lunedì 24 dicembre 2012

Lc.2.1-14; Lc 2,15-20; Gv 1,1-18: NATALE del Signore

Oggi è nato il nostro Salvatore: AUGURI!

Quante volte ci siamo lamentati che la società ci ha rubato il Natale: ha trasformato questa festa tanto cara ai cristiani in un’ulteriore occasione di consumismo, di frenesia irrazionale a spendere. Ha svuotato la festa togliendo il festeggiato di mezzo e sostituendolo con ciò che tutti, non solo i cristiani, potessero sentire proprio: ecco allora Babbo Natale, la festa dell’inverno…

Eppure il giorno di Natale saremo qui in tanti a festeggiare il protagonista della festa. Per quanto coinvolti nella frenesia dei giorni precedenti, per quanto anche molti di noi siamo stati preda dello shopping, siamo qui ad adorare un bambino nato più di 2000 anni fa e in qualche modo riconosciuto come il Figlio di Dio, colui che ci ha permesso di svelare il mistero del Dio onnipotente e creatore. A partire da quel bambino, da quel momento Dio mette concretamente la sua tenda in mezzo a noi, si fa nostro compagno di strada: il cielo è sceso in terra e in terra possiamo contemplare il cielo come una realtà non fantasiosa e inaccessibile, ma come la meta del nostro pellegrinare, della nostra vita.

Mettiamola in questo modo: non siamo stati derubati di niente dalla società, casomai siamo noi che gli abbiamo fatto un regalo prezioso. Di questo regalo sembrano apprezzare solo la confezione festosa, solo la superficie, ma tutto il mondo, seppur superficialmente, è coinvolto in questo avvenimento, si ferma per questa occasione. Tocca a noi mostrare il contenuto del regalo, far capire che non ci si può fermare alla confezione, ma che la confezione và scartata e che il contenuto và accolto, vissuto, condiviso.

Giorni fa un adolescente esprimeva la non intenzione di andare a Messa per il giorno di Natale: non ci vado più da tempo, perché andarci proprio il giorno di Natale? Di fronte a quella che sembra una razionale e condivisibile coerenza ringraziamo coloro che hanno scelto l’incoerenza e sono venuti: chissà quanti non entravano da mesi in Chiesa. Eppure io dico: per fortuna che siete qui, vi accogliamo con il cuore e vi diciamo: trasformate questa festa nell’occasione per riprendere un discorso interrotto. Ritrovate il gusto e l’impegno per riaprire la porta a Cristo che viene nella vostra vita e che vi chiede di dedicargli un po’ di tempo e vi assicura che non si tratterà di tempo perso.

Questi sono anche i giorni in cui ci si ritrova con i parenti con cui a volte si era perso il contatto quotidiano: cerchiamo di evitare di essere anche noi, per la Chiesa e per il Cristo, parenti alla lontana che si ritrovano solo per le grandi occasioni. Dio è Padre e Madre, Papà e Mamma, non un parente lontano con cui si condivide poco. Gesù è venuto proprio per mostrarci e indicarci la via per riscoprire un Padre che aspetta a braccia aperte il nostro ritorno, che rispetta la nostra libertà e delicatamente bussa alla nostra porta in attesa che, fra tanti frastuoni e occupazione, possiamo finalmente sentirlo e aprirgli. L’incontro ha cambiato la vita, in positivo, di tante persone: facciamo in modo che possa cambiare anche la nostra.

E a tutti noi che siamo parenti stretti del Signore, che regolarmente ci ritroviamo come una famiglia attorno al suo altare: attenzione a non essere parenti-serpenti, che si scannano tra di loro, attenzione a vivere concretamente la nostra fede, a non essere motivo di scandalo per i lontani. Anche per noi il Natale è l’occasione preziosa per riprendere un discorso forse troppe volte interrotto a metà, un rapporto che abbiamo vissuto solo superficialmente.

