mercoledì 13 maggio 2015

Luca evangelista della misericordia

Elena  Bosetti 

Dante Alighieri definisce il terzo evangelista “scriba mansuetudinis Christi”, ermeneuta e narratore della  “mitezza” del Cristo. Anche oggi molti sono affascinati dal volto di Gesù che traspare dal vangelo di Luca: un Salvatore pieno di bontà, che mostra predilezione per le categorie deboli ed emarginate: donne e bambini, poveri e peccatori (1). Questi aspetti risaltano in alcune parabole indimenticabili ed esclusive di Luca: il buon samaritano, il fariseo e il pubblicano, l’epulone e il povero Lazzaro… Ma è sufficiente per meritargli il titolo di “evangelista della misericordia” (2)? Cosa giustifica la scelta di questo titolo? 

1.  Uno sguardo al lessico

Nel terzo vangelo (3) troviamo sei volte il sostantivo eleos, misericordia; è un dato rilevante in rapporto agli altri due Sinottici: in Mt ricorre infatti esattamente la metà e in Mc è del tutto assente.
Se osserviamo la distribuzione del termine, quando e dove Luca parla si misericordia, non possiamo nascondere una certa sorpresa: 5 su 6 occorrenze sono concentrate nel primo capitolo: 2 volte sulla bocca di Maria nel canto del Magnificat; 1 volta in bocca a Elisabetta che esalta la misericordia di Dio nei suoi confronti, e altre due volte nel cantico di Zaccaria, il Benedictus(4).
Sorprende questa concentrazione del termine nei due primi cantici: la madre di Gesù e il padre di Giovanni celebrano la misericordia del Dio d’Israele: il suo «ricordarsi» della misericordia (1,54), le sue «viscere di misericordia» (1,78) e il dispiegarsi della misericordia divina di generazione in generazione (1,50). La misericordia è il filo d’oro che attraversa il Magnificat e il Benedictus (5).
Dobbiamo aspettare la conclusione della parabola del buon samaritano per trovare nuovamente la parola misericordia: è posta sulla bocca dello scriba che aveva interrogato Gesù e al quale il Maestro rimbalza la domanda, ottenendo l’unica risposta logica: «Colui che ha fatto misericordia con lui» (cfr. 10,37). Anche questa sesta occorrenza, come le cinque precedenti, appartiene a un testo che è proprio di Luca: solo lui racconta tale parabola. Dunque il termine ricorre sempre in testi che non hanno paralleli in Mc e in Mt.
A livello del testo finale, noi troviamo un implicito invio dai cantici alla parabola: la misericordia cantata da Maria e Zaccaria si concretizza, in un certo senso, nella parabola del buon samaritano, che riflette la vita stessa di Gesù, il suo farsi prossimo all’umanità depredata e malmenata dai briganti di turno.
Nei vangeli ricorre diverse volte l’invocazione: eleêson me,Kyrie, «pietà di me, Signore», o al plurale: «pietà di noi» (per esattezza: 5 volte in Mt; 2 in Mc, entrambe sulla bocca di Bartimeo; 4 volte in Lc: 3 sono indirizzate a Gesù e la quarta è rivolta dal ricco epulone ad Abramo).
I racconti evangelici attestano che questo grido di misericordia, abitualmente accompagnato da un titolo messianico («Pietà di me Gesù, figlio di Davide»; o «Pietà di noi Gesù, maestro») viene puntualmente ascoltato da Gesù, che pertanto viene descritto come colui che fa misericordia (6).
Ma il verbo che qualifica in modo eminente i sentimenti di Gesù è splanchnizomai: quasi un fremito femminile poichésplanhca, come l’ebraico rahamîm, indica le “viscere materne”; evoca dunque un’emozione profonda, appunto “viscerale” (7). È da questa “compassione” che sgorga l’energia terapeutica di Gesù.
Quando incontra alla porta di Nain la vedova che accompagna al sepolcro il suo unico figlio, l’evangelista attribuisce a Gesù questo fremito profondo: «E come la vide il Signore fu preso da compassione per lei» (esplanchnisthê ep’autê, Lc 7,13).
