La recente partecipazione agli esercizi spirituali tenuti a Bose da Luciano Manicardi sulla lettera di Giacomo, mi ha portato a riflettere sulla nostra comunità (ma anche su ogni comunità familiare o parrocchiale). Vi propongo una semplice attualizzazione della sua lettera, arricchita dai commenti di Manicardi, che potrebbe stimolare la nostra vita.
Fratelli carissimi, ho visitato la vostra comunità con gioia, ma non posso nascondere di avervi scorto delle malattie che, se non curate, possono portare alla morte (per lo meno spirituale): l’incoerenza tra la fede che professate e le vostre opere; la litigiosità e le contese nate dal vostro cattivo modo di parlare; l’invidia e il giudizio inclemente che avete nei confronti degli altri fratelli.
So che avete subito molte prove,
anche a causa del vostro stesso comportamento. Considerate però che vivere la
prova con fede, cioè leggendola in modo nuovo, alla luce di Cristo, produce
perseveranza: la prova è l’occasione per far maturare la vostra fede e dunque
voi stessi. Siate fermi di fronte alle avversità, non scappate e non lasciatevi
schiacciare da esse, ma sopportatele sapendo che la prova sopportata e superata
con la vostra perseveranza e pazienza vi conduce alla letizia e a ricevere la
corona della vita, cioè la comunione con Dio, che il Signore ha promesso a
quelli che lo amano.
Beato allora chi sopporta la prova e
persevera lasciando che la crisi faccia su di lui il suo lavoro di verità e di
purificazione.
Non pensiate però che sia Dio a tentarvi: Dio non tenta nessuno al male! La
vostra tentazione nasce da voi stessi, dalle vostre passioni che vi seducono e
vi spingono a bramare e a peccare. E il peccato consumato produce la morte!
Chiediamo a Dio, da cui riceviamo ogni dono, la sapienza: la possiamo domandare nella
preghiera sicuri che vorrà donarcela, generosamente e senza condizioni, così
come solo lui sa fare. La sapienza è un altro nome dello Spirito di Dio che
opera nell’uomo donandogli i suoi frutti. Siate, di questi frutti, la primizia!
Pregate con fede, nel nome di Cristo e senza esitare, ricordando che siamo
troppo spesso deboli, instabili e indecisi. Chiediamo sapendoci mancanti di
sapienza e inclini a doppiezze di cuore!
Per guarire dai vostri mali vi invito innanzitutto ad imparare ad ascoltare e a parlare.
La vostra parola sia
fondata sull’ascolto della Parola che Dio ha seminato in voi in modo che dalla
vostra bocca escano parole corrette, buone, rispettose, edificanti e non parole
guidate dalla vostra ira e dalle vostre maldicenze, così da produrre disastri.
Non pensiate di essere religiosi se non sapete frenare la lingua e
moderare il linguaggio; se continuate a sparlare e a mormorare, cioè a parlare in modo poco chiaro, alle spalle, a bassa
voce, cercando la complicità dell’inferiore ai danni del superiore con un
discorso ostile che non si ha il coraggio di fare apertamente, faccia a faccia,
con parresia.
Attenti inoltre alla parola
menzognera che offre un falso e pericoloso senso di potere rispetto alla
verità che viene manipolata a proprio vantaggio. Il menzognero ricrea la
realtà, manipola le persone, fa credere agli altri ciò che lui non è, fino a
non saper più lui stesso distinguere la realtà. La menzogna divide la comunità,
così come le contese e le invidie.
Astenetevi infine dal turpiloquio
che è sempre segno di debolezza e di ignoranza. Siate dunque vigilanti nel
parlare, mordetevi la lingua, tenetela a freno! Imparate a parlare in modo
pulito, ordinato, etico, preciso per poter esprimere ciò che realmente avete in
mente e nel cuore e non venir fraintesi. Pensate al modo di parlare di Gesù di
cui si è detto che mai un altro uomo ha parlato come lui: quello che lui dice
corrisponde a quello che sente (e la sua coerenza è uno dei motivi della sua
autorevolezza); adatta il parlare ai vari uditori; parlando trasmette vita,
genera vita. Denuncia il male, ma ha parole di tenerezza per il debole che lo
compie.
