: 28-31)
Quando il padre manda i suoi figliuoli nella vigna, l'uno dice: Non voglio, e l'altro: Vado. Ma il primo, pensando a suo padre, si pente, e contrariamente a quanto aveva detto, ci va. Il secondo, non pensando che a se stesso, ai suoi comodi, si lascia distrarre e, occupato da mille altre cose, finisce col non andare.
Esempio molto semplice di ciò che ci succede sovente: avevamo il proposito di parlare di Gesù ad un amico scrivendogli una lettera oppure facendogli visita, ma si è rinviato all'indomani, o alla settimana dopo, e la lettera non è mai stata scritta, la visita non ha mai avuto luogo! Ciò che importa, dice il Signore, è fare la volontà del Padre (v. 31), e non averne solamente l'intenzione.

             b) I talenti

(Matteo 25: 14-30)
Un uomo, partendo per un viaggio, chiama i suoi servitori e affida loro i suoi beni. Notiamo che questa parabola non ci parla di quelli che essendo ancora nei loro peccati non appartengono a Cristo; a questi bisogna che il Signore rimetta il debito (Matteo 18: 27). Non si può servire il Signore prima di appartenergli, di essere "nati di nuovo", di sapere che i propri peccati sono tutti lavati dal Suo sangue. "Affidò loro i suoi beni": è la parte positiva per noi della Sua opera: non solo il debito è pagato, ma delle ricchezze ci sono affidate. I servitori sono allora coscienti della grazia che ha perdonato tutte le loro colpe e li ha abbondantemente arricchiti. Essi possono valorizzare tali beni nella fiducia in un Maestro di cui conoscono il carattere, e che amano. Senza dubbio il terzo servitore non ha la vita di Dio, ma solo la professione di servo: è l'insegnamento che deriva dalla seconda parte della parabola. Ma ciò non toglie nulla al pensiero fondamentale che i talenti sono affidati ai veri servitori.
Secondo il suo saggio discernimento, il padrone affida cinque, due e un talento; "a ciascuno secondo la sua capacità". Nella parabola, il numero dei talenti è definitivo, ma sappiamo che il cristiano fedele nelle piccole cose, può ricevere anche una mansione più grande (1 Tim. 3: 13), secondo il saggio discernimento del Signore. In 1 Cor. 14: 1 siamo esortati a "ricercare i doni spirituali", e in 1 Cor. 12: 31 a "desiderare ardentemente i doni maggiori". Dopo aver compiuto fedelmente quello che il Signore ha posto dinanzi a noi, auguriamoci che nella sua grazia egli ci affidi di più. Durante l'assenza del Padrone, l'importante è essere fedeli in ciò che si è ricevuto.
Questa assenza è lunga: occorre della perseveranza. della pazienza, della fedeltà. Facendo fruttare i talenti, i servitori ne guadagnano altrettanti: "A chiunque ha, sarà dato" (v. 29). Notiamo che in Luca 19: 11-27 ciascuno riceve una mina, perché ci è esposta la responsabilità di ogni credente di far fruttare ciò che si è ricevuto: forza, tempo, parola. ecc.; i risultati variano e la ricompensa dipende da loro. in Matteo si tratta soprattutto della fedeltà; la ricompensa è la stessa per tutti coloro che sono stati fedeli, qualunque sia il dono ricevuto originariamente.
Al suo ritorno, il padrone fa i conti con i suoi servitori. Al tribunale di Cristo, ogni cosa sarà manifestata "affinché ciascuno riceva la retribuzione delle cose fatte quand'era nel corpo, secondo quel che avrà operato, o bene, o maIe" (2 Cor. 5: 10).
Il terzo servitore non ha apparentemente commesso un grave peccato: non è andato nel mondo, non si è ubriacato, non ha battuto i suoi colleghi, come il servo di Luca 12. Qual è dunque la sua colpa? Non ha fatto nulla! E' un pigro e quindi anche un cattivo servo: non conoscendo il suo padrone, non avendo fiducia in lui, disprezzandolo anche, ha nascosto nella terra il dono che gli era stato affidato. E' simile al fico sterile: "Perché sta lì a rendere improduttivo anche il terreno?"
I servitori fedeli ricevono la massima ricompensa; avendo conosciuto a fondo il loro padrone e avendolo amato, entrano "nella sua gioia" (versetto 21).

