Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell'acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».
Chi è Gesù Cristo?
Giovanni Battista ci offre una definizione/indicazione per noi strana (l'AGNELLO di Dio), ma ricca di allusioni bibliche:
- come "AGNELLO MANSUETO" (cf. Isaia): l'agnello, nella Bibbia, è il simbolo della non violenza, della mansuetudine, dell'innocenza. In Gesù Dio si mostra come un Dio umile e mite, che non incute paura, piuttosto TENEREZZA (come il bambinello contemplato a Natale), che non può fare mai del male, piuttosto riceverlo.
Mentre il mondo crede nella forza della violenza per affermare se stessi e le proprie idee, Gesù incarna e insegna la forza della mitezza, l'unica che alla fine risulta davvero vittoriosa ("Io ho vinto il mondo!").
- come "AGNELLO SACRIFICALE": con Gesù scompare il rito dell'offrire sacrifici (animali e, ahime, umani) di comunione e/o di riconciliazione.
Davanti a Dio non si andava a mani vuote, si offriva un dono che esprimeva il desiderio di riconciliazione e di comunione con Dio. E l'agnello era l'animale più comune da sacrificare:
quello che rimandava alla CENA PASQUALE, all’evento di LIBERAZIONE dalla schiavitù d’Egitto preceduto dall’evento di SALVEZZA espresso dal SANGUE dell’agnello asperso negli architravi e stipiti delle porte: salvezza dalla morte portata dall’angelo distruttore.
> Gesù è l’agnello il cui sangue ci libera dalla morte del peccato e ci apre il cammino verso la terra promessa, verso il Regno di Dio, verso la beatitudine da lui promessa e concessa.
> Gesù è l’unico sacrificio gradito a Dio: il Signore non chiede più sacrifici all'uomo, ma sacrifica se stesso; non pretende la tua vita, offre la sua; non spezza nessuno, spezza se stesso; non prende niente, dona tutto.
> Gesù, ci dice Giovanni, è sacrificato nel giorno della Parasceve, quello in cui venivano macellati gli agnellini destinati alla cena pasquale; sacrificato senza che fosse spezzato osso: integro, come doveva essere l’agnello.
> Gesù è il sacrificio (lett.: fatto sacro, azione sacra) che toglie il PECCATO DEL MONDO: non al plurale, ad indicare i nostri sbagli frutti di fragilità e limiti umani che possono essere sostenuti, ma non eliminati e continueranno a ferire e a ferirci. E’ al singolare, ad indicare il peccato per eccellenza, ovvero il rifiuto di Dio che è amore, il bestemmiare lo Spirito che è comunione, opponendosi a Lui: Gesù è venuto a donare amore a chi era senza amore e si era chiuso, incattivito, a chi non crede nell’amore.
> Gesù è l’agnello TRIONFANTE descritto nell’Apocalisse, colui che ci manda come “agnelli in mezzo ai lupi”, che ci invita ad estirpare il male con la mitezza.
Noi, i discepoli, siamo coloro che seguono l'agnello (Ap 14,4). Se questo seguire lo intendiamo in un'ottica sacrificale, il cristianesimo diventa immolazione, diminuzione, sofferenza. Ma se capiamo che la vera imitazione di Gesù è amare quelli che lui amava, desiderare ciò che lui desiderava, rifiutare ciò che lui rifiutava, toccare quelli che lui toccava e come lui li toccava, con la sua delicatezza, concretezza, amorevolezza, e non avere paura, e non fare paura, e liberare dalla paura, allora sì lo seguiamo davvero, impegnati con lui a togliere via il peccato del mondo, a togliere respiro e terreno al male, ad opporci alla logica sbagliata del mondo, a guarirlo dal disamore che lo intristisce.
“Io non lo conoscevo”: lo conoscevo come uomo, in qualità di parente, per sentito dire, non in qualità di inviato di Dio, di Messia. E io lo conosco davvero? Ho un rapporto personale con Lui?
Se così, probabilmente, non è, impariamo anche noi a conoscerlo, a crederlo, a seguirlo, a pregarlo, ad indicarlo e farlo così conoscere.
Ermes Ronchi:
Giovanni, vedendo Gesù venirgli incontro, dice: Ecco l'agnello di Dio. Parole diventate così consuete nelle nostre liturgie che quasi non sentiamo più il loro significato.
Un agnello non può fare paura, non ha nessun potere, è inerme, rappresenta il Dio mite e umile (se ti incute paura, stai sicuro che non è il Dio vero).
Ecco l'agnello che toglie il peccato del mondo, che rende più vera la vita di tutti attraverso lo scandalo della mitezza.
Gesù-agnello, identificato con l'animale dei sacrifici, introduce qualcosa che capovolge e rivoluziona il volto di Dio: il Signore non chiede più sacrifici all'uomo, ma sacrifica se stesso; non pretende la tua vita, offre la sua; non spezza nessuno, spezza se stesso; non prende niente, dona tutto.
Facciamo attenzione al volto di Dio che ci portiamo nel cuore: è come uno specchio, e guardandolo capiamo qual è il nostro volto. Questo specchio va ripulito ogni giorno, alla luce della vita di Gesù. Perché se ci sbagliamo su Dio, poi ci sbagliamo su tutto, sulla vita e sulla morte, sul bene e sul male, sulla storia e su noi stessi.
Ecco l'agnello che toglie il peccato del mondo. Non «i peccati», al plurale, ma «il peccato» al singolare; non i singoli atti sbagliati che continueranno a ferirci, ma una condizione, una struttura profonda della cultura umana, fatta di violenza e di accecamento, una logica distruttiva, di morte. In una parola, il disamore.
Che ci minaccia tutti, che è assenza di amore, incapacità di amare bene, chiusure, fratture, vite spente. Gesù, che sapeva amare come nessuno, è il guaritore del disamore. Egli conclude la parabola del Buon Samaritano con parole di luce: fai questo e avrai la vita. Vuoi vivere davvero? Produci amore. Immettilo nel mondo, fallo scorrere... E diventerai anche tu un guaritore del disamore.
Noi, i discepoli, siamo coloro che seguono l'agnello (Ap 14,4). Se questo seguire lo intendiamo in un'ottica sacrificale, il cristianesimo diventa immolazione, diminuzione, sofferenza. Ma se capiamo che la vera imitazione di Gesù è amare quelli che lui amava, desiderare ciò che lui desiderava, rifiutare ciò che lui rifiutava, toccare quelli che lui toccava e come lui li toccava, con la sua delicatezza, concretezza, amorevolezza, e non avere paura, e non fare paura, e liberare dalla paura, allora sì lo seguiamo davvero, impegnati con lui a togliere via il peccato del mondo, a togliere respiro e terreno al male, ad opporci alla logica sbagliata del mondo, a guarirlo dal disamore che lo intristisce.
Ecco vi mando come agnelli... vi mando a togliere, con mitezza, il male: braccia aperte donate da Dio al mondo, braccia di un Dio agnello, inerme eppure più forte di ogni Erode.
(Letture: Isaia 49, 3.5-6; Salmo 39; 1 Corinzi 1, 1-3; Giovanni 1,29-34)
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