giovedì 19 novembre 2015

Gv 18,33-37: solennità di Cristo Re dell'universo (anno B)

Gesù annuncia subito che “il Regno di Dio è vicino”, che è già tra noi. Ne parla come di un seme che sta germogliando e portando frutto e i suoi frutti sono la pace, la comunione, il perdono, la giustizia, l’amore fraterno, l’attenzione nei confronti dei poveri, degli emarginati, dei malati: nel Regno di Dio essi sono i primi cittadini, i preferiti del Re. E fin qui il Re è un’immagine per indicare Dio Padre, l’Onnipotente nell’amore: Lui è il Sovrano che attende di essere accolto, che non si impone, ma si propone. Solo in prossimità della Crocifissione anche Gesù si identifica come Re e viene rivelato, in maniera violenta e derisoria, ma involontariamente profetica, dagli stessi occupanti romani che “regnano” su Israele. I soldati si fanno beffa di lui, lo deridono mettendogli addosso un mantello scarlatto che richiama quello dei re, una corona di spine in testa, chiamandolo con disprezzo “Re dei Giudei”, fino a far mettere sopra la croce un cartello che lo descrive nelle tre lingue principali (quindi per il mondo intero): “Il Re dei Giudei”
Proprio quando Gesù è nel pretorio romano di Gerusalemme, consegnato dai capi dei giudei, si confessa davanti a Pilato “Re dei giudei”, cioè loro Messia, unto e inviato da Dio al suo popolo. Ma attenzione: nel quarto vangelo Gesù è un “Re al contrario”, non ha il potere mondano, la gloria dei re della terra, non si fregia dell’applauso della gente, non appare in una liturgia trionfale. Al contrario, proprio nella nudità di un uomo trattato come schiavo, quindi torturato, flagellato, incoronato di spine, si rivela quale unico e vero Re di tutto l’universo, con una gloria che nessuno può strappargli, la gloria di chi ama gli altri fino alla fine (cf. Gv 13,1), di chi sa dare la vita per loro (cf. Gv 15,13), rimanendo nell’amore (cf. Gv 15,9): gloria dell’amore vissuto e dell’amore mai contraddetto[1].
C’è come un confronto tra i due “regnanti”: Pilato e Gesù. Il primo è espressione del potere mondano, quello di poter mettere a morte, di comandare, di farsi servire, di ricevere onore… L’altro…semplicemente il contrario. Ma chi è sovrano della propria vita tra i due? Chi è veramente libero? A risposta della domanda di Pilato (“Sei tu il re dei Giudei?”, domanda che ha rilevanza con l’ordine pubblico che Pilato deve far rispettare e che verrebbe messo in crisi da chi si autoproclamasse re), Gesù gli fa una domanda retorica (“Sei tu che lo chiedi o altri lo chiedono per te?”) che mette in evidenza come Pilato si faccia manovrare dai notabili ebrei, non sia libero di decidere, di giudicare.
Due re, uno di fronte all'altro. Pilato, la massima autorità civile e militare in Israele, il cui potere supremo è di infliggere la morte; Gesù che invece ha il potere, materno e creatore, di dare la vita in pienezza.
Chi dei due è più libero, chi è più uomo? Pilato, circondato dalle sue legioni, prigioniero delle sue paure, oppure Gesù, un re disarmato che la verità ha fatto libero; che non ha paura, non fa paura, libera dalla paura, che insegna a dipendere solo da ciò che ami?
Mi commuove ogni volta il coraggio di Gesù, la sua statura interiore, non lo vedi mai servile o impaurito, neppure davanti a Pilato, è se stesso fino in fondo, libero perché vero[2].
Gesù ammette la sua regalità, ma – specifica – non è un re di questo mondo, meglio: non è un re secondo i criteri di questo mondo. E ora, umiliato e messo a morte, può rivelarlo senza temere di venire incompreso.
“…il mio regno non è di questo mondo”. Forse riguarda un domani, un al di là? Ma allora perché pregare "venga il tuo regno", venga nelle case e nelle strade, venga presto? 
I regni della terra, si combattono, il potere di quaggiù ha l'anima della guerra, si nutre di violenza. Gesù invece non ha mai assoldato mercenari, non ha mai arruolato eserciti, non è mai entrato nei palazzi dei potenti, se non da prigioniero. «Metti via la spada» ha detto a Pietro, altrimenti la ragione sarà sempre del più forte, del più violento, del più crudele, del più armato. Il suo regno è differente non perché si disinteressa della storia, ma perché entra nella storia perché la storia diventi tutt'altra da quello che è.
I servi dei re combattono per loro. Nel suo regno accade l'inverso, il re si fa servitore: non sono venuto per essere servito, ma per servire. Non spezza nessuno, spezza se stesso; non versa il sangue di nessuno, versa il suo sangue; non sacrifica nessuno, sacrifica se stesso per i suoi servi.
 (…)
Pilato non può capire, prende l'affermazione di Gesù: io sono re, e ne fa il titolo della condanna, l'iscrizione derisoria da inchiodare sulla croce: questo è il re dei giudei. Voleva deriderlo e invece è stato profeta: il re è visibile là, sulla croce, con le braccia aperte, dove dona tutto di sé e non prende niente. Dove muore ostinatamente amando. E Dio lo farà risorgere, perché quel corpo spezzato diventi canale per noi, e niente di quell'amore vada perduto[3].
Il suo Regno non è un luogo geografico, ma esistenziale: il suo regnare dipende da noi, dallo spazio di accoglienza che gli facciamo nella nostra vita, nelle nostre case, nel luogo di lavoro. Il suo Regno è già in mezzo a noi se lo abbiamo accolto, se lasciamo che a regnare la nostra vita, le nostre decisioni, le nostre scelte sia lui: seguendo la sua parola (“che non passa”) e il suo esempio. Lasciandoci trasformare in lui alimentandoci di lui… “il Regno di Gesù è servizio, è dare la vita, è pace, giustizia e non può essere letto a partire dall’esperienza del potere propria degli esseri umani” (E.Bianchi).
Riconoscere Gesù come mio Re significa farsi guidare da lui, averlo come punto di riferimento, come la persona più importante, seguire il suo comando. E Gesù ci ha lasciato il suo comandamento nuovo, troppo spesso trascurato: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”. Fate così e sperimenterete cosa significa che il Regno è in mezzo a noi, che “come in cielo, così (è) in terra, che il Paradiso è già qui tra noi. Fate così e trasformerete la vostra vita, le vostre famiglie, la vostra città in un’oasi di pace, di comunione, di servizio e di perdono, di accoglienza e guarigione.
P. Stefano Liberti

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