giovedì 22 marzo 2012

Giovanni 12,20-33: Se il chicco di grano non muore

               V Domenica di Quaresima/ anno B
 In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!». La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.


-         vedere” nel linguaggio di Giovanni significa “conoscere intimamente”, entrare in relazione, non solo soddisfare una curiosità momentanea. E’ la domanda che attraversa i secoli e i popoli ed è il desiderio anche nostro: poter vedere, conoscere e credere realmente e pienamente Gesù[1]. Come fare?
-         La prima indicazione è data dalla MEDIAZIONE di alcuni apostoli: i greci si rivolgono a Filippo[2][2], Filippo ad Andrea ed insieme i due si rivolgono a Gesù. Per mezzo degli apostoli, della CHIESA e dei suoi mediatori è dunque possibile arrivare a conoscere e credere in Gesù[3][3].
-         Come spesso capita Gesù non sembra voler rispondere direttamente a questa richiesta, ma usa immagini più complesse per invitarci ad andare in profondità, a non rimanere alla dimensione superficiale. Risponde Gesù: È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato[4][4]”. L’ORA è quella del compimento della sua missione, dell’incarico datogli dal Padre: ricondurre tutti a Lui, realizzare quell’ALLEANZA NUOVA annunciata dal profeta Geremia nella 1° lettura[5][5]. L’ORA della sua MORTE e RESURREZIONE, evento unico e inscindibile: la VITA richiede la MORTE. Ed ecco la spiegazione per immagini:
-         Se il chicco di grano non muore…”: volete veramente entrare nel mistero del Figlio di Dio, nel mistero dell’amore? Guardate cosa succede ad un CHICCO DI GRANO: è piccolissimo, sembra inerte, statico, quasi inutile, eppure se quella pellicola che lo ricopre e protegge si rompe, marcisce a contatto con l’umidità del terreno (in questo senso MUORE) sprigiona la sua potenza vitale germinando, dilatandosi fino a dar vita ad una pianta e questa a dar vita alla spiga del grano che moltiplica il chicco iniziale[6][6].
-         Così Gesù, come ogni uomo, possiede una potenza straordinaria, una ricchezza di vita, di amore, di bontà che immette nella storia solo a condizione di rinunciare alla difesa della sua vita, facendo della sua vita un dono gratuito di amore che porta frutto.
-         E’ questa la legge dell’amore: Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Amare e odiare in questo caso indicano attaccamento morboso e, odiare, disponibilità a rinunciare a qualcosa della propria vita: arriva sempre il momento che per amare gli altri siamo chiamati a donare qualcosa di noi, che qualcosa del nostro orgoglio, dei nostri sogni, di quel che possediamo MUOIA e non per il gusto di morire o di soffrire, ma perché quella ricchezza di vita che possediamo (in potenza) possa diventare sorgente di vita, di gioia per qualcuno.
-         Due esempi: ricordo la mia giovinezza: ero continuamente combattuto tra un desiderio di consacrazione per il Signore che sentivo dentro e i miei sogni, i miei progetti, le mie paure: paura di rinunciare alla mia libertà, alla mia indipendenza, sogni anche belli di vivere in una comunità di famiglie, di costruire con le mie mani una comunità cristiana perfetta che non trovavo realizzata da nessuna parte. Solo quando ho rinunciato a tutto questo (non per niente sono diventato prete quando ero già adulto) ho superato quel turbamento, quella insoddisfazione che, nel profondo, sentivo continuamente dentro di me e ho scoperto potenzialità di amare e di servire che ignoravo, ho iniziato a vivere contento di quel che avevo. L’altro esempio, ad indicare che non solo i preti sono chiamati a morire: un mio amico fidanzato da anni era completamente bloccato dalla paura di sposarsi, di rendere definitiva un’esperienza di vita che voleva, ma che non poteva garantirgli il futuro: e se mi dovessi ritrovare a non amare più quella ragazza? Se dovessi trovare una ancora migliore? Gli anni passavano e lui non si decideva. Si sentiva bloccato, angosciato. Solo dopo essersi finalmente sposato ha ritrovato una gioia e una libertà che non sperimentava da tempo, ed ora sono genitori felici di una bellissima bambina.
-         Amare la propria vita significa dunque potenziare quel bisogno di autodifesa che è importante, ma che ci rende chiusi, egoisti, individualisti. Odiare la propria vita significa rischiare un po’, pagare anche il prezzo dell’amore. Chi tiene stretta gelosamente la sua vita per sé, finisce per perdere la vita. Chi in questo mondo diventa capace di staccarsi da se stesso, chi è capace di rimettersi nel rapporto con gli altri, attraverso un dono generoso di sé, questo conserverà la sua vita per la vita eterna.
C’è, così, la possibilità di condividere l’esperienza di Gesù, di essere dov’è lui. Ma, dov’è Gesù? Gesù va verso la croce, quindi anche il servo, cioè chi si mette al servizio di Dio, va a finire in croce.
-         Ma in realtà il Signore non va semplicemente in croce, ma attraverso la croce va verso la gloria. Il discepolo di Gesù, attraverso la croce di Gesù, andrà anche lui verso la gloria, perché il luogo di Gesù, la sua dimora non è altro che l’amore del Padre; Gesù va ad abitare dentro l’amore del Padre.
-         Come Gesù ha trasformato la sua vita in obbedienza (2° lettura[7][7]), così, con Gesù, farà ogni suo discepolo.
-         Non è facile questo discorso: anche Gesù è angosciato, turbato, ma è consapevole che è questa la strada e che la mèta vale la fatica e la paura di percorrere tutto questo itinerario. Il Padre lo conferma: “l’ho GLORIFICATO e lo glorificherò ancora” e il Figlio conosce l’importanza di quanto sta per accadere: “E io, quando sarò innalzato da terra (quando sarò messo in croce), attirerò tutti a me”. I greci sono parte del mondo attratto già da lui.
 
