giovedì 6 settembre 2012

Marco 7,31-37: Gesù e il sordomuto

Mc 7,31-37XXIII Domenica, Tempo ordinario - Anno B
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

Dio, in Gesù, è ancora in grado di guarire? Il messaggio di speranza di Isaia non rimane un sogno, un'utopia? In che modo questa è una parola che ci riguarda? Guardando alla realtà che ci circonda, alle tante tragedie anche personali, possiamo anche noi dire “Ha fatto bene ogni cosa?”
Isaia, nella prima lettura, parla agli “smarriti di cuore”, agli sfiduciati, al suo popolo che vive con ovvio scoraggiamento il dramma della deportazione in Babilonia e l'occupazione della propria terra dai potenti di turno. C'era poco da stare allegri!
Eppure a questo popolo urla: “Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio che ... viene a salvarvi”. E indica la salvezza in condizioni che appaiono un sogno irrealizzabile: gli occhi dei ciechi che si aprono, le orecchie dei sordi che si schiudono, lo zoppo che salta come un cervo...
Da questo popolo umiliato, scoraggiato, indurito scaturisce il Messia promesso capace di realizzare quel sogno impossibile.

L'abbiamo lasciato domenica scorsa che polemizzava duramente con i farisei che lo accusavano di non rispettare le tradizioni religiose di purità. Lo troviamo questa domenica pellegrino in Decapoli, in un territorio straniero, dunque impuro, lontano da Dio. Qui gli portano un sordomuto, una persona condannata a vivere in maniera marginale, senza contatti con le altre persone. Eppure sono altre persone a parlare per lui e a pregarlo di guarirlo.
Gesù lo prende in disparte, cerca un rapporto personale con lui e compie alcuni gesti molto concreti che vengono ripetuti nella fase conclusiva del rito del battesimo. Gesù inizia a comunicare così, senza parole, con il solo calore delle mani, con una carezza sugli orecchi, sulla bocca. Con quel volto fra le sue mani guarda in alto e sospira. E l'uomo comincia a guarire. Guarda verso il cielo, in preghiera, in comunione col Padre, emette un sospiro che può indicare una partecipazione commossa alla condizione del sordomuto, ma anche un atto creativo compiuto donando lo Spirito Santo dicendo, nella sua lingua aramaica “Effatà”, cioè “Apriti”, riprendi ad ascoltare e sciogli il nodo che ti impedisce di parlare. E così avvenne: la parola di Gesù dice e insieme compie ciò che comunica.
Non cerca nulla in cambio, non vuole neppure che si sappia quello che è successo, ma la reazione di questo popolo “infedele” è incontenibile, piena di gioia, di lode, di stupore: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!”.
Il Vangelo di Marco riferirà ancora solo due altri miracoli, la guarigione di due ciechi. Per dire: prima è l'ascolto poi viene la luce. Solo se hai accolto in te la parola di Dio vedrai bene, capirai la verità di ciò che vedi, il senso di ciò che accade.
Torniamo alle nostre domande di partenza. In fondo Gesù ha guarito un piccolissimo numero di persone e malattie e disgrazie sono all'ordine del giorno e non risparmiano neanche i cristiani, neanche coloro che hanno realmente fede.
Il racconto della guarigione del sordomuto non è il semplice resoconto di un miracolo, bensì un segno che contiene quello che il Signore Gesù vorrebbe operare in ogni suo discepolo, che ha un nodo in cuore, un nodo in gola, che non sa ascoltare e non sa dialogare.
Un sordomuto è proprio l'immagine più chiara dell'uomo che ha una vita chiusa, accartocciata su se stessa come la sua lingua, del peccatore talmente indurito da non riuscire più a cogliere la voce di Dio e, tante volte, neanche quella umana delle persone che gli stanno vicino.
Gesù vuole salvarci da questa malattia, dall'incapacità di amare, di relazionarci in modo fraterno con gli altri. Ha espresso questo desiderio a partire dal nostro Battesimo, ci ha messo accanto persone ed occasioni infinite per poterlo ascoltare, per poterlo lodare, ringraziare, pregare. Si china su di noi, prendendoci da parte, approfittando anche delle occasioni che gli altri gli offrono per potersi avvicinare a noi (tutte le volte che la nostra sordità ci imprigiona), toccandoci con tenerezza e risanandoci
Siamo sordomuti guariti, ma anche recidivi, bisognosi di continua guarigione, inviati a guarire anche gli altri, trascinandoli da Gesù, lasciando che egli agisca attraverso di noi. Ascoltando la sua parola, lodandolo con la nostra preghiera e testimoniandolo con la nostra vita, arriveremo anche a vederlo con gli occhi della fede, a vedere un mondo trasfigurato, un mondo in cui il sogno di Isaia si tramuta, anche grazie al nostro contributo, in realtà.
p.Stefano
Vedi anche: http://paroledivita.myblog.it/archive/2009/09/04/video-va...

