2015-04-04 L’Osservatore Romano
Come prima «stava» insieme alle altre donne e al discepolo amato presso la croce di Gesù così ora «sta» davanti al sepolcro. La sua presenza insaziata, tenace, nel luogo della morte e della sepoltura ricorda anche lo «stare» del testimone Giovanni dal quale prende avvio la storia discepolare (cfr. 1, 35). Il suo «stare», dunque, definisce un arco tra inizio e fine del discepolato storico di Gesù e, al contempo, inaugura l’inizio della testimonianza pasquale del Risorto. Prima dell’incontro con il Risorto, però, lo stare di Maria è caratterizzato da un lutto senza consolazione.
Il racconto giovanneo richiama, a questo punto, la tradizione sulla visione angelica avuta dalle donne (cfr. Matteo, 2-7; Marco, 5-7; Luca, 4-7.23), ma attribuisce a essa tutt’altra funzione. Dalla bocca degli angeli in bianche vesti, infatti, non viene alcun annunzio pasquale. Il dialogo con loro serve perché la Maddalena espliciti nuovamente, stavolta in prima persona singolare, il profondo smarrimento per la perdita del «suo Signore» che essa cerca cadavere («Donna, perché piangi?»). Con la loro presenza, d’altronde, essi esprimono già l’irruzione della vita divina nel luogo della morte. La loro posizione fisica, che evoca quella dei cherubini l’uno di fronte all’altro ai lati del propiziatorio dell’arca dell’alleanza (cfr. Esodo, 25, 17-22; ,6-9; Numeri, 7, 89; i Re 8, 6s), richiama al lettore la verità sul «corpo» di Gesù, «santuario» della presenza di Dio, e il segno promesso del suo rialzamento (cfr. 2, 18-22).
La metafora spaziale del «salire al» Padre, dal quale Gesù viene e al quale deve tornare, esprime ora più chiaramente l’alterità divina e permette di comprendere il fine e significato ultimo della relazione discepolare stabilita storicamente con Gesù: originata da e nel rapporto con Dio Padre (cfr. 6, 45) termina essenzialmente in lui. La relazione col Padre, la destinazione a lui, è il «dove» di Gesù Figlio (cfr. 14, 10s; 16, 28) e nel suo movimento compiuto, incessante e perfetto, verso il Padre (cfr. 1, 18) sarà anche il «dove» dei discepoli (cfr. 12, 26; 14, 3s; 17, 24), diventati a loro volta figli di Dio, partecipi come singoli e come popolo della nuova alleanza compiuta nel Cristo davidico (cfr. ii Samuele 7, 14;89, 27; Osea, 2, 25; Geremia, 31, 33; Giovanni, 1, 12s; 1 Giovanni, 3, 1-2; Apocalisse, 21,7).
Alla fine del racconto, dunque, il corpo di Gesù è recuperato e il suo «dove» è svelato perché ne sia manifestato il significato relazionale ai discepoli-fratelli e al Padre. Nella «ascensione» al Padre, che definisce metaforicamente la sua nuova condizione di esistenza in quanto innalzato-glorificato, non è rivelato solo il compimento del destino di Gesù ma anche la vocazione ultima dei credenti in lui, ormai definiti «fratelli».
Ancora una volta, non è l’uso formale della categoria di «risurrezione» che caratterizza il racconto pasquale di Giovanni, bensì quella relazionale del movimento definitivo verso il Padre in atto di compiersi e di esser partecipato ai discepoli anzitutto mediante la parola che lo annunzia. Il nuovo rapporto della Maddalena con il corpo del «suo Signore» risorto starà tutto dentro questa parola («Non continuare a tenermi... Va’, invece, dai miei fratelli e di’ loro»): la parola della glorificazione, infatti, dovrà dirla Maria e risuonerà come parola-azione del Risorto proprio nella bocca della discepola.
Il «non continuare a tenermi» non è la fine di una storia relazionale ma la condizione perché essa, inverata e rinnovata nella sua struttura, sia feconda e si traduca in missione di annunzio.
di Marida Nicolaci
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