          4.3 La decisione di servire

             a) L'appello di Dio

Solo il padrone, nella parabola, affida dei doni, comanda di vegliare, dà il lavoro, stabilisce sulla casa, e manda nella vigna. Che noi possiamo, come il giovane Isaia dopo essere stato purificato della sua impurità, udire la voce che dice: "Chi manderò? E chi andrà per noi?", e rispondere di tutto cuore "Eccomi, manda me!".
La nostra parte è dì essere interamente a disposizione del Signore per ciò che vorrà affidarci; e poi di discernere quale sia il Suo pensiero al riguardo di questo incarico.

             b) Il costo

(Luca 14: 25-30)
Impegnarsi con leggerezza al seguito del Signore, e al suo servizio, porta all'insuccesso. Nella parabola della torre, Gesù mostra che prima di costruire bisogna sedersi e calcolare la spesa. Non certo per scoraggiarsi e rinunciare a seguirlo o a servìrlo, ma per esaminare in anticipo le rinunce (v. 26 e 33) e le difficoltà (v. 27) che il cammino o il servizio implicherà. Quando si è "pienamente accertati... in tutta la volontà di Dio" (Colossesi 4: 12), si può cominciare, sempre confidandosi in lui; e le difficoltà, le delusioni, le pene, le lacrime inevitabili saranno ricevuti dalla sua mano come altrettanti mezzi di prova e di educazione. Ma se si è partiti alla leggera, ci si scoraggerà, o ci si irrigidirà in un'attitudine di formalismo, contraria a ogni frutto.
Nella piccola parabola dell'aratro (Luca 9: 62), il Signore mostra anche l'importanza di non guardare indietro dopo essersi impegnati nel proprio servizio. Guardare indietro significa lasciare che considerazioni secondarie prendano il primo posto (v. 59, 61), ritornare col cuore a ciò che si era abbandonato.
Rinunciare a costruire la torre dopo averne gettato le fondamenta o riguardare indietro dopo aver messo mano all'aratro, scredita la testimonianza cristiana e scoraggia altri. Uno che abbia voluto partire per l'opera del Signore, lontano o vicino, senza essere preparato, nè inviato, in capo a qualche anno se ne renderà conto, e allora farà certamente meglio a rientrare a casa, anziché a restare sul posto come un ostacolo; ma anche così facendo rimarrà pur sempre vero che il suo fallimento non sarà stato alla gloria del Signore. Partire senza essere mandato (Rom. 10: 5) e parlare senza essersi tenuti "nel consiglio segreto" del Signore è causa di un servizio senza potenza e senza frutto.
Quanto è importante dunque esaminare le cose accuratamente ai Suoi piedi, e innanzitutto servire umilmente, semplicemente, nell'ambiente nel quale siamo posti, nelle piccole cose che Egli ci ha affidato; delle più grandi potranno in seguito essere messe nelle nostre mani, se questa è la Sua volontà.
Commosso da compassione davanti alle folle disperse e senza pastore, Gesù dice ai suoi discepoli: "Pregate dunque il Signor della mèsse che spinga degli operai nella sua mèsse. (Matteo 9: 38). Mandarli solamente a volte non basta; vi è tanta resistenza da vincere da parte loro! Bisogna che il Signore li spinga, perché grande è il suo desiderio di vedere numerosi operai nella sua mèsse. Da una parte c'è da valutare il prezzo, la necessità di rimettere a lui i nostri affetti, la nostra condotta, i nostri beni; e dall'altra c'è l'appello del Signore e l'amore del suo cuore per noi, che ci ha spinti ad amarlo, e che ci spinge ad amare i suoi, ad amare le anime perdute. "L'amore per il Signore è il movente di ogni servizio; non ne conosco altri", ha detto un fedele servitore (Da Pensieri di J.N.D.).

          4.4 Come servire

             a) Le pecore e i capri

(Matteo 25: 35-36)
Questa parabola, che profeticamente mostra il Signore giudice delle nazioni all'entrata del regno, contiene per noi un semplice insegnamento pratico: il primo servizio alla portata di tutti, è di pensare a coloro che sono nel bisogno; "perché ebbi fame, e mi deste da mangiare; ebbi sete, e mi deste da bere; fui forestiero e m'accoglieste; fui ignudo e mi rivestiste". E' la lezione di Giacomo 2: 16. Poi vi sono dei malati da visitare o da curare, i carcerati verso i quali il Signore esorta ad andare. Vi sono gli stranieri, quei giovani che sono, forse, nella nostra città per gli studi o per apprendere un lavoro, che bisogna invitare, attorniare, incoraggiare. "In verità vi dico che in quanto l'avete fatto ad uno di questi miei minimi fratelli, l'avete fatto a me".