Ermes Ronchi: Portarono a Gesù un sordomuto. Un uomo imprigionato nel silenzio, che non può comunicare, chiuso. Eppure privilegiato: non ha nessun merito per ciò che gli sta per accadere, ma ha degli amici, una piccola comunità di gente che gli vuol bene e lo porta davanti a Gesù. Il sordomuto, icona di ognuno che venga alla fede, racconta così il percorso di guarigione per ogni credente.
Allora Gesù lo prese in disparte, lontano dalla folla. È la prima azione. Io e te soli, sembra dire. Ora sono totalmente per te, ora conti solo tu. Li immagino occhi negli occhi, e Gesù che prende quel volto fra le sue mani.
E seguono gesti molto corporei e delicati: Gesù pose le dita sugli orecchi del sordo. Non il braccio o la mano, ma le dita, come l'artista che modella delicatamente il volto che ha plasmato. Come una carezza.
Poi con la saliva toccò la sua lingua. Gesto intimo, coinvolgente: ti do qualcosa di mio, qualcosa che sta nella bocca dell'uomo, insieme al respiro e alla parola, simboli dello Spirito.
Gesù, all'opera con il corpo dell'uomo, mostra che i nostri corpi sono laboratorio del Regno, luogo santo di incontro con il Signore.
Guardando quindi verso il cielo... gli disse: Effatà, cioè: Apriti! Come si apre una porta all'ospite, una finestra al sole, le braccia all'amore. Apriti, come si apre uno scrigno prezioso. Apriti agli altri e a Dio, anche con le tue ferite, che possano diventare feritoie, attraverso le quali passi il vento della vita. Il primo passo per guarire, è abbandonare le chiusure, le rigidità, i blocchi, aprirsi: Effatà. Esci dalla tua solitudine, dove ti pare di essere al sicuro, e che invece non solo è pericolosa, è molto di più, è mortale. E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. Prima gli orecchi. Simbolo eloquente: sa parlare solo chi sa ascoltare. Gli altri parlano, ma mentre lo fanno innalzano barriere di incomprensione. Primo servizio da rendere a Dio e all'uomo è l'ascolto. Senza, non c'è parola vera.
Nella Bibbia leggiamo di una preghiera così bella da incantare il Signore. Di questa sola è detto che il Signore rimane affascinato. Nella notte che precede l'incoronazione, il giovane Salomone chiede a Dio: «Donami un cuore docile, un cuore che ascolta!» E Dio risponde, felice: «Poiché non mi hai chiesto ricchezza, né potenza, né lunga vita, tutto questo avrai insieme al dono di un cuore che ascolta!» Dono da chiedere sempre. Instancabilmente, per il sordomuto che è in noi: donaci, Signore un cuore che ascolta. Perché è solo con il cuore che si ascolta, e nasceranno parole profumate di vita e di cielo.
(Letture: Isaia 35, 4-7; Salmo 145; Giacomo 2, 1-5; Marco 31-37 )

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