È questo il verbo che descrive i sentimenti del buon samaritano nei confronti di colui che incappò nei briganti: «E, avendolo visto, fu preso da compassione» (kai idôn esplanchnisthê, Lc 10,33). Ed è il verbo che descrive i sentimenti del padre quando vede tornare suo figlio: lo vide quando ancora era lontano e «fu preso da compassione» (kai esplanchnisthê, Lc 15,20).
Va accordata inoltre attenzione, per la particolare affinità con il nostro tema, al lessico della salvezza: sôzein, “salvare”;sôtêria, “salvezza”; sôtèr, “salvatore”. E di nuovo siamo rinviati soprattutto ai primi capitoli del vangelo: su quattro occorrenze della voce sôtêria, “salvezza”, tre sono concentrate nel primo capitolo (cfr. Lc 1,69.71.77); la quarta compare solo nel cap.19, in casa di Zaccheo: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa» (8).
Cos’è questa «salvezza»?
Nel Benedictus vengono specificati tre aspetti: salvezza per noi; salvezza dai nemici e salvezza che si attua nella “remissione dei peccati”. I peccati di tutti, e non soltanto quelli di alcune categorie (dei cosiddetti “peccatori”). 

2.  Articolazione del tema

Tenendo conto di queste indicazioni lessicali e di altre, come i temi della liberazione e guarigione, ci chiediamo: quali sono le linee programmatiche della misericordia divina annunciata da Gesù, le sue caratteristiche e il suo stile? Chi sono i destinatari preferenziali della misericordia?
Articolerò il discorso attorno a questi brani:
- Il programma della misericordia annunciato a Nazaret: Lc 4,16-30
- L’esperienza di Pietro che si riconosce peccatore e che viene chiamato più intimamente al 
  seguito di Gesù: Lc 5,1-11
- La peccatrice perdonata alla tavola di Simone il fariseo: Lc 7,36-50
- Le tre parabole della misericordia: Lc 15
- «Oggi sarai con me in paradiso»: Lc 23,32-43
- Ed infine: il Risorto che si fa prossimo sulla via di Emmaus: Lc 24,13-35.
Non c’è dubbio: Luca è un appassionato evangelizzatore che con il tema della misericordia, intesa soprattutto come possibilità di salvezza per gli esclusi e i peccatori, raggiunge il cuore della bella notizia cantata a Natale dagli angeli: «Oggi vi è nato (…) un Salvatore» (Lc 2,11).
3.  Il programma annunciato a Nazaret
Tutto suggerisce che Luca scelga appositamente la sinagoga di Nazaret per enunciare le linee programmatiche della missione di Gesù. Anticipa infatti rispetto ai dati della tradizione la visita di Gesù al suo paese. I testi paralleli di Mc e di Mt concordano nel collocare tale visita più avanti, quando si è ormai diffusa la fama di guaritore. Anche Luca annota che «la sua fama si diffuse in tutta la regione» (Lc 4,14), ma diversamente da Mc e Mt non ha ancora narrato alcun miracolo benché li presupponga, come appare evidente dalle parole che proferisce Gesù, interpretando l’animo dei compaesani: «Di certo voi mi citerete il proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui nella tua patria!» (4,23).
L’evangelista gioca dunque d’anticipo nel presentare la visita a Nazaret all’inizio del ministero di Gesù, dopo il ritorno vittorioso dalla lotta con il tentatore nel deserto (4,1-13). Diversamente da Marco e da Matteo che iniziano il racconto del ministero in Galilea con l’annuncio del veniente Regno di Dio e l’immediata chiamata dei primi quattro discepoli (Mc non sa immaginare un Gesù senza discepoli!), Luca presenta inizialmente un Gesù evangelizzatore itinerante solitario (9).
