venerdì 21 settembre 2012

Marco 9,30-37: XXV Domenica del Tempo Ordinario - Anno B

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli [...] giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Prima lettura: Sap 2, 12.17-20
Salmo Responsoriale Dal salmo 53
Seconda lettura: Gc 3,16-4,3
Vangelo: Mc 9, 30-37
TRA VOI NON SIA COSI'

Domenica scorsa abbiamo lasciato i discepoli che, per bocca di Pietro, riconoscono l'identità di Gesù come il Messia, ma già questa comprensione non era priva di ambiguità e di incomprensioni tanto che Pietro prende da parte Gesù e lo rimprovera, pretende di dargli istruzioni su come fare il Messia, si attende gloria, potere, successo.

Gesù cerca tempo e occasioni per istruirli, per far loro capire il senso del suo essere Messia e dei grandi avvenimenti (la passione, morte e resurrezione) che stanno per coinvolgerli. No, non è il Messia glorioso e trionfante che essi si attendono, ma il Messia annunciato in alcuni brani oscuri della Bibbia che trovano in lui comprensione.

Ecco allora la 1° lettura tratta dal libro della Sapienza che presenta lo scontro quasi inevitabile tra bene e male, tra il Giusto e gli empi che si sentono scoperti nella loro malvagità dalla luce e dalla bontà del giusto. Vogliono eliminarlo per tornare a nascondere la loro iniquità, per non sentirsi rimproverati. Pensiamo inoltre alla misteriosa figura del servo di Dio delineata dal profeta Isaia (Is 53): la figura del Messia inviato a tutta Israele e a tutti i popoli, obbediente a Dio, umiliato e perseguitato a motivo della sua fedeltà. Egli è solidale con i peccatori e mite come un agnello condotto al macello; è schiacciato dalle nostre iniquità; porta il peccato di tutti e intercede per i malvagi; ma dopo il suo intimo tormento "vedrà la luce", "vivrà a lungo", riceverà "in premio le moltitudini", e realizzerà il progetto del Signore.

Gesù è consapevole che dovrà affrontare questo scontro durissimo. Già più volte è stato messo alla prova, tentato, criticato. E il secondo annuncio del suo destino di passione, morte e resurrezione vuole preparare i suoi a questo momento.

Eppure, come a seguito del primo annuncio, anche in questo caso la reazione dei discepoli è di incomprensione e di paura isolandosi da lui e discutendo di cose opposte a quelle da lui pensate e vissute. Ragionano secondo il mondo, secondo la mentalità del secolo presente (e, come si vede, di ogni tempo): competere, primeggiare, imporsi. La questione che si pongono come prioritaria è "chi sia il più grande".

Nella 2° lettura San Giacomo sembra proprio far riferimento a questo desiderio insito in tutti mostrando come sia un principio di distruzione della convivenza umana. La "gelosia e lo spirito di contesa" crea "disordine e ogni sorta di cattive azioni"...fino alle guerre stesse, alle liti. "Non vengono forse dalle vostre passioni?" Dal desiderio di possedere, dall'invidia?

Nelle nostre chiese non siamo esenti da questi atteggiamenti. Quante contese, divisioni, invidie, gelosie albergano anche nelle nostre comunità parrocchiali! Quanto desiderio di emergere, di affermarsi, di mettersi in mostra, di primeggiare!

A questa voglia di potere Gesù contrappone il suo mondo nuovo: "Se uno vuol essere il primo sia il servitore di tutti". Non condanna il nostro desiderio di emergere, ma ci indica la direzione e il prezzo perchè questo desiderio sia purificato e realmente appagato: mettersi al servizio di tutti!

Il nostro istinto è quello di prendere, accumulare, comandare, non certo essere servi, tantomeno di tutti, cioè senza limiti di gruppo, di famiglia, di etnia, di chi lo meriti o non lo meriti, senza porre condizioni. Forse possiamo accettare l'idea di metterci a servizio di Dio, di essere suoi servitori. Ma in fondo, pensiamoci, se fossimo realmente alle dipendenze di un tale padrone, quale servizio ci chiederebbe di svolgere? Non forse quello di servire i suoi figli più cari, ovvero i bambini, gli emarginati, i sofferenti?

Ed ecco il segno che stigmatizza tutto questo discorso: prende un bambino, l'essere più inerme e disarmato, il più indifeso e senza diritti, il più debole tra gli ultimi!

Ermes Ronchi: Oggi il Vangelo offre tre nomi sorprendenti di Gesù: ultimo, servitore, bambino, così lontani dal nostro sentire spontaneo, dall'immagine ideale dell'Onnipotente. Gesù lungo la strada sta parlando di un argomento di estrema importanza, di qualcosa di vitale: sta raccontando ai dodici che tra poco sarà ucciso. È insieme con i suoi migliori amici, e loro invece di condividere il suo dramma parlano di carriere e di posti: chi è più grande tra noi?
Sembrano totalmente disinteressati a lui e alla sua storia, presi dalle loro piccole storie. Immagino la stretta al cuore di Gesù, per un atteggiamento che tra uomini, tra amici, sarebbe imperdonabile. E invece ecco emergere in piena luce il suo metodo creativo, geniale di gestire le relazioni: non giudica, non accusa, non rimprovera i suoi, non li ripudia né li rimanda a casa per questo, lui ha capito che i dodici non sono uomini dal cuore vuoto o banale, hanno solo tanta paura di quella prospettiva di morte, tanta paura da rimuoverla perfino dai discorsi.
Gesù allora inventa una strategia per educarli ancora: per vincere la paura, li accompagna con forza e tenerezza dentro il suo sogno. Prima di tutto mette i discepoli, e noi con loro, sotto la luce di quel limpidissimo e stravolgente assunto: chi vuol essere il primo sia l'ultimo e il servo di tutti.
Poi spiega questa parola inedita con un gesto inedito: Prese un bambino, lo pose in mezzo, lo abbracciò e disse: chi accoglie uno di questi bambini accoglie me. Tutto il Vangelo racchiuso in un abbraccio. Dato a «un bambino, dove il solo fatto di esistere è già un'estasi» (Emily Dickinson). Dio è così, come un abbraccio. È solo accoglienza e tenerezza. Dio è un bacio, amava ripetere don Benedetto Calati, un grande dello spirito.
Poi Gesù fa un passo ancora oltre, si identifica con i piccoli: chi accoglie uno di questi bambini accoglie me. Lui è nei piccoli, negli ultimi, in coloro che sono in fondo alla fila; lui sa bene che il mondo non sarà salvato dagli editti dei re o dalle decisioni dei potenti, non sarà mai il faraone a mandare liberi i suoi schiavi. Il mondo sarà salvo quando il servizio sarà il nome nuovo della civiltà (chi vuol essere il primo si faccia il servo di tutti) e nessuno sarà escluso. Quando al centro di ogni progetto, della chiesa e della società, della famiglia e della comunità, saranno posti i piccoli, i poveri, i deboli. Quando tu, abbracciando loro, capirai ti abbracciare Dio.
Potessimo dire, come Gesù, ai nostri piccoli, a quelli che ci sono affidati: ti metto al centro della mia vita e ti abbraccio. Allora il sogno di Gesù dalla periferia del mondo arriverà a conquistare il centro della città dell'uomo.

Nessun commento:

Posta un commento