Avvicinandoci alla Pasqua la liturgia ci invita ora a guardare in alto: dopo averci stimolato per recuperare gli strumenti della penitenza (deserto delle tentazioni), della preghiera (monte della trasfigurazione) e della carità fraterna (tempio purificato), ora ci invita a guardare a Dio, colui “che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”.
E che Dio ci ama lo ricaviamo dalla 1L (in cui la fedeltà di Dio và ben oltre l’infedeltà degli uomini), dalla 2L (in cui Paolo ribadisce la gratuità senza meriti dell’amore di Dio ricevuto in GC) e dal Vangelo (in cui è Gesù a ribadire come “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”). Dunque tutta la liturgia ci ripete questo messaggio fondamentale, anzi, tutta la Scrittura può essere letta come una lunga e appassionata lettera d’amore di Dio nei nostri confronti.
Il cristianesimo è tutto qui: “noi non siamo cristiani perché amiamo Dio. Siamo cristiani perché crediamo che Dio ci ama”.
“Abbiamo creduto nell’amore di Dio”, ci siamo fidati di lui, ci siamo affidati…e lui fa di noi strumenti di qualcosa di grande, di divino.
L’amore di Dio si esprime attraverso categorie umane: come un Padre, come una Madre, come uno Sposo, come un Amico. E nel frattempo ci indica la meta del nostro amare e ci chiede di essere immagini del suo amore: chi vede noi che ci amiamo deve poter vedere Dio che ci ama. Chi vede un padre che, per amore, corregge, sorregge e guida suo figlio, può cogliere qualcosa dell’amore di Dio…
Ma l’amore di Dio ci supera immensamente. Il suo è vero amore in quanto da tutto quello che ha di più prezioso all’amato: DONA il suo stesso Figlio e il Figlio DONA la sua VITA.
Martedì ricorderemo i missionari martiri, uomini e donne che ancora oggi continuano a rischiare e in questo caso a dare concretamente la loro vita per amare la propria gente, per comunicargli quello che hanno a loro volta ricevuto e che sentono di non poter tenere per sé, di doverlo comunicare, perché è solo donando che si riceve, solo amando che si sperimenta l’amore.
- Quindi la prima caratteristica dell’amore divino è il DONARE. Pensando ai nostri genitori possiamo cogliere quanto ci amano per il fatto che ci donano continuamente il loro tempo, le loro attenzioni…e non solo tante cose materiali. L’amico dona il proprio affetto, si fida e confida con noi e noi sentiamo di potergli comunicare le cose che ci stanno più a cuore fidandoci di lui. Così ha fatto Gesù che ci ha chiamato amici comunicandoci i segreti più preziosi riguardanti Dio.
- La seconda caratteristica dell’amore divino possiamo coglierla dalla prima lettura: Dio ama tutti, anche coloro che lo tradiscono, anche noi che continuamente ci dimentichiamo di lui, che preferiamo le tenebre del peccato alla luce dell’amore. Il popolo di Israele, scelto e amato da Dio, risponde al suo amore mormorando, tradendo e preferendo gli idoli dei popoli stranieri. La conseguenza è che il popolo, avvisato incessantemente dai messaggeri inviati da Dio (beffati e disprezzati dal popolo) si ritrova esiliato in Babilonia. Lo Scrittore sacro usa un genere letterario, un modo di esprimersi comune a quei tempi: quello di attribuire quell’evento storico all’ira di Dio che punisce il popolo dell’infedeltà. In realtà sta dicendo come l’aver dimenticato Dio, le sue leggi e i valori che ci ha comunicato ha conseguenze catastrofiche: imbarbarisce quel popolo, lo rende schiavo dei suoi peccati. Pensiamo alla situazione nostra: la crisi economica di cui si parla con insistenza ed enfasi non è stata scatenata da Dio, ma è la conseguenza, più volte denunciata dalla Chiesa e da tanti suoi “messaggeri”, di un’economia, di un mercato, di uno sviluppo fondato sul solo profitto, senza criteri e valori etici e morali. Solo oggi anche tanti responsabili dei governi cominciano ad ammetterlo e a proporre regole morali che guidino (o perlomeno limitino) l’economia. L’esperienza di Israele è tuttavia sempre quella di sperimentare un Dio che non li abbandona nonostante le infedeltà, che suscita nuove opportunità perché il popolo, consapevole dei propri sbagli, ritrovi la libertà, possa ricominciare a vivere. Così Ciro, uno straniero pagano (!), diventa strumento di Dio liberando il popolo di Israele e invitando “chiunque appartiene al popolo del Signore” ad avere Dio con lui e a salire a Gerusalemme dove ricostruire il tempio e ricominciare a vivere da popolo libero e fedele.