Luca riesce a creare una scena molto solenne, anzi non poteva trovare forse una cornice più suggestiva per ambientare il programma essenziale della missione di Gesù: a Nazaret, in giorno di sabato, nella sinagoga dove Gesù è praticamente cresciuto, la sinagoga che era solito frequentare ogni sabato…
Il brano è composto accuratamente; la prima parte (vv.16-20) presenta una disposizione chiastica, con al centro la citazione del profeta Isaia (10):

A               Ed entrò, come era solito… nella SINAGOGA
e si alzò in piedi per leggere
e gli fu dato il libro del profeta Isaia,
e srotolato il libro trovò il passo…
B                                                              Citazione di Isaia 61 e 58
A1                                                            Arrotolò il libro
e resolo all’inserviente
sedette.
E gli occhi di tutti nella SINAGOGA erano su di lui.
L’evangelista sottolinea l’iniziativa di Gesù che liberamente si alza per fare la lettura pubblica. Nel rotolo di Isaia egli trova il passo che gli serve per mostrare la promessa e il compimento della Scrittura, ovvero il suo programma.
Il testo di Lc 4,18-19 combina due passi di Isaia (la citazione segue il testo della LXX). Dopo la citazione di Is 61,1 si passa a Is 58,6; quindi si ritorna a Is 61,2 che però viene interrotto prima della seconda metà, omettendo l’espressione «giorno di vendetta». In altre parole, la frase «per rimettere in libertà gli oppressi» di Lc 4,18 manca in Is 61; è presa da Is 58,6 e serve a illustrare «l’anno di grazia» come anno di “liberazione”. A Nazaret Gesù proclama l’anno giubilare (11), l’offerta del perdono e della piena liberazione (Lc 4,18), senza alcun accenno al giorno di vendetta presente nel testo isaiano (Is 61,2).
Ma l’offerta della salvezza fa corpo con la libera opzione. Fin dall’inizio Gesù è presentato quale «segno di contraddizione»(2,34). Non basta essere israeliti e concittadini del Messia per essere da lui guariti e beneficati (12).
C’è clima di grande attesa nella sinagoga di Nazaret. Gli occhi di tutti sono fissi su di lui: si attendono la predica e qualche miracolo che confermi la fama che di lui è giunta al paese. Ma Gesù non fa la tradizionale omelia; si limita a sette parole che suonano come una solenne dichiarazione: «Oggi si è compiuta questa Scrittura nelle vostre orecchie» (4,21).
Si avverte l’eco del grido marciano: «Il tempo è compiuto» (Mc 1,15), ma evidenziando maggiormente che il compimento avviene mediante Gesù: «Lo Spirito del Signore è sopra di me» (4,18).
Il compimento si realizza «oggi» (sêmeron). È l’oggi salvifico che si dischiude per gli oppressi e i peccatori e che risuonerà anche per il malfattore crocifisso con Gesù: «Oggi sarai con me in paradiso» (23,43) (13).
Oggi e qui: non semplicemente la “sinagoga”, ma più specificamente «nei vostri orecchi». Si verifica un importante spostamento di enfasi: dagli «occhi» agli «orecchi». I presenti vogliono vedere («gli occhi di tutti», v. 20), ma Gesù li riconduce al primato biblico dell’ascolto: l’udito e non la vista è accreditato a percepire il compiersi della Parola.
Le sette parole uscite dalla bocca di Gesù sono giudicate«parole di grazia» (logoi tês charitos, v. 22) dai suoi compaesani, parole rivelatrici della divina misericordia. Ma Gesù penetra come spada nell’animo dei presenti smascherandone le false attese, e la scena cambia, anzi degenera drammaticamente in una collettiva volontà di morte che anticipa la storia della passione.
Cosa impedisce di accogliere la misericordia?
L’ira dei nazaretani di scatena quando Gesù ricorda che sono stati due stranieri a beneficiare della misericordia di Dio: la vedova di Sarepta e Naaman, il siro colpito dalla lebbra… A Nazaret Gesù non trova le condizioni per attuare la liberazione annunciata; trova piuttosto una presunzione che si trasforma in crescente ostilità.
