sabato 4 ottobre 2014

Matteo 21, 33-43: XXVII domenica del tempo ordinario, anno A


La VIGNA amata dal Signore (1L) rappresenta ciascuno di noi e il popolo di Dio in generale.

La prima dimensione da sottolineare è, con Isaia, la passione che Dio ha per la sua vigna: amata, vezzeggiata, curata. Non perde occasione per mostrare il suo attaccamento amoroso nei confronti della sua creatura: “che potevo fare di più per te che io non abbia fatto?”. Che mostra ben poca gratitudine e corrisponde a tale amore con insofferenza e violenza.

Il padrone si aspettava un raccolto abbondante: il frutto della giustizia, della rettitudine, della solidarietà. Si ritrova invece uva inselvatichita: grida di oppressi, sangue e ingiustizia.

E’ chiaro il riferimento immediato di Gesù: parla ai capi del popolo, ai responsabili religiosi. Hanno preteso di farsi padroni di ciò che non è loro, ma è di Dio. Hanno disprezzato, fatto violenza, ucciso coloro che il Padrone ha, negli anni, mandato loro come suo rappresentante (vedi soprattutto i profeti). Ora si preparano ad uccidere il Figlio stesso del Padrone (ovvero Gesù, che sta anticipando gli eventi che lo porteranno alla morte di croce) pensando di diventare così unici eredi della vigna.

La vigna rappresenta il popolo di Dio (prima Israele, ora la Chiesa inviata a tutte le genti per annunciare un Dio che è vicino a noi, che ama ciascuno di noi, che è Padre…). Quanti inviati di Dio sono stati e sono ancora maltrattati nel mondo (e dal mondo): pensiamo ai paesi del medio oriente, dell’africa e dell’asia: essere cristiani in molti di questi paesi è pericoloso. Ci sono luoghi percorsi da San Paolo dove i cristiani non sono più presenti a causa di decennali guerre contro di loro. In Iraq i pochi cristiani rimasti devono continuamente scappare in rifugi di fortuna per non venire massacrati. Si parla di “cristianofobia” (termine poco di moda e spesso taciuto) e si calcola che attualmente circa un cristiano al giorno venga ucciso a causa della fede che professa.

Ma anche in Italia, e in occidente in generale, il cristianesimo e i veri cristiani subiscono spesso umiliazioni e pregiudizi. Nel mondo culturale chi si professa cristiano è spesso emarginato e considerato con disprezzo… Si parla di emancipazione della società e questa sembra che debba essere il frutto della progressiva eliminazione della fede (cristiana): si diventa padroni di noi stessi e della società – così si pensa- eliminando l’influsso nocivo di ideologie religiose che ci pongono in dipendenza di un Dio che non ci permettono di fare quello che vogliamo (pensiamo all’aborto, all’eutanasia, ad una vita sessuale priva di vincoli…). Per questo ci si accanisce anche togliendo ogni riferimento religioso nei luoghi pubblici, come il crocifisso o la celebrazione del Natale del Signore.\

Ma c’è un’altra dimensione da non dimenticare: la vigna rappresenta ciascuno di noi. E ciascuno di noi ambisce a diventare padrone assoluto della sua vita, a conquistarsi la propria presunta “libertà” eliminando ogni influenza a Dio e ai suoi inviati. Buttando fuori dalla nostra vita (a volte in modo violento) ogni riferimento a Dio pensiamo di diventarne padroni e non custodi. Dimentichiamo così la dimensione del dono (che costituisce l’essenziale della vita) e dell’essere figli di Dio e fratelli fra noi. Ma è vera libertà quella di vivere senza un riferimento a Dio e un legame di responsabilità con i nostri fratelli? Maturano da qui frutti di giustizia e di amore?

L'uomo dei campi, il nostro Dio contadino, guarda la sua vigna con gli occhi dell'amore e la circonda di cure: che cosa potevo fare di più per te che io non abbia fatto? Canto d'amore di un Dio appassionato, che fa per me ciò che nessuno farà mai.
Quale raccolto si attende il Signore? Isaia: Aspettavo giustizia, attendevo rettitudine, non più grida di oppressi, non più sangue! Il frutto che Dio attende è una storia che non generi più oppressi, sangue e ingiustizia, fughe disperate e naufragi.
Nelle vigne è il tempo del raccolto. Per noi lo è ogni giorno: vengono persone, cercano pane, Vangelo, giustizia, coraggio, un raggio di luce. Che cosa trovano in noi? Vino buono o uva acerba?
La parabola cammina però verso un orizzonte di amarezza e di violenza. In contrasto con la bassezza dei vignaioli emerge la grandezza del mio Dio contadino (Veronelli diceva che chiamare uno «contadino» è il più bel complimento che si possa fare a una persona), un Signore che non si arrende, non è mai a corto di meraviglie, non ci molla e ricomincia dopo ogni rifiuto ad assediare il cuore con nuovi Profeti e servitori, e infine con il Figlio.
Costui è l'erede, uccidiamolo e avremo noi l'eredità! La parabola è trasparente: la vigna è Israele, i vignaioli avidi sono le autorità religiose, che uccideranno Gesù come bestemmiatore. Il movente è lo stesso: l'interesse, potere e denaro, tenersi il raccolto e l'eredità! È la voce oscura che grida in ciascuno: sii il più forte, il più furbo, non badare all'onestà, e sarai tu il capo, il ricco, il primo. Questa ubriacatura per il potere e il denaro è l'origine di tutte le vendemmie di sangue della terra.
Cosa farà il padrone? La risposta delle autorità è secondo logica giudiziaria: una vendetta esemplare, nuovi vignaioli, nuovi tributi. La loro idea di giustizia si fonda sull'eliminare chi sbaglia. Gesù non è d'accordo. Lui non parla di far morire, mai; il suo scopo è far fruttificare la vigna: sarà data a un popolo che produca frutti.
La storia perenne di amore e tradimenti tra Dio e l'uomo non si concluderà né con un fallimento né con una vendetta, ma con l'offerta di una nuova possibilità: darà la vigna ad altri. Tra Dio e l'uomo le sconfitte servono solo a far meglio risaltare l'amore di Dio. Il sogno di Dio non è né il tributo finalmente pagato (non ne parla più) né la condanna a una pena esemplare per chi ha sbagliato, ma una vigna, un mondo che non maturi più grappoli rossi di sangue e amari di lacrime, che non sia una guerra perenne per il potere e il denaro, ma che maturi una vendemmia di giustizia e di pace, la rivoluzione della tenerezza, la triplice cura di sé, degli altri e del creato.
(Letture: Isaia 5, 1-7; Salmo 79; Filippesi 4, 6-9; Matteo 21, 33-43)

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