Il Natale ci mostra un Dio che si fa piccolo, che chiede protezione, amore, tenerezza: non quindi un Dio Padrone che sfoggia la sua potenza. E’ un Dio che trasforma in carne la Parola , che si rende concreto, che usa elementi semplici come il pane e il vino per rendersi presente, per poter entrare concretamente dentro di noi.

Siamo chiamati ad annunciare al mondo il motivo per cui tutti facciamo festa, ricordiamo con la gioia della nostra vita che è il Natale di Gesù Cristo, del Dio fattosi bambino. Auguriamo buon Natale senza dimenticarci che è Natale del Signore che vive in mezzo a noi. Altrimenti sarebbe come dire: buon compleanno! Ma di chi? Per quale motivo?

Dalle letture ascoltate possiamo trarre ulteriori preziose indicazioni.

Isaia parla al popolo in Esilio indicandogli una situazione presente: “il Signore ha consolato il suo popolo”. Dalla promessa, rivissuta nell’Avvento, si passa alla celebrazione del suo compimento. Ora “tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio”. Per questo sono belli i piedi del messaggero che scala le montagne per portare al popolo l’annuncio di pace e di salvezza. Il popolo sta per tornare in mezzo alle rovine di Gerusalemme da cui era stato cacciato ed esiliato: inizia una nuova era!

Eppure passano due millenni e il popolo di Israele, benché finalmente riviva nella Terra promessa, si ritrova occupato dalle potenze straniere, oppresso dalla miseria, minacciato al suo interno da idolatrie e fede intorpidita e ipocrita. Gesù nasce in un mondo martoriato, riconosciuto solo dagli umili pastori, temuto e già odiato dal re, benché lui sia solo un bambino.

Per Isaia Dio ha già consolato il suo popolo e, dunque, si deve gioire di questo, ma, nello stesso tempo, anche Giovanni non ha torto nel prospettarci il compimento di tale mistero in modo dialettico (“la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta…Venne tra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio”), perché ciascuno di noi deve arrivare a Betlemme e non a luoghi grandi e potenti, deve seguire la stella luminosa e non le lucine sfavillanti che ci invitano a sviare verso comode e inutili (se non nocive) occupazioni, deve inginocchiarsi di fronte ad un bambino e non ad uno dei presunti potenti della terra.

Il cristiano è sempre in cammino (comunitario), alla ricerca: vede le indicazioni, percepisce una presenza, ma è sempre chiamato ad andare oltre. Dio si rende presente in una tenda, cioè si fa nomade, cammina con il suo popolo, e in una situazione di fragilità, non di potere.

Il segno che i pastori ricevono dall’annuncio degli angeli è di una semplicità estrema, un segno povero, un segno appartenente all’umanità povera: nasce un bambino ma nella povertà di una stalla, nasce un bambino, figlio di una povera coppia di sposi, nasce un bambino cui è stata negata l’ospitalità. Il segno del Natale è tutto qui! Eppure, il bambino è proclamato Messia: Salvatore e Signore è un povero bambino, figlio di poveri, nato nella povertà!

L’evangelista Giovanni, nelle primissime righe del suo Vangelo, riflette su questo avvenimento, e ce ne spiega il profondo significato:

• Quel bambino è il Figlio unigenito di Dio, Dio egli stesso.

È nato bambino, figlio di Maria, uomo debole destinato a morire per dimostrare il suo amore per noi.

· Molti purtroppo non hanno accolto il suo amore.

• Ma a quelli che l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio. Noi che l’abbiamo accolto “non siamo nati da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma siamo stati generati da Dio”.

L’altro rilievo è sull’insistenza di Giovanni di parlare di Gesù come Logos, Parola, Verbo: fra l’altro questo ci rimanda al fatto che Gesù è il Dio che invita al dialogo, ad un discorso intellegibile, dove il messaggero, lui stesso, conta come il messaggio (in quanto si equivalgono).

Quando noi parliamo, comunichiamo qualcosa di noi stessi e, in genere, costruiamo una relazione, intessiamo un dialogo. Su questo modello è rappresentato il mistero di Dio, una persona che vuol comunicarsi, stabilire un dialogo, una relazione che la Scrittura chiama anche alleanza.