Il racconto si chiude con un verbo caro alla cristologia lucana: «Se ne andava» (cfr. 4,30). Dove se ne va il Salvatore? Verso la missione per la quale lo Spirito lo ha consacrato: anzitutto a Cafarnao (14), quindi per tutta la Galilea e le regioni limitrofe, e infine a Gerusalemme dove si risolverà la drammatica tensione anticipata a Nazaret. Ma neppure la morte lo fermerà.
4.  L’esperienza di Pietro
Siamo ambientati sulle rive del lago di Galilea, il litorale di Gennesareth (15). C’è notevole afflusso di popolo, segno del successo che Gesù va riscuotendo. Ci sono due barche ancorate a riva: Gesù prende l’iniziativa di salire su quella di Simone. Il Maestro sta manifestando un interesse speciale per lui. È già stato suo ospite, ora sale sulla sua barca e da lì, «sedutosi, ammaestrava le folle» (cfr. 5,3). Alla fine Gesù gli ordina di prendere il largo e di calare le reti per la pesca… È evidente il simbolismo: la barca sa cui il Maestro insegna deve prendere il largo e raccogliere un’immensa quantità di pesci… ma il povero Simone tutto ciò non lo poteva ancore intendere e dunque avanza le sue riserve: «Maestro, per tutta la notte (che è il tempo ideale per la pesca) abbiamo faticato e non abbiamo preso niente. Tuttavia sulla tua parola calerò le reti» (cfr. 5,5).
Sono queste le prime parole che Luca mette in bocca a Simone, e non a caso, poiché lo ritraggono al vivo; c’è tutto Pietro, il suo buon senso, competenza e professionalità e, d’altro lato, il fidarsi incondizionato del Maestro. Un altro avrebbe forse commentato con ironia che il rabbi di Nazaret non capiva niente di pesca…
Simone invece manifesta la sua perplessità, fa notare l’obiettiva difficoltà dell’impresa, ma non erige la difficoltà a pretesto. Egli è disposto a fidarsi: «Poiché tu me lo chiedi, getterò le reti». Le sue prime parole sono attraversate da una logica di amore che ha il carattere della fiducia incondizionata: «E avendo fatto questo – avendo cioè calato le reti – le tirarono su piene di molti pesci», tanto che rischiavano di rompersi (cfr. 5,6).
L’esperienza di quella pesca straordinaria ha un impatto fortissimo in Simone. Preso dallo stupore si getta alle ginocchia di Gesù esclamando: «Allontanati da me, Signore, perché sono un uomo peccatore» (cfr. 5,8).
Si noti che Pietro pronuncia queste parole mentre, gettato ai piedi di Gesù, gli stringe le gambe impedendogli di camminare. Il gesto dunque contrasta nettamente con le sue parole e dice bene i sentimenti contrastanti che passano nel suo animo.
Dicendo «Allontanati da me» (letteralmente: «Esci fuori lontano da me»), forse Pietro intende chiedere a Gesù di uscire dalla sua casa, dalla sua famiglia. Entrato infatti in casa sua, Gesù era diventato uno dei suoi. Ma ora la sua persona si mostra a Pietro sotto una luce nuova, come un personaggio straordinario, un uomo di Dio.
Ma Gesù trae una conclusione diametralmente opposta: invece di «uscire fuori lontano» come Simone gli chiedeva, lo chiama definitivamente a sé e lo associa alla sua missione: «Non temere; d’ora in poi di uomini sarai pescatore» (5,10).
E prontamente Simone con i suoi soci «tirate a terra le barche, lasciarono tutto e lo seguirono» (5,11). Come un fascino irresistibile.
5.  La donna perdonata alla tavola del fariseo
Luca parla anche di un altro Simone, il fariseo che invita a tavola Gesù e che si trova la sorpresa di un’ospite decisamente imbarazzante (7,36-50) (16). L’evangelista descrive la scena con rapide pennellate, lasciando parlare il linguaggio dei gesti. Accovacciata ai piedi del Maestro la donna si abbandona ad un pianto dirotto. Quelle lacrime non fanno parte del mestiere; sono la confessione della sua verità, del suo bisogno di salvezza. Seguono baci, carezze e profumo. Quella donna parla con tutta se stessa, anima e corpo, anche i lunghi capelli hanno un loro ruolo. E Gesù la guarda e lascia fare.