             b) L'invito alle nozze o alla cena

(Matteo 22: 1-10; Luca 14: 15-24)
Tre volte in Matteo "i servitori", tre volte in Luca "il servitore", rinnovano l'invito per il gran convito. Tutto è pronto, venite. Alla croce, Cristo ha compiuto tutto. La sua opera è perfetta. Accettate l'invito della sua grazia! E' il lavoro dell'evangelista che non è riservato a quelli ai quali il Signore ha domandato di consacrare tutto il loro tempo per la diffusione della Parola. L'evangelizzazione non si improvvisa. Non basta convocare una riunione e distribuire degli inviti. I servitori sono esortati a condurre i poveri, gli storpi, i ciechi, gli zoppi. Costoro non avrebbero mai potuto venire da se stessi; bisogna guidarli, aiutarli, trasportarli. Invitare a bruciapelo delle persone ad ascoltare la Parola proprio il giorno della riunione di evangelizzazione a volte non ha molto effetto. Bisogna averle seguite e attorniate prima, aver guadagnato la loro fiducia al fine di poterle invitare al momento voluto; passata la riunione, si continuerà ad incoraggiarle, mostrando loro la vita divina in attività in noi.
Lavoro meraviglioso della grazia, incominciato dal Signore Gesù stesso, e di cui il profeta nella sua visione poteva dire: "Quanto son belli, sui monti, i piedi del messaggero di buone novelle!" (Isaia 52: 7). Quando più tardi l'apostolo Paolo farà vedere la necessità di diffondere l'Evangelo ("come crederanno in Colui del quale non hanno udito parlare?"), citerà quel versetto dicendo: "Quanto son belli i piedi di quelli che annunciano la pace" (Romani 10: 15).
In Matteo, i servitori del re trasmettono il suo invito, figura dei servitori che Il Signore manda; in Luca, un solo servitore è al lavoro. Non si tratta qui piuttosto dello Spirito Santo, il solo che possa costringere a entrare (Giovanni 16: 8) e operare nei cuori? Nessuno dei servitori vedrebbe accettato il suo invito se il divino Servitore non agisse nelle coscienze e nei cuori di quelli che sono invitati.

             c) Sulla Sua casa

(Luca 12: 42-48; Matteo 24: 45-51)
Il padrone non manda dei servitori solamente ad invitare quelli di fuori. Egli stabilisce sulla sua casa degli economi fedeli e avveduti al fine di dare il cibo ai suoi a suo tempo. Non è detto che tutti debbano avere lo stesso servizio, e nessuno deve imitare quello altrui. Vi è poi un "tempo" per nutrire il popolo di Dio e una "misura di viveri" appropriata.
Per esplicare questo incarico, occorre avere un "tesoro" (Matteo 13: 52) accumulato nel cuore nutrendo se stessi, per poter trasmettere ciò di cui le anime hanno bisogno: "cose nuove e cose vecchie", le insondabili ricchezze tanto del Nuovo quanto dei Vecchio Testamento.

             d) Il fattore di Luca 16

Qui non si tratta di cibo spirituale, come in Luca 12, bensì di beni materiali, di cui il Signore in una più o meno grande misura ha affidato l'amministrazione ai suoi. I beni appartengono al padrone; il fattore non ne ha che la gestione. Egli deve dunque amministrare per Lui. L'uomo ricco di Luca 12: 16 riempiva i suoi granai; quello di Luca 16: 19 non pensava che a vestirsi splendidamente e a godere gioiosamente ogni giorno; il figliuol prodigo sperperava i beni dì suo padre; il fattore impiegherà per altri (noi dobbiamo farlo nella dipendenza del Signore, e non a sua insaputa come fa lui nella parabola!) ciò che il padrone gli ha affidato. "Le ricchezze ingiuste", "le cose minime", "le cose altrui" rappresentano appunto i beni materiali che ci sono affidati, mentre "le cose grandi", "le vere ricchezze" le cose vostre parlano dei beni spirituali che sono la parte benedetta di ogni credente in Cristo. Ma l'amministrazione dei beni materiali, delle "ricchezze ingiuste", richiede fedeltà: "Chi è ingiusto nelle cose minime è pure ingiusto nelle grandi". Se un figlio di Dio non è stato fedele nell'amministrazione materiale, sia pure piccola, che gli è stata affidata, lo sarà nel campo spirituale? (cfr. 1 Timoteo 6: 17-19).

