La VIGNA amata dal Signore (1L) rappresenta ciascuno di noi e il
popolo di Dio in generale.
La prima dimensione da sottolineare è, con Isaia, la passione
che Dio ha per la sua vigna: amata, vezzeggiata, curata. Non perde occasione
per mostrare il suo attaccamento amoroso nei confronti della sua creatura: “che
potevo fare di più per te che io non abbia fatto?”. Che mostra ben poca
gratitudine e corrisponde a tale amore con insofferenza e violenza.
Il padrone si aspettava un raccolto abbondante: il frutto della
giustizia, della rettitudine, della solidarietà. Si ritrova invece uva
inselvatichita: grida di oppressi, sangue e ingiustizia.
E’ chiaro il riferimento immediato di Gesù: parla ai capi del
popolo, ai responsabili religiosi. Hanno preteso di farsi padroni di ciò che
non è loro, ma è di Dio. Hanno disprezzato, fatto violenza, ucciso coloro che
il Padrone ha, negli anni, mandato loro come suo rappresentante (vedi
soprattutto i profeti). Ora si preparano ad uccidere il Figlio stesso del
Padrone (ovvero Gesù, che sta anticipando gli eventi che lo porteranno alla
morte di croce) pensando di diventare così unici eredi della vigna.
La vigna rappresenta il popolo di Dio (prima Israele, ora la
Chiesa inviata a tutte le genti per annunciare un Dio che è vicino a noi, che
ama ciascuno di noi, che è Padre…). Quanti inviati di Dio sono stati e sono
ancora maltrattati nel mondo (e dal mondo): pensiamo ai paesi del medio
oriente, dell’africa e dell’asia: essere cristiani in molti di questi paesi è
pericoloso. Ci sono luoghi percorsi da San Paolo dove i cristiani non sono più
presenti a causa di decennali guerre contro di loro. In Iraq i pochi cristiani
rimasti devono continuamente scappare in rifugi di fortuna per non venire
massacrati. Si parla di “cristianofobia” (termine poco di moda e spesso
taciuto) e si calcola che attualmente circa un cristiano al giorno venga ucciso
a causa della fede che professa.
Ma anche in Italia, e in occidente in generale, il cristianesimo
e i veri cristiani subiscono spesso umiliazioni e pregiudizi. Nel mondo
culturale chi si professa cristiano è spesso emarginato e considerato con
disprezzo… Si parla di emancipazione della società e questa sembra che debba
essere il frutto della progressiva eliminazione della fede (cristiana): si
diventa padroni di noi stessi e della società – così si pensa- eliminando
l’influsso nocivo di ideologie religiose che ci pongono in dipendenza di un Dio
che non ci permettono di fare quello che vogliamo (pensiamo all’aborto,
all’eutanasia, ad una vita sessuale priva di vincoli…). Per questo ci si
accanisce anche togliendo ogni riferimento religioso nei luoghi pubblici, come
il crocifisso o la celebrazione del Natale del Signore.\
Ma c’è un’altra dimensione da non dimenticare: la vigna
rappresenta ciascuno di noi. E ciascuno di noi ambisce a diventare padrone
assoluto della sua vita, a conquistarsi la propria presunta “libertà”
eliminando ogni influenza a Dio e ai suoi inviati. Buttando fuori dalla nostra
vita (a volte in modo violento) ogni riferimento a Dio pensiamo di diventarne padroni
e non custodi. Dimentichiamo così la dimensione del dono (che costituisce
l’essenziale della vita) e dell’essere figli di Dio e fratelli fra noi. Ma è
vera libertà quella di vivere senza un riferimento a Dio e un legame di
responsabilità con i nostri fratelli? Maturano da qui frutti di giustizia e di
amore?
L'uomo dei campi, il nostro Dio contadino, guarda la
sua vigna con gli occhi dell'amore e la circonda di cure: che cosa potevo fare
di più per te che io non abbia fatto? Canto d'amore di un Dio appassionato, che
fa per me ciò che nessuno farà mai.
Quale raccolto si attende il Signore? Isaia: Aspettavo giustizia, attendevo rettitudine, non più grida di oppressi, non più sangue! Il frutto che Dio attende è una storia che non generi più oppressi, sangue e ingiustizia, fughe disperate e naufragi.
Nelle vigne è il tempo del raccolto. Per noi lo è ogni giorno: vengono persone, cercano pane, Vangelo, giustizia, coraggio, un raggio di luce. Che cosa trovano in noi? Vino buono o uva acerba?
La parabola cammina però verso un orizzonte di amarezza e di violenza. In contrasto con la bassezza dei vignaioli emerge la grandezza del mio Dio contadino (Veronelli diceva che chiamare uno «contadino» è il più bel complimento che si possa fare a una persona), un Signore che non si arrende, non è mai a corto di meraviglie, non ci molla e ricomincia dopo ogni rifiuto ad assediare il cuore con nuovi Profeti e servitori, e infine con il Figlio.
