In quel tempo, Gesù disse ai
suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di
casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si
accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi
verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e
disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed
essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto.
Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro:
(...) “Andate anche voi nella vigna”. Quando fu sera, il padrone della vigna
disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando
dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio,
ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che
avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel
ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone (...)».
Nel mondo che Dio sogna non ci sono disoccupati, ma qualche problema sindacale.
La prima immagine riguarda il padrone-Dio: esce incessantemente
per cercare collaboratori! E non tanto per necessità: anche quando il lavoro
giunge al termine continua ad invitare a raggiungere gli altri lavoranti, per
non lasciare disoccupato nessuno. Sembra uscire con l’intento di non lasciare a
mani vuote nessuno.
Perché Dio comprende bene il dramma di chi rimane senza un
lavoro, di chi rischia di perdere la stessa dignità sentendosi inutile,
rifiutato, incapace di provvedere alla sua vita e dunque, tanto più, della
propria famiglia.
Al dramma dei disoccupati si affianca quello dei giovani che
sono senza prospettiva e senza voglia. Quanti “panchinari” passano le ore
seduti in qualche muretto attendendo la proposta giusta (che non arriva mai)
per fare qualcosa di più entusiasmante dello stare insieme senza meta e senza
gioia. “Nessuno ci ha chiamati a giornata”…e questa condizione spesso rende
amorfi e svogliati, tanto da declinare qualsiasi proposta venga loro offerta.
Ovviamente Gesù non ci parla di lavoro materiale (anche se gli
sta a cuore anche quello, con tutte le problematiche che può creare nelle
persone)
Dio chiama. E lo fa instancabilmente. Ci invita a collaborare al
suo Regno, come operai che si mettono con impegno al lavoro e lo fanno con
l’entusiasmo di chi sente di fare qualcosa di grande.
Dio ci chiede di far nostra la sua impellenza a non lasciare
nessuno disoccupato. Invitiamo gli altri a collaborare? Trasmettiamo questa
gioia e questa riconoscenza per il lavoro che, per grazia di Dio, facciamo?
Conoscete la storiella dei tre tagliatori di pietre impegnati
nella costruzione di una cattedrale medioevale? A tutti e tre fu rivolta a
turno la stessa domanda: “che stai facendo?” “lo spaccatore di pietre”, rispose
il primo con tono arrabbiato e frustrato; il secondo rispose: “Mi guadagno da
vivere”. Il terzo rispose con orgoglio: “Sto costruendo una grande cattedrale”.
Tutti facevano gli stessi atti ma solo uno scopriva un senso ultimo e non
frammentario.
L’ultima annotazione della parabola riguarda le reazioni degli
operai della prima ora: quasi tutti noi frequentiamo la Chiesa da piccoli, ma
chi di noi oserebbe ancora oggi obiettare qualcosa per il trattamento riservato
agli ultimi arrivati? Chi di noi è così egoista da lamentarsi del fatto che
anche un ultimo arrivato nella Chiesa riceva la stessa ricompensa?
Eppure le lamentazioni sono continue: quelle di noi sacerdoti oppressi
dalla mole del lavoro e troppo spesso insoddisfatti per le difficoltà che si
incontrano; quelle dei collaboratori più stretti. Siamo spesso insoddisfatti e
invidiosi.
Ma ci ricordiamo che abbiamo ricevuto un dono grande? Un
privilegio unico? Quello di essere collaboratori di Dio, uomini e donne che
hanno ricevuto un senso grande per la loro vita ? Ci rendiamo conto che abbiamo
il privilegio di non rimanere inerti e insoddisfatti ad attendere invano
qualcuno che ci chiami a giornata?
Chi di noi non sente un po’ di disagio per il modo di ragionare
di Dio che non accetta di ripagarci secondo il nostro impegno, ma dona a tutti
la stessa ricompensa? Quante volte ci muoviamo secondo il principio “do ut des”:
do qualcosa a Dio per la ricompensa che posso trarne? Chi non ha, in fondo, la
convinzione che pregando tutti i giorni e venendo a Messa ogni domenica dobbiamo
in cambio aver un trattamento di favore? Questa grande “fatica” non merita di
avere un contraccambio adeguato e maggiore di chi si “gode” la vita? Ma è
veramente la nostra una fatica e quella degli altri un godimento?
“Le vostre vie non sono le
mie vie, i vostri pensieri non sono i miei pensieri”
Dio non è un Padrone, bensì un Padre; non cerca il proprio
interesse, ma quello dei suoi figli; non cerca la giustizia umana retributiva
(ti do quanto meriti, dare a ciascuno il suo), ma la generosità di chi ti dona
gratuitamente, ben aldilà dei tuoi meriti. Non toglie nulla ai primi, aggiunge
agli altri. Non ti toglie nulla, bensì ti dona tutto.
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