Simone non osa dire apertamente ciò che pensa, ma è ancor più scandalizzato dall’atteggiamento del Maestro che da quello della donna: «Se costui fosse un profeta saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca…» (v. 39).
Finalmente interviene Gesù e si rivolge proprio a lui. Lo chiama affettuosamente per nome: «Simone, ho da dirti una cosa…» e racconta la parabola dei due debitori.
Simone si lascia coinvolgere nel racconto e alla domanda («Chi di loro lo amerà di più?») risponde da uomo avveduto:«Suppongo quello a cui ha condonato di più» (vv. 42-43). Gesù può tirare ormai le conclusioni mettendo a confronto ciò che il suo ospite non ha fatto con le lacrime e i baci della donna. Quale contrasto tra la fredda accoglienza di lui e l’effusione di affetto di lei!
«Tu non m’hai dato l’acqua per i piedi; lei invece ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando è entrata non ha cessato di baciarmi i piedi» (vv. 44-45).
Invitando a pranzo il Maestro, Simone ha rischiato ben poco: ha mantenuto le distanze, così da mostrarsi aperto al nuovo rabbi e al contempo senza inimicarsi gli amici farisei. Invitare a tavola il Nazareno rappresenta per lui l’ennesima occasione di vanità.
La donna invece non si cura dello sguardo sprezzante dei commensali e dei loro giudizi. Ha piena fiducia in Gesù: «Le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato» (v. 47). «La tua fede ti ha salvata» (v. 50): essa cammina verso la pace, nell’esperienza del perdono.
6.  La gioia per il peccatore che si converte
La gioia per il peccatore che si converte unifica le tre parabole del capitolo 15 al centro del vangelo, nel contesto del grande viaggio verso Gerusalemme. Straordinaria emozione di Dio: non solo il perdono, ma grande gioia (17)!
Tre figure illustrano il volto di Dio: il pastore che cerca la sua pecora finché la trova e pieno di gioia se la pone sulle spalle (vv. 4-7); la donna che mette a soqquadro la casa per cercare la sua monetina e che appena la ritrova chiama felice amiche e vicine (vv. 8-10), ed infine la splendida parabola del padre che fa grande festa per il figlio ritrovato (vv. 11-32).
Luca è geniale nel costruire il racconto e attento a comporre il maschile e il femminile: un uomo e una donna nelle prime due parabole; un padre che si dimostra anche madre nella terza: si veda la bella interpretazione di Rembrandt che nella scena del ritorno del figlio prodigo, dietro il padre lascia intravedere il volto sorridente della madre. Inoltre la terza parabola assomma le caratteristiche che differenziano le prime due: la perdita può avvenire “fuori” (vedi la pecora errante e il figlio che va via di casa), ma può avvenire anche “dentro” la casa (vedi la moneta e il figlio maggiore) (18).
I primi due versetti del cap. 15 fanno da “cornice narrativa”. Il Maestro è attorniato da pubblicani e peccatori, mentre a una certa distanza, scribi e farisei mormorano. Il verbo greco usato dall’evangelista, diegòngyzon, sembra riprodurre il suono del crescente mormorio degli avversari, un borbottamento che si articola in un’accusa: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro» (v. 2).
L’accusa qui è fuori luogo. Di fatto pubblicani e peccatori si avvicinano a Gesù «per ascoltarlo» (15,1). Ma tale accusa ritrae un comportamento che doveva essere frequente. Il medesimo verbo ricorre infatti in Lc 19,7 quando Gesù si autoinvita in casa di Zaccheo: «Tutti mormoravano», poiché si era seduto alla tavola di un peccatore (19).
I suoi avversari sono indignati dal fatto che familiarizzi con i peccatori e parli di Dio alle prostitute… e Gesù si difenderispondendo in parabole. Egli sembra ragionare così: «Ditemi voi quale prassi si avvicina di più al comportamento di Dio: la vostra o la mia?».
