domenica 4 settembre 2011

Col.1.24

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossési

Fratelli, sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa.

Nella prima frase della prima lettura di oggi le traduzioni sono di solito inesatte. L'ha fatto osservare a ragione l'ultimo commento pubblicato sulla lettera ai Colossesi, quello di padre Aletti, professore all'Istituto Biblico. Per migliorare lo stile della frase di Paolo, i traduttori infatti modificano un po' l'ordine delle parole. Sembra poca cosa; in realtà cambia il senso. Traducono: "Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo". Con questa traduzione fanno dire a Paolo che la passione di Cristo è stata manchevole; manca qualche cosa ai patimenti di Cristo, e Paolo ha l'ambizione di completare ciò che manca. Questa idea non poteva certamente venire in mente a san Paolo. Egli in realtà non parla dei patimenti di Cristo in questa frase. Dice "tribolazioni", il che già indica una sfumatura; ma soprattutto l'espressione "nella mia carne" non si trova prima, ma dopo le parole "che manca alle tribolazioni di Cristo". La frase si deve tradurre: "Completo quello che manca nella mia carne alle tribolazioni di Cristo", oppure: "quello che manca alle tribolazioni di Cristo nella mia carne".Alla passione di Cristo non manca niente, è sufficiente per salvare il mondo intero; però la passione di Cristo deve essere applicata alla vita di ciascun credente e questo comporta una certa dose di tribolazioni: "Dobbiamo soffrire con lui dice altrove san Paolo per poter essere glorificati con lui". Ogni vocazione cristiana comprende quindi una parte di tribolazioni, che deve essere attuata. In questo senso Paolo dice che completa ciò che manca all'applicazione della passione di Cristo nella sua esistenza. E una vocazione alta, questa applicazione alla nostra vita della passione di Cristo. Paolo la vede in modo molto positivo, al punto di dire:"Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi". Egli è convinto della fecondità di questa partecipazione alla passione di Cristo; vede la passione nella luce della risurrezione; sa che la partecipazione alla passione è condizione per partecipare alla risurrezione. Parla quindi di letizia, di gioia anche nelle sofferenze.E non è il solo ad avere questa prospettiva. San Pietro nella sua prima lettera invita tutti i cristiani a rallegrarsi quando hanno parte alle sofferenze di Cristo:"Quando avete parte alle sofferenze di Cristo, rallegratevi, affinché anche quando si manifesterà la sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare".La nostra vocazione cristiana ci porta a riconoscere la grazia nascosta nelle sofferenze e nelle prove della vita, grazia preziosa di unione a Cristo nella sua passione, grazia dell'amore autentico, che accetta di pagare di persona. Se il valore supremo è quello dell'amore autentico, occorre accogliere i mezzi necessari per progredire nell'amore non soltanto con rassegnazione, ma con gioia.Chiediamo allora al Signore di aiutarci a riconoscere la grazia nascosta nei momenti difficili. Se l'apprezziamo al suo giusto valore, potremo dire con san Paolo:"Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo quello che manca alle tribolazioni di Cristo nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa".È chiaro che la partecipazione alla passione di Cristo si fa sempre in un orientamento d'amore. Paolo scrive: "Le sofferenze che sopporto per voi... Completo quello che manca a favore del coTpo di Cristo che è la Chiesa". Soltanto se accogliamo la sofferenza in questa prospettiva di offerta generosa di amore potremo provare in noi la gioia stessa del Signore.

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