Vogliamo VEDERE Gesù? Entrare in relazione con lui? Dobbiamo amare come il chicco di grano, donare la nostra vita per gli altri, seguirlo mettendoci al servizio, cioè rinunciare alla nostra auto-affermazione, obbedire al Padre, alla sua volontà. E qual è la volontà del Padre? Che ci lasciamo amare da Lui, che impariamo ad amare come Lui, come il Figlio, che viviamo felici, realizzati, liberi. Liberi non per fare quello che l’istinto di sopravvivenza ci impone (mangia, godi, divertiti anche a prezzo di sacrificare gli altri), ma liberi di amare, liberi di vivere in pienezza, capaci di gestire i nostri istinti per far entrare gli altri nella nostra vita, per costruire un mondo più umano e fraterno dove è per tutti, e noi per primi, bello vivere.
Vive solo chi spende la propria vita, chi la fa fruttificare. Chi la sotterra per paura ha rinunciato a vivere. 

ERMES RONCHI: Vogliamo vedere Gesù. Grande domanda dei cercatori di sempre. La risposta di Gesù dona occhi profondi: se volete capire me, guardate il chicco di grano; se volete vedermi, guardate la croce. Il chicco di grano e la croce, due immagini come sintesi ardente dell'evento Gesù.
Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Una frase difficile e anche pericolosa se capita male, perché può legittimare una visione doloristica e infelice della religione.


Un verbo balza subito in evidenza per la sua presa emotiva: morire, non morire. L'azione principale, lo scopo verso cui tutto converge, il verbo che regge l'intera costruzione è «produrre»: il chicco produce molto frutto. L'accento non è sulla morte, ma sulla vita. Gloria di Dio non è il morire, ma il molto frutto buono.
Osserviamo un granello di frumento, un qualsiasi seme: nessun segno di vita, un guscio spento e inerte, che in realtà è un forziere, un piccolo vulcano di vita. Caduto in terra, il seme muore alla sua forma ma rinasce in forma di germe, non uno che si sacrifica per l'altro - seme e germe non sono due cose diverse, sono la stessa cosa - ma tutto trasformato in più vita: la gemma si muta in fiore, il fiore in frutto, il frutto in seme. Nel ciclo vitale come in quello spirituale «la vita non è tolta ma trasformata» (Liturgia dei defunti), non perdita ma espansione.
Ogni uomo e donna sono chicco di grano, seminato nei solchi della storia, della famiglia, dell'ambiente di lavoro e chiamato al molto frutto. Se sei generoso di te, di tempo cuore intelligenza; se ti dedichi, come un atleta, uno scienziato o un innamorato al tuo scopo, allora produci molto frutto. Se sei generoso, non perdi ma moltiplichi la vita.
 
La seconda icona è la croce, l'immagine più pura e più alta che Dio ha dato di se stesso. «Per sapere chi sia Dio devo solo inginocchiarmi ai piedi della Croce» (Karl Rahner). Dio entra nella morte perché là va ogni suo figlio. Ma dalla morte risorge come un germe di vita indistruttibile, e ci trascina fuori, in alto, con sé.
Gesù è così: un chicco di grano, che si consuma e fiorisce; una croce, dove già respira la risurrezione. Io sono cristiano per attrazione: attirerò tutti a me. E la mia fede è contemplazione del volto del Dio crocifisso.
«La Croce non ci fu data per capirla ma perché ci aggrappassimo ad essa» (Bonhoeffer): attratto da qualcosa che non capisco ma che mi seduce, mi aggrappo alla sua Croce, cammino dietro a Cristo, morente in eterno, in eterno risorgente.