Voi adulti che promettete e non mantenete ricordatevi che promettere è creare futuro, è
responsabilità nei confronti dell’altro. Siate franchi, parlate chiaro, dite in
faccia le cose, ma avendo misericordia per i limiti di chi vi ascolta (perché lui
abbia misericordia dei vostri limiti). Siate veri anche a vostro rischio e
pericolo. Uscite dai meccanismi della lusinga, dell’adulazione, della parola
ingannevole.
Tutto nasce da un buon ascolto
della Parola di Dio, ma anche della parola degli uomini. Ascoltare richiede
concentrazione e fatica (per far entrare l’altro in me); richiede di superare i
pregiudizi sull’altro (se l’ho già giudicato male non saprò veramente
ascoltarlo!). L’ascolto deve essere fatto senza fretta: occorre dare tempo (e
quindi dare la vita, parte della mia vita). Ascoltare è ospitare, accogliere,
permettere all’altro di esprimere la sua vita. Esige discrezione, pudore,
discernimento, fare silenzio anche interiore per non lasciare che i miei
pensieri e le mie preoccupazioni mi impediscano di ascoltare l’altro. Siate
lenti nel parlare, miti, cioè capaci
di mettere dei freni, dei limiti alla vostra forza per lasciare spazio
all’altro.
Ma soprattutto la Parola di Dio dovete
metterla in pratica! Solo così
potrete anche comprenderla senza illudere voi stessi ritrovandovi divisi tra il
dire e il fare, tra la fede e la vita! Metterla in pratica significa soccorrere
i bisognosi nelle loro afflizioni e conservarvi puri da questo mondo: solo così
il vostro essere religiosi sarà autentico e gradito a Dio nostro Padre.
Pensate al vostro comportamento nei confronti dei poveri: Dio li ha scelti nel mondo per farli ricchi con la fede ed
eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano. Le vostre preferenze non
vanno invece ai più ricchi? Accogliete nello stesso modo un povero e un ricco?
Che accoglienza riservate nelle vostre assemblee e nelle vostre case ai poveri?
Vi ho fatto questo esempio dell’accoglienza del povero perché ritengo
utile che, nei vostri discorsi e nelle vostre omelie, partiate da un fatto di
vita concreto per poi confrontarlo con l’agire di Dio (che ha scelto i poveri!)
e con le Scritture (dove ad esempio troviamo: “Amerai il prossimo tuo come te
stesso) per arrivare infine all’esortazione, all’imperativo etico che discenda
dai precedenti passaggi.
Un inciso: il ricco è uno
smemorato! Si dimentica dei limiti umani che pensa di poter superare con le sue
ricchezze. Spesso tiranneggia e bestemmia Dio con il suo comportamento!
Ripeto: il vostro dire e il vostro fare devono corrispondere! Non
potete parlare di povertà e poi fare una vita da faraoni! Ma parlate e agite
con misericordia: essa ha sempre la meglio nel giudizio!
Ricordatevi inoltre che la fede
senza le opere è morta! Non voglio contraddire quanto vi ha scritto san
Paolo (che è la fede, non le opere a salvare): lui si riferiva alle opere della
Legge giudaica parlando a coloro che ritenevano di salvarsi seguendo
scrupolosamente le indicazioni lì contenute. A me interessa che la vostra fede
diventi vita e non resti una parola vuota, inoperosa, senza energia e dunque
morta (e incapace di dare vita agli altri). La vostra fede è autentica? Allora
mostratelo concretamente con le vostre opere di carità! Anche i demoni credono
che c’è un Dio solo: non mi basta la tua professione di fede se non è
accompagnata da un agire corrispondente! Se non vado incontro al bisogno degli
altri come posso dire di avere fede? Fede e opere devono andare unite, devono
agire insieme!
Permettetemi di tornare ancora ad una questione che, come avete ben
capito, mi sta particolarmente a cuore: imparate a tenere a freno la lingua senza atteggiarvi continuamente
a maestri degli altri! Chi è capace di frenare la lingua è capace anche di
frenare il corpo e ogni altra intemperanza.
