mercoledì 23 novembre 2011

Marco 13,33-37

I domenica di Avvento (B)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».


VEGLIATE! Cioè?
1. PREMESSA: L’AVVENTO
Non possiamo dimenticarci che questa domenica apre un nuovo anno liturgico (quante volte lo ripeto quasi inutilmente ai ragazzi del catechismo) e ci immette nel tempo dell’AVVENTO, dell’ATTESA della venuta del Signore.
Ma cos’è l’AVVENTO? La risposta immediata dei ragazzi (quando và bene e sembrano particolarmente attenti) è che si tratta di un periodo per prepararci al Natale. E’ una risposta corretta, ma fortemente riduttiva: che bisogno c’è di vivere 4 settimane per prepararci a ricordare un evento che, seppur decisivo per la nostra fede, è accaduto più di 2000 anni fa? O forse attendiamo ancora la venuta di Gesù nella carne della nostra umanità e nella povertà di Betlemme?
Certo sarebbe già un passo in avanti: prepararci a vivere spiritualmente il Natale ci eviterebbe nostalgie verso un passato in cui, da bambini, attendevamo realmente quel giorno fatidico e godevamo di un clima quasi magico e poetico. E ci eviterebbe di rimanere vittime di quel consumismo della corsa ai regali che sempre critichiamo, ma inevitabilmente (?) ci coinvolge; o del dopo abbuffate coi parenti che ci rintronano e ci lasciano solo un po’ più appesantiti di prima.
L’avvento non è solo un ricordo, ma l’attesa di un incontro che richiede la nostra disponibilità, il nostro desiderio. L’incontro improvviso, nel senso che non possiamo programmarlo, con il Signore che viene a “visitarci” quando meno ce lo aspettiamo (visite che possono cambiare la nostra vita e convertirci a lui), ma che sono spesso “occasioni mancate” perché distratti, presi da altro, addormentati, non attenti. Come cristiani sappiamo che Gesù è in mezzo a noi “fino alla fine dei tempi”, ma anche che non possiamo vederlo con i nostri occhi. Sappiamo che questo incontro diventerà definitivo e “visibile” alla fine della nostra esistenza (e ancora una volta tutto ciò sarà in un momento inaspettato) o, come ripetiamo ogni domenica nel Credo, alla fine dei tempi, quando il Signore tornerà Glorioso, visibile nella sua grandezza, “giudicherà i vivi e i morti” e darà compimento a tutte le cose ristabilendo un ordine e un’armonia troppe volte distrutta dagli uomini.
L’avvento, soprattutto nella sua prima parte, vuole risvegliarci dal torpore e dal dubbio che questo mondo che è andato avanti per tanti millenni non finirà certo proprio ora di esistere e dunque che, se il Signore verrà, lo farà in tempi talmente futuri da non riguardarci direttamente.
2. VEGLIATE!
Forse ora comprendiamo meglio l’appello insistente che le letture di oggi ci fanno di VEGLIARE, stare attenti, vigilare… Gesù nel breve brano del Vangelo di Marco (che ci accompagnerà in questo nuovo anno liturgico) lo ripete ben 3 volte. Non per metterci paura (come a volte facevano i preti di un tempo ricordandoci con insistenza: “ricordati che devi morire”, il giudizio di Dio è alle porte…), piuttosto, eventualmente, per esprimere la paura che lui, buon Pastore, ha di perderci.
Essere attenti significa letteralmente essere “tesi a”, “pro-tesi”, “tesi per” l’incontro col Signore che viene o, negativamente, tesi per non essere sorpresi da una sciagura imminente. Significa essere sempre all’erta, stare di sentinella, attenti a ciò che avviene attorno a noi per coglierne segnali di qualcosa che potrebbe cambiare l’esistenza (come l’arrivo di un LADRO, per chi ha da temere di perdere qualcosa di importante o come l’arrivo dello SPOSO per chi lo cerca e lo attende).
Perché attendere e vegliare? Perché “non sapete quando sarà il momento preciso”… “perché il padrone di casa non giunga all’improvviso trovandovi addormentati”. Così, poco più avanti nel vangelo, Marco racconta come i discepoli sono afferrati dal sonno nell’orto del Getsemani, incapaci di condividere con il loro Signore un momento così drammatico e cruciale della sua esistenza e a loro volta incapaci di comprendere gli eventi che staranno per accadere e che li vedranno fuggitivi e angosciati se non addirittura traditori.
Nel Vangelo Gesù per indicare in CHE MODO vegliare usa l’esempio del PORTIERE il quale deve essere costantemente preparato ad accogliere il padrone di casa (che sembra averci definitivamente abbandonato lasciandoci come custodi della casa-chiesa) che da un momento all’altro ritornerà. E’ bella questa immagine del portiere: ci ricorda che siamo suoi custodi, suoi servitori, mai padroni. Ci pone inoltre nella SOGLIA della casa-chiesa, pronti ad accogliere la sua venuta senza lasciarci ingannare dalla “forma” con cui egli si presenterà (“perché, diceva Gesù domenica scorsa, avevo fame e mi avete dato da mangiare, ero nudo e mi avete vestito…”: ero io quel povero, quel bisognoso che avete o non avete aiutato e accolto).