[1] “Vogliamo vedere Gesù!” Dovrebbe essere la preghiera e l’anelito di ogni cristiano: entrare in intimità con Gesù, per coglierne i sentimenti, i valori, le sfumature nei pensieri…  E allora, a quaresima inoltrata, pongo a me e a te questo interrogativo semplice, ma graffiante: “Davvero vuoi vedere Gesù? Davvero vuoi conoscere l’intimo di questa Persona? Quanto sei disposto a investire perché questa “visione” di Gesù si realizzi nella tua vita, per la tua gioia?”
[2][2] l’apostolo che ha nome greco e proviene da una città, Betsaida, ellenizzata.
[3][3] Giovanni, rileggendo l’avvenimento, suggerisce alla comunità cristiana la necessità della TESTIMONIANZA e della PREDICAZIONE APOSTOLICA per rendere possibile l’incontro tra gli uomini che cercano e la rivelazione avvenuta nella persona di Gesù.
[4][4] v. 23: “È giunta l'ora...” quella che il vangelo di Giovanni chiama “l’ora di Gesù”, l’ora che si misura dalla vocazione di Gesù. Gesù ha ricevuto dal Padre una missione da compiere e la deve realizzare fino alla perfezione e al compimento. Ed è una richiesta dei pagani che fa scattare l’ora di Gesù.  Per Giovanni, croce e gloria, morte e risurrezione sono profondamente unite da costituire un’unica “ora”, cioè un unico evento di salvezza. Per questo la morte di Gesù misteriosamente diventa la sua glorificazione. Glorificato vuole dire che il Figlio dell’uomo appare in tutta la sua bellezza divina, in tutta la sua capacità di dare la vita, di salvare; deve apparire così. Ma appare così attraverso la croce, attraverso la morte. L'evangelista Giovanni non distingue mai, nel suo modo di vedere, la croce, la morte, la risurrezione, la ascensione e la glorificazione di Gesù; per lui sono una cosa sola, un unico avvenimento. Per cui egli vede nel Crocefisso il Risorto, vede la bellezza del Signore come sorgente di vita per i suoi discepoli e per tutti gli uomini.
La morte e la risurrezione di Cristo sono un’unica realtà che presenta i due volti del Dio salvatore: morendo egli si fa vicino a noi in pienezza, assumendo la nostra debolezza e miseria; risorgendo egli rivela di essere Dio e quindi di essere capace di redimerci, introducendoci nella sua gloria.
[5][5] Il tratto dell’intimità: nella prima lettura il profeta Geremia parla di un’alleanza “nuova” che Dio concluderà con il suo popolo: un’alleanza non più basata sull’osservanza di cose esterne, su comportamenti o disposizioni, ma sull’apertura del cuore, sulla fedeltà dell’amore!  In questa ottica puoi rileggere il discorso della Montagna (Matteo 5-7) e ti accorgerai che ciò che Gesù cerca non sono le azioni pur buone dell’uomo, ma il suo cuore. Mi ha colpito tanto, leggendo alcune meditazioni di Charles de Foucauld, la definizione che dà della preghiera e dell’adorazione eucaristica: uno stare “tète à tète” con Gesù (noi diremmo un “cuore a cuore”). Ecco gli adoratori che Gesù cerca! Quelli che sanno aprirgli il cuore completamente e senza condizioni.
Sei disposto a dare il tuo cuore a Lui, senza riserve, completamente…?
[6][6] Il chicco di grano è una misteriosa potenza di vita racchiusa in un involucro che la protegge, ma nello stesso tempo la isola. C’è bisogno di questo involucro per evitare che la potenza di vita che è nel chicco di grano si disperda; ma viene il momento in cui l’involucro deve marcire, lasciar passare l’umidità e permettere che il chicco di grano si perda nella terra, perché solo così può diventare fecondo e produrre la spiga, la vittoria della vita. Solo quello che diventa dono è in grado di portare frutto. Questa è la legge dello Spirito, che si ritrova nella persona di Gesù e nella persona di ogni discepolo. Ogni credente deve accettare la legge del chicco di grano.È legge della natura quella per cui la vita scaturisce dalla morte, dal dono di sé; e il chicco di grano, che è potenza di vita, ha bisogno di marcire, di morire, per potere diventare la sorgente di una spiga nuova, e quindi moltiplicare quella ricchezza di vita che possiede.
[7][7] Il tratto dell’obbedienza: nella lettera agli Ebrei questo tratto è sottolineato con forza… “imparò l’obbedienza!” Gesù è sempre ‘relativo’ alla volontà del Padre e di questa volontà fa la sua norma (“il suo cibo!”). Gesù “si è fatto obbediente fino alla morte e alla morte di croce!”  Nella preghiera del cristiano per eccellenza (il Pater) Gesù ci insegna a chiedere questa virtù con le parole “sia fatta la tua volontà come in cielo, così in terra” e siccome sapeva che con le sole nostre forze non ci saremmo riusciti, ci invita subito dopo a chiedere “il pane quotidiano”, l’Eucaristia, perché così irrobustiti possiamo diventare … obbedienti!


Siamo vicini alla mèta di tutto l’itinerario quaresimale: la passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo. La liturgia ci offre dunque delle chiavi di lettura per comprendere sempre di più questo evento e dopo aver paragonato la Croce al serpente di bronzo innalzato nel deserto per liberare il popolo dal veleno dei serpenti ecco ora l’immagine del CHICCO di GRANO chiamato a morire per poter sprigionare tutta la sua potenzialità di vita racchiusa in quel piccolissimo guscio apparentemente inerte.
Il brano del Vangelo si apre però con altre indicazioni preziose: siamo a Gerusalemme, Gesù ha appena fatto il suo ingresso messianico (che celebreremo domenica prossima) e un gruppo di GRECI esprimono il desiderio di “vedere Gesù”.

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