Soffermandosi in particolare sull’episodio della vedova di Nain narrato nel vangelo di Luca (7, 11-17), il Pontefice ha sottolineato come «la parola di Dio» del giorno parlasse di «un incontro. C’è un incontro fra la gente, un incontro tra la gente che era sulla strada». E questa, ha commentato, è «una cosa non abituale». Infatti, «quando noi andiamo per la strada ognuno pensa a sé: vede, ma non guarda; sente, ma non ascolta»; insomma ciascuno va per la propria direzione. E di conseguenza «le persone si incrociano fra loro, ma non si incontrano». Perché, ha chiarito sgombrando il campo da ogni equivoco, «l’incontro è un’altra cosa», ed è proprio «quello che il Vangelo oggi ci annuncia: un incontro fra un uomo e una donna, fra un figlio unico vivo e un figlio unico morto; fra una folla felice, perché aveva incontrato Gesù e lo seguiva, e un gruppo di gente, che piangendo accompagnava quella donna», rimasta vedova che andava a seppellire il suo unico figlio.
Una compassione, ha avvertito il Papa, che non è affatto la stessa che abbiamo noi normalmente «quando per esempio andiamo per strada e vediamo una cosa triste: “Peccato!”». Del resto «Gesù non ha detto: “Ma povera donna!”». Al contrario, «è andato oltre. Fu preso da compassione. “E gli si avvicinò e parlò. Le disse: Non piangere”». E in tal modo «Gesù con la sua compassione si coinvolge nel problema di quella signora. “Si avvicinò, le parlò e toccò”. Dice il Vangelo che toccò la bara. Ma sicuramente quando ha detto “non piangere”, toccò la vedova pure. Una carezza. Perché era commosso, Gesù. E poi fa il miracolo»: quello cioè di risuscitare il ragazzo.
In ciò il Pontefice ha individuato un’analogia: «Il figlio unico morto assomiglia a Gesù e diventa figlio unico vivo come Gesù. E c’è un gesto di Gesù che proprio fa vedere la tenerezza di un incontro e non solo la tenerezza, la fecondità di un incontro. “Il morto si mise seduto e cominciò a parlare ed egli — Gesù — lo restituì a sua madre”. Non ha detto: “Ma, è fatto il miracolo”. No, ma: “Vieni, prendilo, è tuo”». Ecco perché «ogni incontro è fecondo. Ogni incontro restituisce le persone e le cose al loro posto».
Un discorso, questo, che suona attuale anche gli uomini di oggi, troppo «abituati a una cultura dell’indifferenza» e per questo bisognosi di «lavorare e chiedere la grazia di fare una cultura dell’incontro, di questo incontro fecondo, di questo incontro che restituisca a ogni persona la propria dignità di figlio di Dio, la dignità di vivente». Noi «siamo abituati a questa indifferenza», ha sottolineato il Papa, sia «quando vediamo le calamità di questo mondo» sia davanti alle «piccole cose». Ci si limita a dire: «Ma, peccato, povera gente, quanto soffrono» per poi tirare dritto. Mentre l’incontro è altro, come ha spiegato Francesco: «Se io non guardo — non è sufficiente vedere, no: guardare — se io non mi fermo, se io non guardo, se io non tocco, se io non parlo, non posso fare un incontro e non posso aiutare a fare una cultura dell’incontro».
Ritornando alla descrizione della scena evangelica, il Pontefice ha poi evidenziato come, davanti al miracolo compiuto da Gesù «la gente presa dal timore glorificava Dio. E a me piace vedere anche qui — ha confidato — l’incontro di tutti i giorni fra Gesù e la sua sposa, la Chiesa, che è in attesa che lui torni. E ogni volta che Gesù trova un dolore, un peccatore, una persona fuori strada, lo guarda, gli parla, lo restituisce alla sua sposa». Dunque, «questo è il messaggio di oggi: l’incontro di Gesù con il suo popolo; l’incontro di Gesù che serve, che aiuta, che è il servitore, che si abbassa, che è condiscendente con tutti i bisognosi». E, ha rimarcato Francesco, «quando diciamo “bisognosi” non pensiamo solo ai senzatetto», ma anche a «noi bisognosi — bisognosi della parola di Gesù, di carezze — e anche a quelli a noi cari». Un esempio concreto? Il Papa ha descritto l’immagine di una famiglia riunita a tavola: «quante volte si mangia, si guarda la tv o si scrivono messaggi al telefonino. Ognuno è indifferente a quell’incontro. Anche proprio nel nocciolo della società, che è la famiglia, non c’è l’incontro», ha commentato. Da qui l’esortazione conclusiva «a lavorare per questa cultura dell’incontro, così semplicemente come l’ha fatto Gesù».
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