             e) La preghiera

E' un servizio nascosto, ma di tutta importanza, messo in evidenza nell'Evangelo di Luca da tre parabole che ne illuminano diversi punti. In questo Evangelo troviamo per sette volte il Signore in preghiera; e in sette altre occasioni, Egli pronunzia azioni di grazie o parole di preghiera.
I tre amici (Luca 11: 5-8)
Il primo ha la visita di un amico che era in viaggio e non ha nulla da offrirgli. Che fare, se non rivolgersi ad un terzo le cui risorse sono grandi? Preghiera semplice, breve come tutte quelle che la Parola addita ad esempio (Matteo 6: 7), ma pressante: "Amico, prestami tre pani". La risposta, malgrado l'ora tarda, non potrà mancare.
Non ci succede sovente di sentirci come vuoti e senza risorse davanti a qualche anima cui una parola del Signore, una parola d'incoraggiamento farebbe tanto del bene? O davanti a un gruppo di fanciulli ai quali dobbiamo parlare? Che fare, se non ricorrere all'Amico fedele le cui risorse sono infinite? Egli non dorme mai; è sempre pronto a rispondere a coloro che si rivolgono a Lui.
Il giudice iniquo (Luca 18: 1-8)
Quando pregare? "Pregare del continuo e non stancarsi", risponde il Signore. L'amico di Luca 11 intercedeva per i bisogni del suo compagno; qui la vedova prega per se stessa: "Fammi giustizia del mio avversario". Non abbiamo spesso simili preghiere da indirizzare al Signore per essere liberati dagli sforzi di Satana e dalle sue astuzie? Preghiera dove è necessario non stancarsi, poiché Dio non sempre risponde immediatamente. Egli prova la fede ed esercita la pazienza. La prova di Giobbe si è prolungata, lo scopo perseguito da Dio doveva essere raggiunto e il cuore di Giobbe doveva essere messo a nudo. Dio, prima d'intervenire, desidera condurre l'anima nello stato adatto perché goda dell'esaudimento.
Il fariseo e il pubblicano (Luca 18: 9-14)
Come pregare? In questa parabola, che segue quella della vedova, Il Signore mostra quali ostacoli incontra la preghiera: l'orgoglio, l'essere soddisfatti di sé, e anche la mancanza del perdono (cfr. Marco 11: 25-26). Il pubblicano, umile, cosciente della sua miseria, può tornare a casa con la sicurezza d'essere stato ascoltato.
L'attitudine nella preghiera e il suo scopo sono essenziali. Il figliuol prodigo dice: "Dammi la parte dei beni che mi tocca". Questo ricorda Giacomo 4: 3: "Non avete... perché domandate male per spendere nei vostri piaceri". "Dacci di giorno in giorno il nostro pane quotidiano" (Luca 11: 3), insegna invece Gesù ai suoi discepoli; non una provvista che sopprime ogni dipendenza da lui, ma il necessario per la giornata, come la manna nel deserto, affinché il mattino seguente siamo ricondotti ai suoi piedi.

          4.5 La ricompensa

Mosè "riguardava alla rimunerazione" (Ebrei 11: 26). "... Il contraccambio ti sarà reso alla risurrezione dei giusti", dice il Signore in Luca 14: 14. Tuttavia la ricompensa non è una cosa dovuta, ma un incoraggiamento offerto al servitore, e che la fede apprezza.
I lavoratori nella vigna (Matteo 20: 1-16)
La ricompensa non è proporzionata all'importanza apparente del servizio; essa è data secondo la valutazione del padrone (v. 15). In effetti, ogni servizio è una grazia, un privilegio che ci è accordato e non conferisce un diritto. "Perciò, avendo questo ministerio in virtù della misericordia che ci è stata fatta, noi non veniam meno nell'animo" (2 Corinzi 4: 1), dice l'apostolo, consapevole della grazia che ha fatto di lui un ministro dell'Evangelo.
Per tutta la giornata il servo ha lavorato il campo, come l'evangelista che va a spargere il seme della Parola di Dio, o è stato occupato a pascere il gregge, simile al pastore che si prende cura delle pecore del Signore. Cosa accadrà alla fine del suo lavoro? Il padrone gli dirà: "Vieni presto a metterti a tavola? Non gli dirà invece: Preparami la cena, e cingiti a servirmi finch'io abbia mangiato e bevuto, e poi mangerai e berrai tu?". Questo è il normale ragionamento di un padrone terreno. Qual è l'attitudine che si addice a un servo? "Così anche voi, quand'avrete fatto tutto ciò che v'è comandato, dite: Noi siamo servi inutili". Niente di più naturale che compiere fedelmente il servizio affidato, nessuna gloria da trarne, nessun merito ne deriva. Non è certo al fine di essere salvati che noi dobbiamo servire il Signore, ma "perché noi siamo fattura di lui, essendo stati creati in Cristo Gesù per le buone opere, le quali Iddio ha innanzi preparate affinché le pratichiamo" (Efesini 2: 10).
Ma il pensiero del Signore differisce totalmente da quello di un padrone terrestre. Noi dobbiamo considerarci come dei servitori che non hanno fatto che ciò che era comandato (effettivamente, l'abbiamo fatto?); ma quando al suo ritorno il Signore troverà vigilanti i suoi servi, egli stesso "si cingerà, li farà mettere a tavola e passerà a servirli"! (Luca 12. 37). Sulla terra, essi l'hanno conosciuto in mezzo a loro come Colui che serve; così lo ritroveranno nella gloria: amore eterno di Colui il cui orecchio è stato forato (Esodo 21) affinché fosse servitore per sempre! Allora si adempierà la parola che costituisce la più grande ricompensa: "Entra nella gioia del tuo Signore", essendo il cuore conservato da Dio in una reale umiltà: "Fedele in cosa minima".