Soprattutto permettetemi di parlarvi ancora della sapienza. Chi è tra voi saggio? Date prova di essere tali! La
sapienza si mostra nell’agire, in un comportamento bello, esemplare, santo. Un
comportamento buono e bello che si esprime nella gratuità, nel saper
valorizzare ciò che è “inutile”, ciò che non mi da immediato profitto come il
gioco, la poesia, la contemplazione. L’inutile è necessario a rendere più bella
la vostra condotta. Nell’attività contemplativa, interiore, possiamo rientrare
in noi stessi e ritrovare noi stessi: anche questa è sapienza.
Chi è saggio mostri che le sue opere sono ispirate a saggia mitezza e
non al suo contrario cioè all’attivismo e alla gelosia amara, allo spirito di
contesa e alle faziosità. Attenzione: dietro a questi comportamenti c’è una
sapienza terrena, materiale, carnale, egocentrica e diabolica che porta
all’invidia, alla gelosia e ad ogni sorta di cattive azioni.
Come san Paolo ha fatto l’elogio della carità, così anch’io vorrei
tentare di fare l’elogio della vera
sapienza che è poi un sinonimo della carità ed è affine all’uomo delle
beatitudini, Gesù Cristo. Ho scelto anch’io, come Paolo e come Matteo, otto attributi che possono descrivere
la sapienza che viene da Dio:
- È pura: rende partecipi della purezza di Dio (ricordate: “beati i
puri di cuore”?). E’ puro chi ha le “mani pulite”, innocenti. Chi agisce in
modo onesto, unificato interiormente, non con un cuore doppio, ma coerente con
l’agire. La purezza si oppone alla divisione e all’ipocrisia. E’ puro chi è
integro, chi testimonia con la vita la fede che professa, chi non è un
voltagabbana, una bandieruola. Chi è puro non sa riconoscersi come tale: ne è
inconsapevole come coloro che nel giudizio finale non sapevano di aver amato
Cristo amando i poveri (“quando, Signore, abbiamo fatto questo?”). Il puro è una
persona semplice che non fa calcoli, non si accomoda, non ha bisogno del
giudizio degli altri per sentire di valere qualcosa. Il puro contempla la
bellezza senza volerla fare propria, senza cercare di possederla. L’impuro è
colui che consuma, abusa, brama ogni cosa per sé. Il puro è una persona libera
dal proprio ego, dalla tirannia dell’io, che non sta continuamente a
rivendicare, a fare confronti e paragoni (“perché lui si e io no?”), fino a
rendere impossibile la vita comunitaria.
- È pacifica: produce pace, unità e non divisioni.
- È mite.
- È arrendevole, conciliante: non se la prende, non tiene conto del
male ricevuto, non è permalosa.
- È piena di misericordia.
- È piena di buoni frutti.
- È senza parzialità.
- È senza ipocrisie.
Questa sapienza porterà in voi frutti di giustizia e di pace.
Ma allora, direte, perché tra
noi ci sono tante discordie, tante lacerazioni, tante divisioni, tante
guerre? Il problema siete sempre voi, le vostre passioni, le vostre invidie. Combattete
guerre contro i fratelli con un linguaggio violento, offensivo, denigratorio;
con “lettere anonime” e calunnie, con atteggiamenti di mutismo (che in alcuni
casi durano anni!), evitando di rivolgere ad alcuni la parola e il semplice
sguardo (pensate quanta ascesi richiede questo esercizio prolungato per anni!).
Combattete piuttosto le vostre passioni, la vostra ricerca dell’edonismo, dei
piaceri, in quanto devastano le relazioni comunitarie generando una volontà di
possesso e di violenza. Se amate il mondo e la vita mondana allora siete
portati a dividervi, a sparlare, a disprezzare i poveri. La vita comunitaria
richiede di saper controllare e ordinare i desideri di possesso e di consumo. Dobbiamo
saper accettare di essere limitati e del fatto che lo sono anche gli altri. Se
riconosci i suoi limiti, le sue fragilità, non ferirlo con le tue parole e con
il tuo comportamento. Il “mio” interesse, l’individualismo, uccide la comunità.