La parola è, inoltre, uno strumento debole, che, per arrivare al destinatario, non si può imporre con la forza: chiede di essere accolto dal momento che si può anche rifiutare di ascoltare. Occorre allora mettersi in ascolto della Parola, entrare in dialogo con Dio, rivelare qualcosa di sé, accettare quello che il Signore comunica…

E ciò che comunica Gesù è qualcosa di essenziale: Dio stesso, l’invisibile, il suo dono di amore gratuito (la grazia) e la verità in Lui e di noi stessi (chi siamo, cosa realmente vogliamo e di cosa abbiamo realmente bisogno per vivere felici, realizzati). Nella sua vita passerà in mezzo agli altri uomini facendo il bene, compirà il miracolo grande della ritrovata comunione con Dio e con gli altri servendosi di segni e prodigi legati ai bisogni essenziali dell’uomo: il pane e il vino moltiplicati, la salute ridata, la natura nuovamente riconciliata con l’uomo, la fraternità ristabilita, la vita riaffermata come più forte della morte. Per questo l’apostolo Paolo dice che la manifestazione di Cristo nel mondo è finalizzata a “insegnarci a vivere in questo mondo”.

Vivere il Natale significa allora rimetterci in cammino dietro di lui, con gioia, con fiducia, seguendo una direzione, seguendo il Signore che parla attraverso la sua Scrittura e la vita stessa, seguendo l’esempio della sua vita. L’Emmanuele, il Dio-con-noi non può e non deve mai diventare il Dio-contro-gli-altri.

Allora il Natale – non solo quello cristiano, ma anche quello “di tutti”, anche quel clima contagioso di bontà che vince l’ipocrisia di un melenso buonismo – non finirà bruciato nel consumarsi di poche ore e di molti beni, non si spegnerà con l’ultima luminaria, non conoscerà lo svilimento del “saldo” di fine stagione, ma si dilaterà moltiplicandosi nel vissuto quotidiano: sarà il pegno di una vita più umana, abitata da relazioni autentiche e da rispetto dell’altro, una vita ricca di senso, capace di esprimere in gesti e parole la bellezza e la luce, echi di quella luce che brillò nella notte fonda di Betlemme e che deve brillare anche oggi in ogni luogo avvolto dalle tenebre del dolore e del non-senso. I cristiani sanno per fede che Dio ha voluto compromettersi radicalmente con l’umanità facendosi uomo, sanno che è entrato nella storia per orientarla definitivamente verso un esito di salvezza, sanno che ha assunto la fragilità dell’uomo esposto alle offese del male proprio per vincere il male e la morte. E questa loro “conoscenza” sono chiamati a testimoniarla in un’assunzione quotidiana della povertà, dell’abbassamento per incontrare l’altro, nella consapevolezza che ciò che unisce gli uomini è più grande di ciò che li differenzia e li contrappone.

Solo così un evento accaduto più di 2000 anni fa può ancora essere attuale e soprattutto cambiare la nostra vita migliorando con essa anche la società in cui siamo inseriti.

Auguri di buon Natale del Signore. p.Stefano Liberti

PREGHIERA

Natale

Asciuga, Bambino Gesù, le lacrime dei fanciulli!

Spingi gli uomini a deporre le armi e a stringersi in un universale abbraccio di pace!

Invita i popoli, misericordioso Gesù, ad abbattere i muri creati

dalla miseria e dalla disoccupazione dall'ignoranza e dall'indifferenza,

dalla discriminazione e dall'intolleranza.

Sei Tu, Divino Bambino di Betlemme, che ci salvi, liberandoci dal peccato.

Sei Tu il vero ed unico Salvatore, che l'umanità spesso cerca a tentoni.

Dio della pace, dono di pace per l'intera umanità,

vieni a vivere nel cuore di ogni uomo e di ogni famiglia.

Sii Tu la nostra pace e la nostra gioia! Amen!

b. Teresa di Calcutta

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