La “compassione” di Dio per la perdita della sue creature è parallela alla sua indicibile gioia per il ritrovamento della vita. Dio è il buon Pastore, da sempre alla ricerca dell’uomo: «Adam, dove sei?» (Gen 3,9; cfr. Ez 34; Sal 23). Dio è Padre e Madre:«Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?» (Is 49,15).
7.  «Oggi sarai con me in paradiso»
Ci portiamo sotto la croce. Il racconto del martirio di Gesù narrato da Luca testimonia una straordinaria mitezza: egli non chiede vendetta, neppure si fa interprete della giustizia di Dio (vedi, ad esempio, i sette martiri Maccabei i quali ricordano al loro carnefice che non sfuggirà al giudizio divino, 2 Mac 7,16.34-36), ma implora il perdono per i suoi persecutori (Lc 23,34) (20).
Luca indica tre gruppi di schernitori che si succedono in un martellante «Salva te stesso»:
  1. 1.«I capi lo schernivano dicendo:
     ‘Ha salvato gli altri, salvi se stesso,
     se è il Cristo di Dio, il suo eletto’»(v. 35).
  1. 2.«Anche i soldati lo schermivano,
e gli si accostavano per porgergli dell’aceto,
e dicevano: ‘Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso’» (v. 36-37).
  1. 3.«Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava:
‘Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!’»(v. 39).
La struttura dei sarcasmi è la medesima: la prima parte ipotetica («Se sei il Cristo…») e l’altra imperativa («Salva te stesso!»). Sono dunque una sfida, anzi una triplice tentazione (si veda Lc 4,1-13: «Se sei il Figlio di Dio…»). Ma mentre nel deserto Gesù aveva risposto puntualmente al tentatore, sulla croce egli tace.
Su questo sfondo drammatico si colloca il dialogo con l’altro malfattore che prende distanza dal linguaggio del suo compagno e lo rimprovera: «Non hai neppure timore di Dio?» (cfr. 23,40). Il senso sembra il seguente: «Tu non hai avuto timore degli uomini e così sei arrivato a questa fine; ma non hai neppure timore di Dio? Potresti avere almeno quello!» (si veda la parabola del giudice che non aveva timore di Dio e rispetto degli uomini, Lc 18,1ss).
Il doppio riconoscimento, della propria colpevolezza e dell’innocenza di Gesù, costituisce una “vera confessione” che apre alla salvezza. Non è mai troppo tardi nella prospettiva di Luca. Gesù salva chi si rivolge a lui anche all’ultimo momento, come il malfattore pentito. Egli si rivolge a Gesù chiamandolo con il proprio nome: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (v. 42).
Quale confidenza in tale preghiera! È questa l’unica volta nel Nuovo Testamento in cui il nome “Gesù” è da solo, senza nessun titolo. Il neoconvertito esprime direttamente il nome ineffabile, con estrema fiducia e speranza. E la risposta di Gesù è pronta e solenne: «Amen ti dico: oggi sarai con me in paradiso».
È l’oggi della salvezza che attraversa tutto il vangelo di Luca: «oggi vi è nato un Salvatore» (2,11); «oggi si è compiuta per voi questa Scrittura» (4,20); «oggi la salvezza è entrata in questa casa» (19,9). 
8.  Conclusione: sulla via di Emmaus
Due discepoli sono in viaggio verso Emmaus la sera del primo giorno dopo il sabato. Loro non sono di quelli che si perdono dietro alle chiacchiere e alle visioni delle donne, non perdono tempo come Pietro a correre al sepolcro… (cfr. Lc 24,12). Ma nel loro discorrere c’è tanta amarezza: la lingua parla per la sovrabbondanza del cuore!
Ecco che il Risorto si fa prossimo. Ancora una volta è il buon pastore che va in cerca delle sue pecore erranti… «Quali sono i discorsi che dibattete l’un l’altro?» (cfr. 24,17). La domanda ha un forte impatto su Cleopas e il suo compagno: «Tu solo sei straniero in Gerusalemme e non sai le cose che vi sono avvenute in questi giorni?» (cfr. v. 18).