      5. Il ritorno del Signore

"Il Padrone... verrà" (Matteo 24: 50)
Le parabole adoperano numerose espressioni per parlarci dei ritorno del Signore: Il vostro Signore viene; il Figliuol dell'uomo viene; il suo Padrone verrà; "ecco lo Sposo"; "or il Re, entrato..."; Colui che t'ha invitato verrà; Il ritorno del Samaritano, e altre ancora.
Nell'Antico Testamento, i credenti attendevano il mattino, la luce, il mattino senza nuvole, il sole di giustizia. Noi non aspettiamo un avvenimento; una Persona è l'oggetto della nostra speranza; una Persona conosciuta, amata, rispettata.
Nelle parabole, nessuna netta distinzione ha luogo tra il ritorno del Signore per prendere i suoi e la sua apparizione gloriosa per stabilire il regno. Alcune sono più in rapporto all'uno che all'altro evento, ma diverse si applicano bene tanto all'uno quanto all'altro. Ricordiamoci l'esempio delle catene di montagne parallele che a distanza sembrano formarne una sola, ma da vicino (Giovanni 16: 12-13) si distinguono nettamente.

          5.1 La sua assenza

In molte parabole il Signore è assente.
In quella dei seme che germoglia e cresce (Marco 4: 27) è via, lontano, fino al tempo della mietitura; è durante la sua assenza che bisogna portare del frutto.
Nella parabola delle nozze, non compare prima che gli invitati siano radunati. Durante tutto il tempo in cui i servitori vanno e vengono e radunano coloro che devono partecipare alle nozze, il re è assente. Così è pure in Luca 14, nella parabola del gran convito (v. 8 e 16). Durante la sua assenza, bisogna prendere il posto dell'umiltà, invitare altri alle nozze, e ciascuno per proprio conto rispondere al suo invito.
Nel racconto di Luca 10, dopo aver portato il ferito in albergo, il Samaritano se ne va; ma tornerà ben presto: non ha lasciato che due denari per provvedere ai bisogni del suo protetto. Nell'assenza del Signore, non dobbiamo noi curare "i feriti" e, condotti dallo Spirito Santo (divino albergatore), occuparci di coloro che sono nell'albergo? In Marco 13: 34, l'uomo che se ne va in viaggio lascia la sua casa ai suoi servitori e affida a ciascuno il compito suo. Durante la sua lontananza è importante, come in Luca 12, vegliare e nutrire quelli che sono nella sua casa.
Nella parabola delle dieci vergini, lo Sposo non è ancora venuto. Nell'attenderlo, bisogna vegliare, tenere la propria lampada accesa, essere preparati al suo ritorno.
Infine, nella parabola dei talenti, non è che dopo molto tempo che il padrone ritorna a fare i conti con i suoi servitori. Nella sua assenza, importava far fruttare ciò che egli aveva affidato.

          5.2 Il suo ritorno

Il momento non è stato ancora fissato, ma in diverse parabole il Signore ripete che egli può tornare in qualsiasi momento: "Non sapete quando il padron di casa verrà; se a sera, o a mezzanotte, o al cantar del gallo, o la mattina" (Marco 13: 35). In Luca 12: 38, egli potrebbe giungere "alla seconda o alla terza vigilia". In ogni caso arriverà repentinamente, "all'ora che voi non pensate". E come noi non sappiamo né il giorno né l'ora, la nostra attitudine, secondo l'ultimo insegnamento del Signore Gesù in Marco, è quella di vegliare. Attesa costante sapendo che Egli può apparireforse oggi. Non è venuto alla sera, quando i primi discepoli l'attendevano e quando l'apostolo Paolo scriveva: "Noi viventi i quali saremo rimasti..."; non è venuto quando già era notte, durante i molti secoli, in cui si era quasi perso di vista il suo ritorno, se non come re e come giudice; non è venuto dopo che il grido di mezzanotte (Matteo 25: 6) ha ricordato a molti credenti (è già passato quasi un secolo e mezzo da quando alcuni fratelli hanno rimesso in luce questa verità) che il Signore deve tornare per portare i suoi riscattati presso di sé prima di stabilire il suo regno, verità che si è molto diffusa dopo d'allora. Quando verrà, dunque, se non al mattino? Momento molto prossimo, come lo dimostra, in particolare, l'inizio del ritorno di Israele nel proprio paese.
Ma quanto all'ora effettiva della giornata, Egli può venire a qualsiasi ora, sia per il giudizio, sia per il rapimento dei suoi. Di notte, quando due saranno in un letto: uno sarà preso e l'altro lasciato; di mattina, quando due donne macineranno alla stessa macina: una sarà presa e l'altra lasciata; o durante il giorno, quando due uomini saranno ai campi e uno sarà preso e l'altro lasciato.
Nella parabola delle dieci vergini, il Signore ricorda l'importanza vitale di essere pronti. Le avvedute avevano dell'olio nelle loro lampade; quelle che ne erano sprovviste non erano solamente stolte, ma anche folli. Quale pazzia, in effetti, rifiutare l'Evangelo e trovarsi un giorno davanti a una porta chiusa dove sarà inutile supplicare: "Signore, Signore, aprici!". Egli risponderà: "Non vi conosco"!
Mentre aspettavano lo sposo, non si notava tra le dieci vergini alcuna differenza. Tutte erano uscite, tutte avevano una lampada, tutte dormivano. Al momento del suo arrivo s'è fatta la distinzione. Troppo tardi per andare a comprare dell'olio! Il ritorno del Signore avverrà in un istante, in un batter d'occhio; non ci sarà più il tempo di convertirsi.
Per quelli che non sono pronti, Egli non verrà come il Salvatore o lo Sposo, ma come il ladro di notte, come è ripetuto sette volte nel Nuovo Testamento (Matteo 24: 43; Luca 12: 39; 1 Tessalonicesi 5: 2, 4; 2 Pietro 3: 10; Apocalisse 3: 3, 16: 15).

