mercoledì 21 settembre 2011

Mt 21,28-32: I DUE FIGLI

XXVI T.O./A
Letture
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

Io:
Quante volte i genitori (per non parlare dei nonni) si lamentano perché i loro figli sono disobbedienti, scontrosi, indisponibili e indisponenti. E quante volte i figli, confessandosi, riconoscono la loro disobbedienza verso i genitori mostrandosene in qualche modo pentiti.
Gesù prende spunto da quell’episodio universale ed eterno: succedeva in Palestina al suo tempo come succede da noi oggi. Da sempre ci sono rapporti conflittuali tra genitori e figli. Perché?

Ogni figlio crescendo cerca la sua indipendenza, ha bisogno di sentirsi grande, non accetta di sottomettersi: impara presto a dire NO alle richieste dei genitori. Quei no sanno di libertà, di indipendenza. Ma costano: ci fanno sentire cattivi e spesso portano a rotture forti con chi ci vuole bene, nonostante tutto. E allora anche noi sperimentiamo quello che Gesù ci ha raccontato: diciamo dei sì che si trasformano in no (si si, poi lo faccio, ma guarda caso quel poi si sposta sempre in avanti) e diciamo dei no che si trasformano in si, perché poi ci pentiamo. In noi ci sono entrambi i figli che lottano tra loro. Spesso vince il primo, ma a volte vince il secondo.

A Dio non piacciono gli uomini simili ai farisei, cioè come quelli che si sentono perfetti, migliori, che a parole sembrano molto religiosi e poi fanno i loro comodi. Egli preferisce coloro che, anche sbagliando, cercano ciò che è buono e li fa felici e quando si accorgono che sono andati fuori strada sono disposti a cambiare vita. E conclude dicendo ai farisei che i peccatori sono più vicini di loro a Dio[1].

I ragazzi che stanno crescendo e maturando verso l’età adulta non sopportano di essere sottomessi come quando erano bambini (e già a pochi anni vogliono essere chiamati ragazzi, non sopportano più di essere chiamati bambini). Vogliono decidere da soli cosa è bene per loro. È il cammino della conquista della libertà di fronte a tutte le persone con cui sono in relazione. In fondo stanno cercando ciò che gli piace e li rende felice.

La difficoltà è capire che dopo i no, si cerchi davvero ciò che è giusto e lo si faccia perché ci si crede. Come il primo figlio della parabola, che ha detto di no perché voleva essere libero e poi liberamente è andato a lavorare nella vigna, perché ha capito e creduto che fosse una cosa buona anche per lui. La difficoltà è soprattutto capire che non c’è concorrenza tra i genitori e i figli, tra Dio che è Padre e tutti gli uomini, suoi figli. I genitori e tanto più Dio non sono degli sfruttatori che cercano il loro tornaconto, che spadroneggiano sui figli. Vogliono anche loro che siano persone mature, felici. E sanno per esperienza che i figli vanno aiutati in questo.

La libertà non è essere liberi di fare qualunque cosa che ci venga in mente, ma essere liberi di fare ciò che realmente ci rende felici. Essere liberi dai condizionamenti che ci tengono legati, che ci bloccano. Quante volte sperimentiamo (anche noi adulti, così come afferma lo stesso Paolo) di fare quello che in realtà non vorremmo, e di non riuscire a fare ciò che sappiamo essere la cosa migliore per noi. Quante volte ci ritroviamo pigri e rimbambiti davanti alla TV o al computer incapaci di affrontare i nostri compiti con entusiasmo. Ma guai a chi ci dice di staccarci da queste cose, guai a chi ci vorrebbe aiutare ad utilizzarli con maggiore intelligenza ponendoci limiti e freni: sembra che voglia attentare alla nostra libertà, che voglia solo imporre il proprio potere. Anche se in fondo sappiamo che vuole solo aiutarci a vivere in maniera più libera.

Ancora una volta Gesù ci mette davanti a questa incoerenza: l’incoerenza di chi sa che Dio ci ama, ma risponde con fastidio al suo invito di collaborare nella Vigna, cioè a fare la nostra parte per migliorare il nostro mondo, la scuola, il rapporto con i genitori e gli amici, il lavoro, la società, la Parrocchia. Entrambi i figli sono infastiditi da questo invito. Eppure è l’invito a costruire un mondo in cui vivere più felici, un mondo in cui si possa tutti condividere i frutti della Vigna. E che soddisfazione raccogliere i frutti del nostro impegno!

Questo è ancora una volta il primo motivo di conversione: essere consapevoli che Dio vuole il nostro bene e che lavorare per lui e con lui è l’opportunità più grande per essere felici e liberi.

Il secondo motivo è quello di una coerenza tra il dire e il fare: se diciamo una cosa e poi facciamo l’opposto siamo degli ipocriti. Meglio disobbedire, ma poi pentirsi e fare, che apparire bravi per poi, quasi di nascosto disobbedire. I farisei rappresentano coloro che vogliono farsi vedere come i migliori, i bravi. I ladri e le prostitute sono invece dei peccatori che non possono nascondere il loro sbaglio. Eppure sono stati i primi, di fronte a Gesù, ad accogliere l’opportunità di cambiare vita e di aderire alla sua proposta. Gli altri sono rimasti freddi, anzi, i più si sono messi in contrasto con Gesù, perché metteva in luce la loro ipocrisia. Non hanno accolto l’invito di Gesù.

Di conseguenza (ed è il terzo motivo di conversione): si sentono superiori ai peccatori, li disprezzano, li guardano dall’alto al basso. Non riconoscendo di essere ben più in torto rispetto a chi, pur avendo evidentemente sbagliato, si pente e cambia vita.

Scrive S.Paolo: “Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri.
Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù”. E così sia!

[1] “Gesù sapeva bene che tutti gli uomini sono peccatori: ma qual è il motivo della sua preferenza per la compagnia dei peccatori pubblici? Chi pecca di nascosto non è mai spronato alla conversione da un rimprovero che gli venga da altri, perché continua a essere stimato per ciò che della sua persona appare all’esterno: questa è la malattia della maggior parte delle persone, tra le quali primeggiano quelle devote, che disprezzano gli altri considerandoli immersi nel peccato, mentre ringraziano Dio per la loro pretesa giustizia.
Chi invece è un peccatore pubblico si trova costantemente esposto al biasimo altrui, e in tal modo è indotto a un desiderio di cambiamento: nel pentimento che nasce da un «cuore spezzato» (Sal 34,19) egli può divenire sensibile alla presenza di Dio, quel Dio che non vuole la morte del peccatore, ma piuttosto che si converta e viva.
È proprio in forza di tale consapevolezza che Gesù amava sedere a tavola con i peccatori manifesti, condividere con loro questo gesto di estrema comunione”. (Enzo Bianchi)
Alberto Maggi: commento

Nessun commento:

Posta un commento