Gesù ascolta, commenta, spiega: «Stolti e tardi di cuore… nondoveva il Cristo patire queste cose?» (cfr. vv. 25-26). Il profeta rimanda ora ai profeti. Il Risorto si fa “esegeta” e insieme ultima e suprema “esegesi” delle Scritture (21).
La narrazione volge la termine. I due viandanti sono giunti a destinazione e lui fa «come se volesse proseguire» (cfr. v. 28). L’insistenza dei due rispecchia certamente la generosa ospitalità orientale, ma lascia trasparire anche l’invocazione liturgica della comunità: «Rimani con noi perché si fa sera…» (cfr. v. 29). 
NOTE 
(1)  Cfr. G. C. BOTTINI, Introduzione all’opera di Luca. Aspetti teologici, Jerusalem: Franciscan Printing Press, 1992.
(2)  C’è chi ritiene che “l’evangelista della misericordia” non sia tanto Luca, come abitualmente si afferma, quanto piuttosto Matteo: cfr. B. STANDAERT, “Misericordia voglio” in Parola spirito e vita 29 (1994/1) 109-119.
(3)  Per quanto possa sembrare strano, Luca non parla mai di “vangelo” nel suo primo libro; preferisce il verbo “evangelizzare” (10 volte nel vangelo e 15 in Atti), manifestando così, anche mediante il dato lessicale, che il suo interesse verte sull’aspetto dinamico. Egli presenta la corsa della bella notizia.
(4)  Cfr. F. STAUDINGER, eleos in: H. BALZ –  G. SCHNEIDER edd., Dizionario esegetico del NT, I, 1143-1149: Lc 1 riprende il concetto veterotestamentario di hesed nel suo significato originario di fedeltà misericordiosa e creatrice di Dio. Il motivo conduttore del primo capitolo di Luca è la pietà misericordiosa di Dio, sperimentata nella storia salvifica di Israele e che raggiunge la pienezza nell’incarnazione del Figlio.
(5)  Cfr. E. BOSETTI, Luca. Il cammino dell’evangelizzazione, Bologna: EDB, 1995,49.
(6)  L’imperativo eleêson è posto sulla bocca di coloro che chiedono a Gesù salute usando un appellativo messianico (cfr. il cielo di Gerico: Lc 18,39). I lebbrosi di Samaria invocano in Gesù la pietà del “maestro” (Lc 17,13) per essere riaccolti nella comunità: cfr. STAUDINGER, eleos, 1146.
(7)  Questo verbo descrive la forte emozione di Gesù davanti alla vita sofferente, come nel caso del lebbroso raccontato da Mc 1,40-41, o davanti alle folle affamate della sua parola: «Fu preso da compassione perché erano come pecore senza pastore» (Mc 6,34; 8,2; Mt 9,36). Esso connota la stessa messianicità di Gesù, rivelandolo come il Servo di Yahweh, solidale con l’umanità sofferente.
(8)  Cfr. S. ZEDDA, Teologia della salvezza nel vangelo di Luca, Bologna: EDB, 1991.
(9)  Ben diverso Marco, dove l’ingresso di Gesù a Cafarnao riveste già una certa solennità, in quanto il Maestro entra in sinagoga accompagnato da quattro uomini che hanno lasciato tutto per seguirlo (vedi Mc 1,16-21).
(10)  Cfr. J.-N. ALETTI, L’arte di raccontare Gesù Cristo, Brescia: Queriniana, 1991.
(11)  Nell’anno giubilare venivano condonati i debiti e rimessi in libertà gli schiavi; si veda Lv 25,8-17.23-25 e Ger 34,8-22.
(12)  Cfr. E. RASCO, “La singolarità di Luca: salvezza di Dio e responsabilità dell’uomo”: Rassegna di Teologia 19 (1978) 26-42.
(13)  B. PRETE, “Prospettive messianiche nell’espressionesêmeron (oggi) del vangelo di Luca”: L’opera di Luca. Contenuti e Prospettive. Torino: Elle Di Ci, 1986, 104-117.