Siamo avidi non solo di cose materiali, ma anche di considerazione, di
carriera, di potere. Se invidio il potere degli altri (che vorrei fosse mio, ma
non è possibile), finisco per essere un frustrato che se la prende con tutto e
tutti. L’invidia è mortifera e ti fa
star male. Nasce da un’impotenza (reale o supposta) che pone l’invidioso a
desiderare sempre più, a non accontentarsi di quello che ha ed è, e a soffrire
per ogni ostacolo che inevitabilmente gli si pone davanti. L’invidia è vedere
contro e vedere male. Per questo Dante ha descritto gli invidiosi con gli occhi
cuciti col fil di ferro e li ha posti al purgatorio, anziché all’inferno:
probabilmente perché sono dei disgraziati che hanno già sofferto in vita, che
non se la sono mai goduta. La vita comunitaria, se veramente vissuta, svela il
tuo cuore e le negatività che vi abitano.
Avvicinatevi
a Dio! Così ritroverete l’unità comunitaria! Di chi vuoi essere amico?
Del mondo? Allora sei nemico di Dio. Vuoi essere amico di Dio? Egli ci dà una
grazia capace di sconfiggere le lusinghe del mondo: l’umiltà. Questa si oppone all’istinto che ci spinge a bramare e
dunque ad invidiare. L’umiltà ci situa nella verità del nostro rapporto con
Dio, ci libera dal nostro ego smisurato. Ma va’ vissuta oltre che richiesta:
l’umile è colui che vive nel costante riconoscimento che tutto ciò che è ed ha
è dono di Dio.
Cosa vuol dire essere amico di Dio e non del mondo? Ve lo dico con dieci imperativi che non fanno altro
che ripetervi questa lezione fondamentale: riconoscere la propria debolezza e i
propri limiti e avvicinarsi a Dio.
- Sottomettetevi (cioè mettetevi sotto)
a Dio: cercate di fare la sua volontà su di voi.
- Opponetevi al diavolo (accettando di
fare la volontà di Dio): lottatelo con fermezza.
- Avvicinatevi a Dio: fatevi a lui
prossimi, rendetelo il vostro interlocutore principale con cui confrontarsi.
- Purificate le mani, o peccatori, e
santificate (cioè unificate) i vostri cuori, o uomini dal cuore diviso.
- Riconoscete la vostra miseria facendo
penitenza, e fatene lutto: piangete, perché il pianto è l’atto umano che serve
per riorientare le emozioni.
- Umiliatevi! La vita stessa vi offre
continue lezioni di abbassamento: coglietene l’insegnamento salvifico anche se
doloroso, in quanto feriscono il nostro ego. Se accogliamo la lezione e non la
facciamo diventare motivo di frustrazione, questa ci fa entrare in un movimento
di conversione.
- Non giudicate il fratello. Non
sparlare, cioè non parlare male e contro di lui, non usare maldicenza. Il
“terrorismo delle chiacchere” distrugge ogni tipo di fraternità e significa
giudicare la legge regale dell’amore. Solo Dio è legislatore e giudice. Non
farti allora giudice del fratello. Tuttavia ricordati che i conflitti sono
necessari: farli emergere è il primo passo per arrivare a delle soluzioni.
Occorre poi giungere alla discussione franca per far emergere una posizione
condivisa, che sia frutto di una nuova comunione nata dalle opinioni
differenti. E’ peggio soffocare il conflitto che viverlo e lasciarlo esprimere.
Chi non osa affrontare il conflitto, non osa entrare in relazione.
C’è poi da affrontare il problema del rapporto con il tempo. Pensate ai commercianti, ai ricchi uomini di affari: pretendono di
determinare il futuro, di disporne a loro piacere, di esserne padroni. Ma non
sappiamo cosa sarà domani! Il tempo è di Dio, è nelle sue mani.
Dite piuttosto: “Se il Signore vorrà”. Impostate cioè in modo diverso l’esistenza,
sapendo che non ne siamo padroni. Rimettetevi a Dio, ma ricordatevi che se al
tempo stesso non facciamo il bene che è in nostro potere fare, pecchiamo: il
futuro è nelle mani di Dio, ma l’oggi è affidato alle mie mani.