          5.3 Il giudizio

Le parabole presentano tre tipi di giudizio: il giudizio discriminativo, che opera una separazione tra i perduti, fino a quel momento confusa nella professione cristiana o nella professione giudea; il giudizio distributivo, che darà delle ricompense a coloro che sono stati fedeli; infine il giudizio retributivo, che renderà a ciascuno secondo le opere sue.

             a) Il giudizio discriminativo

In sette parabole di Matteo, credenti e non credenti, che sovente ai nostri occhi non sono distinguibili chiaramente, al ritorno del Signore sono definitivamente separati. Nella parabola delle zizzanie, il frumento è raccolto "nel granaio", mentre la zizzania è bruciata. In quella della rete gettata nel mare, i pesci buoni sono messi nei vasi, quelli che non valgono nulla sono gettati via.
Alle nozze, quando entra il re, colui che non aveva l'abito di nozze è gettato fuori nelle tenebre, mentre gli altri godono con il re della comunione e della gioia della festa.
In Matteo 24, il servitore fedele è stabilito su tutti i beni del padrone; il malvagio, che pretendeva di essere un servitore, è lacerato a colpi di flagello e la sua sorte è con gli ipocriti.
Le vergini avvedute accompagnano lo Sposo alle nozze; le stolte restano per sempre dinanzi a una porta chiusa.
Coloro che hanno fatto fruttare i loro talenti, entrano nella gioia del loro signore; il servo inutile è gettato nelle tenebre di fuori.
Infine le pecore ereditano il regno e la vita eterna, mentre i capri sono gettati nel fuoco eterno.

             b) Il giudizio distributivo

Abbiamo già considerato la questione delle ricompense: il servitore fedele entra nella gioia del suo signore; il servitore che ha risposto alla responsabilità affidatagli, riceve autorità su diverse città. E' solo la valutazione del padrone a stabilire la ricompensa, e non la durata o la qualità del servizio.

             c) Il giudizio retributivo

Esso raggiunge quelli che sono ancora nei loro peccati e ne hanno conservato il peso. Coloro che hanno creduto al Signore Gesù, che sono lavati dal suo sangue, non saranno sottoposti a questo giudizio (Giovanni 5: 24): "L'Eterno ha fatto cader su Lui l'iniquità di noi tutti" (Isaia 53: 6).
In Matteo 22: 7, la città degli invitati che hanno respinto l'invito del re e oltraggiato i suoi servitori è distrutta; in Luca 13: 9, il fico sterile è tagliato; e in Matteo 21: 41, i vignaiuoli che hanno tenuto per se stessi il frutto della vigna e hanno fatto morire il figlio che era stato loro mandato, periscono a loro volta.
"Ecco, io vengo tosto, e il mio premio è meco per rendere a ciascuno secondo che sarà l'opera sua" (Apocalisse 22: 12). Davanti al gran trono bianco (Apocalisse 20: 11), quando gli uomini saranno giudicati secondo le loro opere, ciascuno riceverà la retribuzione che merita la propria condotta (Matteo 11: 22-24).