(14)  La meta immediata è Cafarnao, sulla riva nord-occidentale del lago di Galilea. Luca riprende qui il filo della narrazione marciana, la cosiddetta “giornata di Cafarnao”. Sono presentati quasi al rallentatore i momenti forti della  giornata di sabato: al mattino il servizio liturgico in sinagoga, a mezzogiorno il pranzo festivo in casa di Simone, dopo il tramonto, alla fine del sabato, la guarione di molti malati (4,33-41). Su ognuno Gesù «impone le mani»: questo elemento, esclusivo di Luca, sottolinea la riabilitazione che Gesù intende fare di ciascuno, uomo e donna.
(15)  O. DA SPINETOLI, Luca. Il Vangelo dei poveri, Assisi: Cittadella, 1982: la chiamata dei discepoli segue anziché precedere le prime manifestazioni messianiche. Anche in ciò si mostra la libertà di Luca dalle fonti (pp. 22-23).
(16)  Cfr. T. CAVALCANTI, “Jesus, the Penitent Woman and the Pharisee”: Journal of Hispanic/Latino Theology 2 (1994) 28-40; R. MEYNET, “‘Celui à qui est remis peu, aime peu...’ (Lc 7,36-50)”: Gregorianum 75 (1994) 267/280.
(17)  Cfr. E.RASCO, “Le Parabole di Luca XV” in: I. De LA POTTERIE, ed., Da Gesù ai Vangeli. Tradizione e redazione nei Vangeli Sinottici, Assisi: Cittadella, 1971, 208-229; E. BORGHI, “Lc 15,11-32. Linee esegetiche globali”: RivBibl 44 (1996) 279-308.
(18)  V. FUSCO osserva che dal parallelismo tra le due prime parabole e la terza nasce anche un problema: il pastore e la donna festeggiano il ritrovamento già avvenuto; dobbiamo dedurne che anche il padre festeggia la conversione del figlio? E più ampiamente (vedi la cornice introduttiva) che i peccatori accolti da Gesù sono considerati da Luca come già pentiti? In effetti Luca ama sottolineare la necessità della metanoia e sembra prospettarla come l’esito normale e quasi immancabile dell’incontro con Gesù, venuto a chiamare i peccatori a convertirsi (Lc 5,32): è il caso di Levi (5,27-32), della peccatrice (7,36-50) e di Zaccheo (19,1-10). Tuttavia la conversione non è il presupposto dell’incontro con Gesù, ma il suo risultato: “Una parabola: la pecora smarrita: Mt 18,12-14 e Lc 15,3-7”, in M. LACONI, ed., Vangeli Sinottici e Atti degli Apostoli,Torino: Elle Di Ci, 1994, 305-315 (con ampia bibliografia).
(19)  L’invito alla salvezza nel caso di Zaccheo si presenta come esclusiva iniziativa di Gesù che gli ordina di scendere in fretta perché «deve» fermarsi in casa sua (19,5): questo «devo» corrisponde alla sua missione di salvatore: cfr. B. PRETE, “Prospettive messianiche nell’espressione sêmeron (oggi) del Vangelo di Luca”, 108.
(20)  Cfr. A. GEORGE, “Le sens de la mort de Jésus pour Luc”, RB 80 (1973) 186-217; V. FUSCO, "La morte del Messia (Lc 23,26-49), ABI (ed.), Gesù e la sua morte. Atti della XXVII Settimana Biblica, Brescia 1984, 51-73; FITZMEYER J.A., «Oggi sarai con me in paradiso» (Lc 23,43) in Luca teologo. Aspetti del suo insegnamento, Queriniana, 1991.
(20) A.M. GIORGI DELL’AMICO, Aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture. Categorie bibliche interpretative della morte e risurrezione di Gesù, Roma: Borla, 1992; E. RASCO, “Come conoscere il Cristo dopo la risurrezione. Fra esegesi e pastorale”; M.M. Morfino ed., Miscellanea biblica in memoria di p. Silverio Zedda, Cagliari: Piemme, 1994, 111-126.

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