Ai ricchi delle vostre comunità ricordate: non conoscete il domani. E
non dite “non ho tempo”: noi non possediamo il tempo. Siamo nel tempo ed essere
nel tempo è la sostanza della nostra vita: ci fa essere e ci consuma (come
racconta il mito di Crono che divora i suoi figli). Il fatto che l’uomo sia
mortale è un limite da accogliere con sapienza. Pretendere di avere il
controllo del futuro vi rende vapore, soffio, inconsistenza. Vi assolutizzate,
vi credete dei, ma siete dei poverini dai giorni contati. E in particolare voi
ricchi: state preparando la vostra sciagura e la vostra condanna! Operatori di
ingiustizia che negate il giusto salario ai lavoratori e vivete in mezzo a
piaceri e a gozzoviglie: il Signore ascolta il grido degli oppressi; l’ingiustizia
da voi commessa grida agli orecchi del Signore dell’universo[1].
Siete degli assassini e degli avidi insaziabili: più avete e più cercate. Ma
anche il vostro oro arrugginisce, non vale niente!
In breve vorrei concludere questa lettera lasciandovi alcuni suggerimenti per guarire dalle
malattie che vi ho evidenziato:
- Siate magnanimi, con un animo grande, uno sguardo che non si ferma all’episodico,
ma sa guardare oltre, al fine della propria vita. E sappiate attendere la venuta del Signore sapendo
assecondare i tempi, come sanno fare gli agricoltori: il tempo, come vi ho già
detto, non è sotto il dominio del controllo umano. Assecondare il tempo
significa non forzarlo, violentarlo, anticiparlo. Sappiate attendere i tempi
dell’altro, i tempi della sua maturazione con fiducia e speranza, come ha fatto
il Padre misericordioso nella nota parabola. Il giudice è alle porte!
- Non dimenticate l’orizzonte
escatologico della vostra vita e non
lamentatevi gli uni degli altri, perché lamentandovi rimpicciolite,
insterilite e atrofizzate la vostra esistenza perpetuando il potere che vi
vittimizza. Occorre cambiare punto di vista, guardare la situazione con gli
occhi di Dio. Fare del male è sempre farsi del male, così come fare il bene è
sempre farsi del bene.
- Non giurate prendendo Dio
come garante del vostro impegno futuro: che diritto ne hai? Il vostro parlare
sia chiaro e coerente: se è un si, sia si, se è un no, sia no.
- Pregate! Fatelo nel
dolore così come nel buon umore: tutto sia occasione di preghiera. Questa è
parte fondamentale della bella condotta del cristiano.
- Chi è malato chiami (l’iniziativa sia la sua!) i presbiteri perché preghino
per lui e lo ungano nel nome del Signore. Questa preghiera, che voi chiamate “unzione
degli infermi”, può guarire e far risorgere. Sicuramente permette di morire
riconciliati con il mondo che lasciamo e con Dio che incontriamo.
- Confessatevi tra voi in
comunità, perché siamo tutti malati spiritualmente, e pregate gli uni per gli
altri per poter essere guariti.
- La preghiera mette in opera
la fede, mette in atto un’energia potente. Credete nella potenza della
preghiera che è eloquenza della fede che salva.
- Infine correggetevi fraternamente: riconciliatevi in comunità, sforzatevi di ricondurre il
vostro fratello alla verità dell’amore. Chi riconduce un peccatore dalla sua via di
errore lo salverà dalla morte e coprirà
una moltitudine di peccati da lui commessi. Ricordatevi che la correzione deve
essere dolce, ma ferma: non condanna, ma non si fa complice del peccato (nella
speranza di ottenere la sua complicità per coprire il mio peccato). La
correzione esige il coraggio di apparire poco simpatico. Ci sia sempre in voi
parresia e corresponsabilità: il peccato dell’altro riguarda anche me!
Il Signore benedica la vostra comunità, la purifichi, la guarisca e la
renda feconda testimone della sua presenza e del suo amore.
P. Stefano Liberti (a cura di)
[1] Nelle vostre traduzioni mi fate ancora dire,:
“Dio degli eserciti”! Io parlo del Dio che regge tutto con potenza, non certo
degli eserciti umani!
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