- Un’ultima caratteristica dell’amore divino possiamo coglierla dalla seconda lettura nella quale San Paolo ricorda agli Efesini come “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo”. E questo l’ha fatto per GRAZIA, cioè GRATUITAMENTE, senza che ne avessimo guadagnato il diritto (anzi!), senza aspettarsi nulla in cambio. Dio ci ama gratuitamente, facendo sempre lui il primo passo per riconciliarci con Lui, per riavvicinarci e poter sperimentare la sua presenza, la sua comunione, il suo amore. “Per grazia siete stati salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è DONO di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene”.
Siamo invitati da Gesù a guardare in alto: a imitare l’amore di Dio che ci ama sempre, tutti, per primo, gratuitamente. Siamo invitati a guardare a Lui, innalzato sulla CROCE per poter sempre ricordare il prezzo di tale amore, la concretezza di tale amore.
Come Mosè, come il serpente di bronzo sul palo, risanava il popolo avvelenato dai serpenti, così anche Gesù deve essere innalzato sulla croce per risanarci dal veleno del peccato e donarci la sua vita, cioè farci partecipi della sua VITA ETERNA.
A noi è chiesto di CREDERE nell’AMORE di Dio, di AVERE FEDE nel “Figlio dell’uomo” innalzato sulla croce. Come il serpente, strumento di morte, diventa grazie a Dio strumento di vita, così la Croce, strumento di morte, viene trasformato da Dio in strumento di vita (eterna).
E come nessun padre e nessuna madre desidera GIUDICARVI né tantomeno CONDANNARVI, ma desidera che viviate felici e liberi, così Dio ha mandato il Figlio per salvarci, per donarci la sua vita, cioè una vita pienamente felice, libera, eterna.
Ma attenzione: chi non crede nell’Amore (nel Dio che è Amore e nel Figlio che ci mostra concretamente tale Amore sulla croce) si condanna da solo: si condanna ad una vita senza amore, ad una vita senza luce, senza calore, senza senso. Vive una vita infernale contribuendo perché questo nostro mondo sia più simile all’inferno che al Regno di Dio. Ma tutto vince l’amore, l’amore ha vinto la morte, ha vinto il male: crediamo all’amore, mettiamoci ad amare, rinunciamo al male e collaboriamo per trasformare questo nostro mondo, questo borgo, queste nostre famiglie, in luoghi dove regni Dio, dove regni l’amore, dove regni la luce, dove chiunque, vedendoci, possa intuire quanto Dio ci ama e quanto è bello vivere amandoci reciprocamente.
Ermes Ronchi: Dio ha tanto amato, e noi come lui: «abbiamo bisogno di tanto amore per vivere bene» (J. Maritain). Quando amo in me si raddoppia la vita, aumenta la forza, sono felice. Ogni mio gesto di cura, di tenerezza, di amicizia porta in me la forza di Dio, spalanca una finestra sull'infinito. «È l'amore che fa esistere» (M. Blondel).
A queste parole la notte di Nicodemo si illumina. Lui, il fariseo pauroso, troverà il coraggio, prima impensabile, di reclamare da Pilato il corpo del crocifisso. Dio non ha mandato il Figlio per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato, perché chi crede abbia la vita. A Dio non interessa istruire processi contro di noi, neppure per assolverci nell'ultimo giorno. La vita degli amati non è a misura di tribunale, ma a misura di fioritura e di abbraccio. Cristo, venuto come intenzione di bene, sta dentro la vita come datore di vita e ci chiama ad escludere dall'immagine che abbiamo di Lui, a escludere per sempre, qualsiasi intenzione punitiva, qualsiasi paura. L'amore non fa mai paura, e non conosce altra punizione che punire se stesso.
Dio ha tanto amato, e noi come Lui: ci impegniamo non per salvare il mondo, l'ha già salvato Lui, ma per amarlo; ci impegniamo non per convertire le persone, ma per amarle. Se non per sempre, almeno per oggi; se non tanto, almeno un po' E fare così perché così fa Dio.
A queste parole la notte di Nicodemo si illumina. Lui, il fariseo pauroso, troverà il coraggio, prima impensabile, di reclamare da Pilato il corpo del crocifisso. Dio non ha mandato il Figlio per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato, perché chi crede abbia la vita. A Dio non interessa istruire processi contro di noi, neppure per assolverci nell'ultimo giorno. La vita degli amati non è a misura di tribunale, ma a misura di fioritura e di abbraccio. Cristo, venuto come intenzione di bene, sta dentro la vita come datore di vita e ci chiama ad escludere dall'immagine che abbiamo di Lui, a escludere per sempre, qualsiasi intenzione punitiva, qualsiasi paura. L'amore non fa mai paura, e non conosce altra punizione che punire se stesso.
Dio ha tanto amato, e noi come Lui: ci impegniamo non per salvare il mondo, l'ha già salvato Lui, ma per amarlo; ci impegniamo non per convertire le persone, ma per amarle. Se non per sempre, almeno per oggi; se non tanto, almeno un po' E fare così perché così fa Dio.
Nessun commento:
Posta un commento