3. LO “STILE DELLA VIGILANZA”
Ma cosa significa per noi oggi vegliare, stare attenti, essere pronti?
Significa non dimenticare mai che la vita è un pellegrinaggio, non un fortunoso vagabondaggio, e neanche una più o meno piacevole gita turistica: quindi non dobbiamo mai illuderci di essere già arrivati e non possiamo mai dimenticarci della nostra meta.
Significa attrezzarsi per il “santo viaggio” con un equipaggiamento leggero, con la “bisaccia del pellegrino”, munita dell’essenziale: altrimenti non ci muoveremo di tappa in tappa, ma ci sposteremo solo di poltrona in poltrona.
Significa non misurare il tempo dalla morte in qua, ma dalla morte in là: perciò niente ci turbi, niente ci spaventi: solo il Signore basta!
Vegliare significa considerare gli altri - familiari, amici, colleghi - nostri compagni di pellegrinaggio: quindi significa amare ognuno come un fratello avuto in dono senza mai bramare di possedere alcuno come proprietà privata; significa servire tutti, ma non asservire nessuno.
Vegliare significa considerare la salute, il lavoro, il denaro, il divertimento per quello che sono: non come privilegi da difendere, ma come doni da condividere; come dei mezzi utili per il pellegrinaggio, non come le mete ultime del cammino.
Significa compiere il servizio che ci è richiesto, come fosse l’ultimo, ma sempre come “servi inutili”: con i fianchi cinti e le lucerne accese.
E sempre pronti a ripiegare le tende per andare là dove siamo chiamati, senza accasarci mai da nessuna parte, fin quando non arriveremo al giorno beato dell’incontro definitivo. Significa guardare al futuro non come a un fato incombente e implacabile, né come a un destino fortuito, volubile e capriccioso; significa sperare che la sofferenza, la malattia, la morte e tutte le catastrofi, naturali o sociali, non siano l’ultima parola della storia.
Vegliare significa ricevere, guardare e onorare le cose che Dio ha creato “come se al presente uscissero dalle mani di Dio” (GS 35); significa pure non esitare a piantare un seme oggi, anche se si sapesse che il mondo finirà domani.
4. CONCLUSIONI
Un altro Avvento dunque a smascherare la nostra fede debole e addomesticata ? La nostra mancata attesa della venuta del Signore? Forse anche questo, ma più in positivo questo nuovo Avvento deve essere lo stimolo, il pungolo che ci risvegli dal nostro sonno spirituale, che rinnovi in noi uno STILE di vigilanza, un esercizio interiore di attesa del Signore che ci apra alla visione nella fede delle realtà invisibili.
Questo il grido di Teilhard de Chardin: “Cristiani, incaricati di tenere sempre viva la fiamma bruciante del desiderio, che cosa ne abbiamo fatto dell’attesa del Signore?”.
L’unico atteggiamento saggio e l’unico stile di vita da assumere è dunque la vigilanza, cioè l’essere costantemente all’erta, svegli, in attesa, vivere in un atteggiamento di servizio, a disposizione del padrone che può tornare in ogni momento. Ciò implica impegno, lotta, fatica, rinuncia. Non si può cadere nel disimpegno o nell’indifferenza. La vigilanza è in definitiva l’INSONNIA di chi è innamorato. L’avvento allora, in definitiva, ci parla della venuta del Signore verso l’uomo, ma insieme sprona l’uomo che deve corrispondere con il suo avvicinamento verso il Signore.
Le altre letture arricchiscono queste tematiche condensate nel vangelo: Isaia (1L) si rivolge con un accorato appello, o una preghiera vigorosa, direttamente a Dio (“nostro padre, redentore”): “Perché, Signore ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore? Se tu squarciassi i cieli e scendessi!”. L’Avvento è il tempo opportuno per rinnovare la nostra preghiera come rapporto filiale, accorato al Padre: a lui dobbiamo chiedere aiuto per non soccombere alla prova. Perché, come prosegue Isaia, dobbiamo essere consapevoli della nostra debolezza e del nostro peccato (“siamo avvizziti come foglie”, ci siamo allontanati da te) per poter tornare alla casa del Padre come il figliol prodigo ricordando: “Signore, tu si nostro padre…siamo opera delle tue mani”: abbiamo sbagliato, ma non abbandonarci. San Paolo infine (2L) ci ricorda che abbiamo ricevuto ricchi doni: con le mani piene dei loro frutti, ci prepariamo, sereni ma operosi, per l’incontro finale con il Signore.

