giovedì 3 maggio 2012

Giovanni 15,1-8: la vite e i tralci

V Domenica di Pasqua, Anno B

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».


L’IMMAGINE usata da Gesù è tratta dalla vita quotidiana (di un mondo contadino) e indica:
* l’UNITA’ profonda che Gesù desidera avere con noi
* l’AMORE del Padre che, come un agricoltore con la sua vigna, ha infinita pazienza, cura, dedizione nei nostri confronti
* la necessità della POTATURA: la vita stessa, con gli incontri che facciamo, con le sofferenze e le difficoltà che ci troviamo a vivere, diventa una potatura continua. Si tratta di vivere tutte queste situazioni con la positività di chi vi riscontra un’OCCASIONE

- Gesù insiste soprattutto sulla 1° dimensione: la necessità di essere uniti con lui, di ricevere LINFA dalla sua vita. Senza di lui NON PORTIAMO FRUTTO. Con lui porta molto frutto.
- Il FRUTTO di cui parla Gesù è ovviamente quello di una vita DONATA, VERSATA come il vino condiviso con i fratelli. Il frutto è quello di un amore sincero, gratuito, profondo. Gesù, donando la sua stessa vita, continua a DARE FRUTTO, è diventato la VITE che permette ai tralci di fruttificare.
- C’è anche in noi la tendenza di voler fare senza di lui, soprattutto nella nostra società “laica” che ha emarginato il nome di Dio, cercando di relegarlo nella sfera privata e personale.
- Una riprova: chi di noi crede veramente nella promessa finale: “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto”. Abbiamo fatto tutti esperienza di chiedere cose che non trovavano esaudimento, abbiamo tutti un certo scetticismo nel pensare che Dio intervenga concretamente a nostro favore. Ci siamo abituati piuttosto a darci da fare con le nostre mani, a fare affidamento sulle nostre sole forze o, tutt’al più, sull’aiuto di qualche potente di turno.

- Eppure se è comprensibile lo scetticismo di poterci affidare ciecamente sulla promessa di Gesù (chiedete quello che volete e vi sarà fatto), troppo spesso dimentichiamo la CONDIZIONE: RIMANERE IN LUI e FARE IN MODO CHE LE SUE PAROLE RIMANGANO IN NOI.
- In che modo possiamo essere concretamente UNITI A LUI? Certo: attraverso l’EUCARISTIA, la PREGHIERA, la COMUNITA’ ECCLESIALE, la CARITA’.
- Ma, dice san Giovanni nella 2° lettura: “non amiamo a parole, ma con i fatti e nella verità”. “Rimane in Dio e Dio in lui chi osserva i suoi COMANDAMENTI” e cioè:
* CREDERE nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e
* AMARCI GLI UNI GLI ALTRI, secondo il precetto che ci ha dato.
- Le due dimensioni sono sempre imprescindibili: uniti a Gesù come il tralcio alla vite, ma anche uniti tra di noi, come i tralci che non possono mai pretendere di isolarsi, di fare da soli, ma sono tali solo se formano una sola realtà.
- Essere uniti a Gesù significa lasciarsi ALIMENTARE da lui: dal suo corpo, dalla sua PAROLA. Significa costruire con lui un RAPPORTO importante come per la persona amata o per il miglior amico: fidarsi e affidarsi, spendere tempo per conoscerlo e lasciarci conoscere, STARE CON LUI, passare tempo con lui. E lui sta in mezzo ai fratelli, nei più poveri, nella sua parola.
- “Fare in modo che le sue parole rimangano in noi”: eppure spesso le dimentichiamo appena usciti da quel portone, non le comprendiamo, non le trasformiamo in vita concreta. Dobbiamo spendere energie per familiarizzare con la Parola di Dio: fare in modo di arrivare prima in Chiesa e aver già letto le letture che la liturgia propone, fare in modo di tornare a casa e chiedere ai nostri familiari cosa quelle letture hanno detto e cosa ricordano della spiegazione del prete, fare in modo che almeno una frase, come uno SLOGAN, rimanga fissa nel nostro cuore e si cerchi di attualizzarla nella vita di ogni giorno.
- San Giovanni ripete nella 2° lettura: “se il nostro cuore non ci rimprovera nulla (!), abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti…”.
- Siamo in un cammino dove sempre il nostro cuore ci rimprovererà qualcosa, dove Gesù non sarà mai pienamente al centro della nostra esistenza…camminiamo cercando sempre di migliorarci, ma chiediamo al Signore la FEDE, la SPERANZA, la CARITA’ sicuri che ci sarà fatto, che li riceviamo da lui.
- San Paolo, raccontano gli Atti degli Apostoli, si è messo subito a PREDICARE, a TESTIMONIARE quella nuova fede che prima aveva cercato di ostacolare. Avrà bisogno dell’aiuto di altri fratelli per essere accettato, ma continuerà a conoscere difficoltà, rifiuti, opposizioni anche violente. Eppure nel suo cammino Cristo è diventato sempre più il centro della sua vita. Ha chiesto e ha ottenuto. Ha portato molto frutto, tanto che ancora oggi gustiamo e siamo rinfrancati dal gusto delle sue parole e delle sue opere.
- Forse Dio non esaudirà richieste di miracoli, ma, sicuramente, come un agricoltore, è lì ad aiutarci a crescere, a zappettare il nostro terreno, a mostrarci il suo amore, la sua dedizione e la sua pazienza. Ciò che conta è in fondo vivere in pienezza, felici nonostante le difficoltà. E questo è in suo potere donarcelo: a condizione di chiederlo rimanendo profondamente uniti col Figlio e con i nostri fratelli.