Costui è l'erede, uccidiamolo e avremo noi l'eredità! La parabola è trasparente: la vigna è Israele, i vignaioli avidi sono le autorità religiose, che uccideranno Gesù come bestemmiatore. Il movente è lo stesso: l'interesse, potere e denaro, tenersi il raccolto e l'eredità! È la voce oscura che grida in ciascuno: sii il più forte, il più furbo, non badare all'onestà, e sarai tu il capo, il ricco, il primo. Questa ubriacatura per il potere e il denaro è l'origine di tutte le vendemmie di sangue della terra.
Cosa farà il padrone? La risposta delle autorità è secondo logica giudiziaria: una vendetta esemplare, nuovi vignaioli, nuovi tributi. La loro idea di giustizia si fonda sull'eliminare chi sbaglia. Gesù non è d'accordo. Lui non parla di far morire, mai; il suo scopo è far fruttificare la vigna: sarà data a un popolo che produca frutti.
La storia perenne di amore e tradimenti tra Dio e l'uomo non si concluderà né con un fallimento né con una vendetta, ma con l'offerta di una nuova possibilità: darà la vigna ad altri. Tra Dio e l'uomo le sconfitte servono solo a far meglio risaltare l'amore di Dio. Il sogno di Dio non è né il tributo finalmente pagato (non ne parla più) né la condanna a una pena esemplare per chi ha sbagliato, ma una vigna, un mondo che non maturi più grappoli rossi di sangue e amari di lacrime, che non sia una guerra perenne per il potere e il denaro, ma che maturi una vendemmia di giustizia e di pace, la rivoluzione della tenerezza, la triplice cura di sé, degli altri e del creato.
(Letture: Isaia 5, 1-7; Salmo 79; Filippesi 4, 6-9; Matteo 21, 33-43)
Quale raccolto si attende il Signore? Isaia: Aspettavo giustizia, attendevo rettitudine, non più grida di oppressi, non più sangue! Il frutto che Dio attende è una storia che non generi più oppressi, sangue e ingiustizia, fughe disperate e naufragi.
Nelle vigne è il tempo del raccolto. Per noi lo è ogni giorno: vengono persone, cercano pane, Vangelo, giustizia, coraggio, un raggio di luce. Che cosa trovano in noi? Vino buono o uva acerba?
La parabola cammina però verso un orizzonte di amarezza e di violenza. In contrasto con la bassezza dei vignaioli emerge la grandezza del mio Dio contadino (Veronelli diceva che chiamare uno «contadino» è il più bel complimento che si possa fare a una persona), un Signore che non si arrende, non è mai a corto di meraviglie, non ci molla e ricomincia dopo ogni rifiuto ad assediare il cuore con nuovi Profeti e servitori, e infine con il Figlio.
Costui è l'erede, uccidiamolo e avremo noi l'eredità! La parabola è trasparente: la vigna è Israele, i vignaioli avidi sono le autorità religiose, che uccideranno Gesù come bestemmiatore. Il movente è lo stesso: l'interesse, potere e denaro, tenersi il raccolto e l'eredità! È la voce oscura che grida in ciascuno: sii il più forte, il più furbo, non badare all'onestà, e sarai tu il capo, il ricco, il primo. Questa ubriacatura per il potere e il denaro è l'origine di tutte le vendemmie di sangue della terra.
Cosa farà il padrone? La risposta delle autorità è secondo logica giudiziaria: una vendetta esemplare, nuovi vignaioli, nuovi tributi. La loro idea di giustizia si fonda sull'eliminare chi sbaglia. Gesù non è d'accordo. Lui non parla di far morire, mai; il suo scopo è far fruttificare la vigna: sarà data a un popolo che produca frutti.
La storia perenne di amore e tradimenti tra Dio e l'uomo non si concluderà né con un fallimento né con una vendetta, ma con l'offerta di una nuova possibilità: darà la vigna ad altri. Tra Dio e l'uomo le sconfitte servono solo a far meglio risaltare l'amore di Dio. Il sogno di Dio non è né il tributo finalmente pagato (non ne parla più) né la condanna a una pena esemplare per chi ha sbagliato, ma una vigna, un mondo che non maturi più grappoli rossi di sangue e amari di lacrime, che non sia una guerra perenne per il potere e il denaro, ma che maturi una vendemmia di giustizia e di pace, la rivoluzione della tenerezza, la triplice cura di sé, degli altri e del creato.
(Letture: Isaia 5, 1-7; Salmo 79; Filippesi 4, 6-9; Matteo 21, 33-43)
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