      6. L'amore del Padre e del Figlio

          6.1 L'amore del Padre

Non ne troviamo che alcuni tratti nelle parabole, piccole finestre che si aprono su un oceano senza confine.

             a) L'amore del Padre per suo Figlio

In Matteo 22: 2, un re fece le nozze "del suo figlìuolo". Leggiamo sovente questa parabola pensando agli invitati, alle loro giustificazioni; vediamo gli invitati sempre più numerosi entrare nella sala delle nozze; consideriamo i servitori che perseverano nel loro compito; ma Dio vuole, innanzitutto, attirare la nostra attenzione sul suo Figlio. E' per Lui che cerca una sposa (Genesi 24); è a Lui che deve andare tutta la gloria.
In Marco 12: 6, dopo il rinnovato rifiuto dei servitori, il padrone, che "aveva ancora un unico figliuolo diletto", lo mandò loro. L'Eterno dice ad Abrahamo in Genesi 22: "Prendi ora il tuo figliuolo, il tuo unico, colui che ami, Isacco...". Quattro volte nell'evangelo di Giovanni ci è ripetuto che il Padre ama il Figlio: avanti la fondazione del mondo, nella sua vita sulla terra, quando lascia la sua vita, e rimettendo ogni cosa nelle sue mani.

             b) L'amore del Padre per il peccatore

La parabola del figliuol prodigo, in Luca 15, ne è il meraviglioso quadro. E' l'amore che riceve, che accoglie; l'amore perfetto che "caccia via la paura" (1 Giovanni 4: 18). Sarebbe stato del tutto normale se, dopo la cattiva condotta del figlio, il padre - sia pure con tutto il suo desiderio di accoglierlo bene - lo avesse lasciato venire tremante a picchiare alla porta. Ma non è così il cuore di Dio: "Mentr'egli era ancora lontano, suo padre lo vide e fu mosso a compassione, e corse, e gli si gettò al collo, e lo baciò e ribaciò"!
Dare dei vestiti al figlio prodigo coperto di stracci e offrirgli un buon pranzo per dare risalto al suo ritorno avrebbe potuto bastare. Ma il padre fa portare fuori la più bella veste; non si accontenta di dire: Mangia e saziati; egli dice: "Mangiamo e rallegriamoci"; invita il figlio alla sua propria tavola, e tutta la casa deve rallegrarsi perché colui che era morto è ritornato alla vita.
"Il Padre stesso vi ama" (Giovanni 16: 27).

          6.2 L'amore del Figlio

             a) Il tesoro e la perla

(Matteo 13: 44-46)
Queste due parabole non ci presentano, come si dice talvolta, il peccatore che trova il tesoro della salvezza o scopre in Gesù la perla di gran prezzo. In effetti, il peccatore non è chiamato a vendere tutto ciò che ha e a comprare la salvezza; la grazia è offerta gratuitamente a chi vuole accettarla.
Ma questi due racconti ci presentano il Signore Gesù stesso che, sapendo quale tesoro stava per ricavare da questo mondo (la Chiesa), ha donato tutto per acquistarlo. Egli "va e vende...". Questo "va" ci ricorda il capro di Azazel che se ne andava nel deserto carico dei peccati di Israele (Levitico 16: 18 e 21-22). Nel momento in cui smaschera Giuda che lo avrebbe tradito, il Signore Gesù dirà: "Il Figliuol dell'uomo se ne va" (Matteo 26: 24). Egli "vende tutto quello che ha": pensiamo a tutto ciò che il Signore ha lasciato: ha annichilito se stesso; come uomo, s'è abbassato; ha rinunciato a tutti i suoi diritti di Messia, alla considerazione che gli era dovuta da parte degli uomini, ed anche alla simpatia dei suoi discepoli; ha dato se stesso. Dal campo dei mondo, ha tratto il tesoro, composto da tutti i suoi riscattati; tanti gioielli preziosi ognuno dei quali è stato acquistato e che, tutti insieme formano il tesoro (Galati 2: 20; Efesini 5: 2).
Egli è anche quel mercante che cerca delle belle perle e ne ha trovata una di gran prezzo; per lei vende tutto ciò che ha e la compra. Perla che ci parla della sua Sposa, della Chiesa, per la quale ha dato se stesso (Efesini 5: 25).

             b) Il Samaritano

(Luca 10: 30-37)
Perché in questa parabola il Signore Gesù ha scelto di essere rappresentato nelle vesti di un Samaritano? Perché come i Samaritani, anche lui era un uomo disprezzato (Giovanni 8: 48), "colui che la nazione detesta" (Isaia 49: 7). "Ma un Samaritano che era in viaggio", in perfetta grazia, discendeva dal luogo della benedizione (Gerusalemme) verso quello della maledizione e della morte (Gerico). Mosso a compassione (cfr. Luca 15: 20!), si accosta; fascia le piaghe; mette il ferito sulla propria cavalcatura e lo porta ad un albergo; egli ha cura di lui, e provvede poi a tutti i suoi bisogni per il tempo della sua assenza.