Signore della Vita,
aiutaci a rimanere uniti a Te.

Ogni volta che annunciamo che è possibile un mondo migliore…
quando lottiamo per rendere migliore la vita dei fratelli…
quando i nostri sforzi si concentrano su quel Regno che tu ci hai portato…
allora noi siamo uniti a Te.

Quando viviamo i valori del Vangelo…
quando chi veramente conta è il fratello…
quando con coraggio cerchiamo di cambiare almeno un po’ la realtà che ci circonda…
allora noi siamo uniti a Te.

Amen
 Viviamo uniti a Gesù
quando siamo comunità fraterne, solidali
che sanno condividere la vita e la Parola;
che sanno perdonare e cercare insieme
 di vivere i valori del Vangelo.
Alberto Maggi: Nel brano tutto ruota attorno ad una immagine concreta e ad un verbo: la vite e dei tralci, il verbo «rimanere». Cristo vite, io tralcio: io e lui la stessa cosa! Stessa pianta, stessa vita, unica radice, una sola linfa. Lui in me e io in lui come figlio nella madre, madre nel figlio.
Dio è in me, non come un padrone, ma come linfa vitale. Dio è in me, come radice che invia energia verso tutti i rami. Dio è in me per prendersi cura più a fondo di me. In Cristo il vignaiolo si è fatto vite, il seminatore si è fatto seme, il vasaio si è fatto argilla, il Creatore si è fatto creatura. Non solo Dio con noi, ma Dio in noi. Se ci guardiamo attorno, conosciamo tutti delle persone che sembrano mettere gemme, le vedi germogliare e fiorire. E capisci che sono inserite in qualcosa di vivo!
Rimanete in me. Una sola condizione; non condizionamento, ma base della mia esistenza: nutrirmi della linfa della mia vite. Non sono parole astratte, sono le parole che usa anche l'amore umano. Rimanere insieme, nonostante tutte le distanze e i lunghi inverni, nonostante tutte le forze che ci trascinano via. Il primo passo è fare memoria che già sei in lui, che lui è già in te. Non devi inventare niente, non devi costruire qualcosa. Solo mantenere quello che già è dato, prenderne coscienza: c'è una energia che scorre in te, proviene da Dio, non viene mai meno, vi puoi sempre attingere, devi solo aprire strade, aprire canali a quella linfa.
All'inizio della primavera sui tralci potati affiora una goccia di linfa che luccica sulla punta del ramo. Mio padre mi portava nella vigna dietro casa e mi diceva: è la vite che va in amore! Quella goccia di linfa mi parla di me e di Dio, dice che c'è un amore che sale dalla radice del mondo e mi attraversa; una vita che viene da Dio e va in amore, in frutti d'amore. Dice a me, piccolo tralcio: «Ho bisogno di te per una vendemmia di sole e di miele».
Ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Il dono della potatura... Potare non significa amputare, significa dare vita, qualsiasi contadino lo sa. Rinunciare al superfluo equivale a fiorire. Perché gloria di Dio non è la sofferenza ma il molto frutto. È come se Gesù dicesse: non ho bisogno di sacrifici ma di grappoli buoni; non di penitenze, ma che tu fiorisca. Nessuna vite sofferente porta buon frutto. Prima di tutto devo essere sano e gioioso io. Così Dio mi vuole.
Il nome nuovo della morale evangelica è «frutto buono», con dentro il sapore di Dio. Che ha il gusto di tre cose sulla terra: amore coraggio e libertà. Non c'è amore senza libertà, libertà non c'è senza coraggio. E amore libertà e coraggio sono la linfa e i frutti di Dio in noi.
(Letture: Atti degli apostoli 9, 26-31; Salmo 21; 1 Giovanni 3, 18-24; Giovanni 15,1-8)

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