mercoledì 15 maggio 2013

LA “DEI VERBUM” E LA CENTRALITÀ DELLA PAROLA DI DIO NELLA VITA DELLA CHIESA A CINQUANT’ANNI DAL CONCILIO



di Bruno Forte, 
Arcivescovo di Chieti-Vasto
(Ancona, 18 Aprile 2013)


"Per comprendere in tutta la sua portata la “primavera” del Concilio Vaticano II occorre far riferimento al contesto in cui si situava l’assise conciliare. Nell’epoca moderna, anche in reazione alla Riforma, che aveva accentuato con forza il ruolo della Parola di Dio nella vita della fede fino a definire la Chiesa tutta come “creatura Verbi”, creazione sempre nuova della Parola di Dio, la grande maggioranza dei  cattolici era stata raramente educata a un contatto diretto e personale con la Parola di Dio. I testi della Bibbia venivano spesso tradotti soltanto dal latino della Vulgata e  non dalle lingue originali e i fedeli dovevano chiedere addirittura l’autorizzazione ai presbiteri per poter leggere alcune parti della Bibbia. È in questo contesto che il Vaticano II ripropone la rivelazione non semplicemente come comunicazione di  verità dottrinali, ma come auto-comunicazione dell’Eterno: “Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà (cf. Ef  1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura (cf. Ef  2,18; 2 Pt 1,4). Con questa rivelazione infatti Dio invisibile (cf. Col 1,15; 1 Tim 1,17)  nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici (cf. Es 33,11; Gv 15,14-15)  e si intrattiene con essi (cf. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con  sé” (cf. Costituzione sulla Divina Rivelazione Dei Verbum 2).
Alla luce di questo carattere personale e non puramente noetico della  rivelazione contenuta nelle Sacre Scritture, il Concilio metterà in evidenza la centralità della Parola per la vita cristiana e per la vita della Chiesa. Continuamente generata dalla fede suscitata dalla Parola di Dio, che è Cristo stesso che si comunica 
nei segni delle sue parole, la Chiesa vive e opera nella forza dello Spirito: “A Dio che rivela è dovuta l'obbedienza della fede (cf. Rom 16, 26; cf. Rom 1,5; 2 Cor 10,5-6),  con la quale l'uomo si abbandona tutto a Dio liberamente, prestando il pieno ossequio  dell'intelletto e della volontà a Dio che rivela e assentendo volontariamente alla rivelazione data da lui. Perché si possa prestare questa fede, è necessaria la grazia di  Dio che previene e soccorre e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il  cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e dia a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità” (ib., 5). 
...La Parola di Dio è, dunque, la buona novella contro la solitudine! Lo è perfino nella forma del silenzio divino, di cui è piena la Scrittura. Lo aveva ben compreso uno dei grandi scrittori cristiani dell’epoca moderna, Søren Kierkegaard, dandone testimonianza nel suo Diario con queste parole: “Non permettere che dimentichiamo: Tu parli anche quando taci. Donaci questa fiducia: quando siamo in attesa della Tua  venuta, Tu taci per amore e per amore parli. Così è nel silenzio, così è nella parola: 
Tu sei sempre lo stesso Padre, lo stesso cuore paterno e ci guidi con la Tua voce e ci  elevi con il Tuo silenzio...”. Il Dio che parla colma le nostre solitudini, perfino quando la Sua è la parola del silenzio: perciò, l’ascolto della rivelazione, vissuto con  radicale apertura e disponibilità, è ascolto che salva. La Parola di Dio si presenta come buona novella per tutte le solitudini, perché in essa ci è offerta come dono gratuito e liberante la possibilità dell’alleanza con Dio: certo, all’“auto-donazione” divina occorre che corrisponda - in una forma inevitabilmente asimmetrica - la “donazione” del cuore all’Eterno (cf. DV 5). Accogliendo la Parola entrata nella storia la creatura umana si schiude al Mistero santo, e ne sperimenta la prossimità e 
l’inesauribile bellezza nell’amore. L’accoglienza operosa della Parola trasforma l’uomo nel profondo, lo libera dalla sua solitudine, lo fa discepolo del Signore nella  compagnia dei discepoli resi liberi dalla verità (cf. Gv 8,31s.). L’“esistenza accolta”, propria di Gesù, Verbo incarnato, si fa “esistenza accolta”, e perciò donata, del discepolo che, accogliendo la Parola nella donazione di sé a Dio e agli uomini, si  lascia “dire” dal Padre nel Figlio come vivente parola della carità rivolta all’umile concretezza delle situazioni della storia. L’accoglienza della Parola prepara e anticipa così nel tempo penultimo la città celeste, quel tempo ultimo in cui le parole scompariranno, accolte nell’unica Parola, perché Dio sia tutto in tutti e ogni  solitudine sia vinta nella gioia senza fine del Suo amore. ..." (Bruno Forte)

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