             c) Il buon pastore

In Luca 15: 4-7, contempliamo l'amore che cerca finché non ha trovato; l'amore che porta la sua pecora sulle proprie spalle. Egli è andato dietro ad essa quando era perduta; ma in Giovanni 10, egli va davanti a quelle che lo seguono, bella immagine dell'amore che conduce. Cinque volte, in quest'ultimo capitolo, Egli ripete che "mette la sua vita" per le pecore.

             d) Il granello di frumento

(Giovanni 12: 24)
Il Samaritano, che era in viaggio, soccorre e cura; il Pastore cercava fino a quando non avesse trovato; ma il granello di frumento deve morire:
Tu ci amasti fino alla morte
Salvator pien di dolcezza...

          6.3 L'allegrezza del Salvatore

In Luca 15, sei volte è fatta menzione dell'allegrezza. Allegrezza del pastore che ha trovato la sua pecora, allegrezza che vuole condividere con i suoi amici, allegrezza persino nel cielo per un solo peccatore che si pente. Allegrezza della donna e delle sue amiche quando la dramma è trovata; allegrezza dinanzi agli angeli di Dio. Infine, allegrezza del padre e di tutta la sua casa quando colui che era morto è tornato in vita.
In Matteo 13: 44, "per d'allegrezza che ne ha", colui che ha trovato il tesoro va, vende tutto quello che ha e compra il campo.
In Ebrei 12: 2, la "gioia che gli era posta dinanzi" Gli ha fatto sopportare la croce e sprezzare il vituperio.
In Giovanni 15: 11, Gesù, che ha osservato i comandamenti del Padre ed ha dimorato in lui, vuole condividere questa allegrezza con i discepoli; nell'attaccamento al Signore, avranno l'allegrezza di portare del frutto: "La mia allegrezza... la vostra allegrezza...".
Allegrezza del mietitore, in Giovanni 4: 36: "... Il seminatore e il mietitore si rallegrino assieme", come nel Salmo 126 di cui abbiamo già parlato.
Gioia del Signore, infine, in Matteo 25, alla quale partecipano i servitori fedeli.

          6.4 Ha molto amato

Meditiamo, per finire, ancora una parabola. In Luca 7: 41-43, 47, il Signore parla di due debitori; a uno sono stati condonati cinquecento denari, all'altro cinquanta. "Chi di loro dunque l'amerà di più?". Non è colui al quale è stato condonato di più? Noi non possiamo misurare con esattezza il debito che è stato rimesso a un nostro fratello: ma possiamo valutare, più o meno, quello che è stato perdonato a noi stessi. Il figliuol prodigo, domandando la sua parte dei beni nella casa del padre, era così colpevole, e il suo cuore così sviato, come quando pasturava i porci; in quest'ultima condizione era solo più miserabile. Noi che abbiamo conosciuto il Signore fin dalla nostra infanzia, abbiamo potuto essere preservati da molte brutte esperienze; ma il cuore naturale è sempre lo stesso e la responsabilità cresce con l'aumentare dei privilegi. Quanto è importante essere coscienti della grandezza del perdono che ci è stato acquistato, apprezzare l'immensa grazia della quale ciascuno di noi è l'oggetto. Non è l'amore che portava la donna al Signore che l'ha salvata; Gesù le dice: "La tua fede t'ha salvata". Ma il suo amore era la prova della sua fede. Ella "ha molto amato; ma colui a cui poco è rimesso, poco ama".
Abbiamo visto nelle parabole che Dio aspetta che la fede dia delle prove evidenti, una manifestazione della vita, qualche frutto; vi è frutto più elevato, più reale se non l'amore per il Signore? "Noi amiamo perché Egli ci ha amati per primo".

Le parabole non sono soltanto delle storie, dei racconti, delle allegorie. Abbiamo potuto scoprire un po' della loro ricchezza, la varietà del loro insegnamento, le esortazioni e gli incoraggiamenti che ci recano. Ma al di sopra di tutto, esse ci rivelano Colui che le ha pronunciate. Egli ha camminato quaggiù nell'umiltà e nel disprezzo, manifestando ovunque l'amore di Dio, la grazia e la verità. Egli è lo stesso oggi nella gloria, lo stesso Uomo che, percorrendo le strade della Galilea, insegnava alle folle e ai suoi discepoli. E' sempre vivente, accessibile, pieno di grazia.
"Crescete nella grazia", dice l'apostolo Pietro - quella grazia che tante parabole ci rivelano - "e nella conoscenza del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo", (2 Pietro 3: 18). Conoscere Lui, è la parte più elevata del cristiano, e come il Signore stesso ha detto: "E questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui chc tu hai mandato, Gesù Cristo" (Giovanni 17: 3).

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