Ermes Ronchi: Nel Vangelo il padrone se ne va e lascia tutto in mano ai suoi servi. Atto di fiducia grande, da parte di Dio; assunzione di una responsabilità enorme, da parte dell'uomo. Come custodire i beni di Dio che abbiamo fra le mani? Beni di Dio che sono il mondo e ogni vivente? Il Vangelo propone due atteggiamenti iniziali: fate attenzione e vegliate. Tutti conosciamo che cosa comporta una vita distratta: fare una cosa e pensare ad altro, incontrare qualcuno ed essere con la testa da tutt'altra parte, lasciare qualcuno e non ricordare neppure il colore dei suoi occhi, per non averlo guardato. Gesti senz'anima, parole senza cuore. Vivere con attenzione è l'altro nome dell'Avvento e di ogni vita vera. Ma attenti a che cosa? Attenti alle persone, alle loro parole, ai loro silenzi, alle domande mute e alla ricchezza dei loro doni. Quanta ricchezza di doni sprecata attorno a noi, ricchezza di intelligenza, di sentimenti, di bontà, che noi distratti non sappiamo vedere. Attenti al mondo grande, al peso di lacrime di questo pianeta barbaro e magnifico, alla sua bellezza, all'acqua, all'aria, alle piante. Attenti alle piccole cose di ogni giorno, a ciò che accade nel cuore, nel piccolo spazio che mi è affidato. Il secondo verbo: vegliate. Contro la vita sonnolenta, contro l'ottundimento del pensare e del sentire, contro il lasciarsi andare. Vegliate perché c'è un futuro; perché non è tutto qui, il nostro segreto è oltre noi, perché viene una pienezza che non è ancora contenuta nei nostri giorni, se non come piccolo seme. Vegliate perché c'è una prospettiva, una direzione, un approdo. Vegliare come un guardare avanti, uno scrutare la notte, uno spiare il lento emergere dell'alba, perché la notte che preme intorno non è l'ultima parola, perché il presente non basta a nessuno. Vegliate su tutto ciò che nasce, sui primi passi della pace, sui germogli della luce. Attesa, attenzione, vigilanza sono i termini tipici del vocabolario dell'Avvento e indicano che tutta la vita dell'uomo è tensione verso, uno slancio verso altro che deve venire, che il segreto della nostra vita è oltre noi. Allora è sempre tempo d'Avvento, sempre tempo di abbreviare distanze, di vivere con attenzione. Sempre tempo di adottare strategie di risveglio della mente e del cuore, in modo da non arrendersi al preteso primato del male e della notte, in modo da non dissipare bellezza, e non peccare mai contro la speranza.

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