(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.050, 02/03/2016)
È la misericordia l’«asse» della liturgia di martedì 1° marzo. È la «parola più ripetuta» e su questa si è soffermata la riflessione di Papa Francesco durante la messa celebrata a Santa Marta.
In tutta la liturgia della parola risuona questo concetto. Nel salmo responsoriale si ripete: «Ricordati, Signore, della tua misericordia». Ed è, ha spiegato il Pontefice, come «dire: “Ma, ricordati del tuo nome, Signore: il tuo nome è misericordia!”».
Anche nella prima lettura, tratta dal libro del profeta Daniele (3, 25.34-43), la richiesta di misericordia è al centro del racconto. Si legge infatti della «preghiera di Azaria, uno di quei ragazzi che erano nel forno perché non volevano adorare l’idolo d’oro»: questi «chiede misericordia, per lui e per il popolo; chiede a Dio il perdono». Non «un perdono superficiale», non un semplice togliere una macchia «come fa quello della tintoria quando portiamo un vestito». La richiesta, ha sottolineato Papa Francesco, è di un «perdono del cuore» che, quando viene da Dio, «sempre è misericordia».
Entra qui, ha detto Francesco, la seconda parola chiave della meditazione odierna: «perdono». La dinamica è la seguente: «mi rivolgo a Dio ricordandogli la sua misericordia e gli chiedo perdono», ma «il perdono come lo dà Dio».
Qui il Pontefice ha approfondito una caratteristica di questo perdono di Dio, la cui perfezione è tanto incomprensibile a noi uomini da arrivare al punto che egli si “dimentica” dei nostri peccati. «Quando Dio perdona — ha detto il Papa — il suo perdono è così grande che è come se “dimenticasse”». Così «una volta che siamo in pace con Dio per la sua misericordia» se chiedessimo al Signore: «Ma, ti ricordi quella brutta cosa che ho fatto?», la risposta potrebbe essere: «Quale? Non ricordo...».
È, ha spiegato Francesco, «tutto il contrario di quello che facciamo noi» e che emerge spesso dalle nostre «chiacchiere: “Ma questo ha fatto quello, ha fatto quello, ha fatto quello...”». Noi «non dimentichiamo» e di tante persone conserviamo «la storia antica, media, medievale e moderna». E la ragione si ritrova nel fatto «che non abbiamo il cuore misericordioso».
Rivolto al Signore, invece, Azaria può fare «un appello» alla sua misericordia «perché ci dia il perdono e la salvezza e dimentichi i nostri peccati». Perciò chiede: «Fa’ con noi secondo la tua clemenza»: e ancora: «Secondo la tua grande misericordia, salvaci!». È la stessa preghiera che ritorna nel salmo responsoriale: «Ricordati, Signore, della tua misericordia».
Anche nel passo liturgico del Vangelo di Matteo (18, 21-25) si affronta lo stesso argomento. Qui il protagonista è Pietro, il quale «aveva sentito tante volte parlare il Signore del perdono, della misericordia». L’apostolo, evidentemente, nella sua semplicità — «non aveva fatto tanti studi, non era un laureato: era un pescatore» — non aveva compreso in pieno il significato di quelle parole. Perciò «si avvicinò a Gesù e gli disse: “Ma, dimmi, Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Ti sembra, fino a sette volte?”». Sette volte: forse gli sembrava di essere stato addirittura «generoso». Ma «Gesù lo ferma e dice: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”».
Per spiegarsi meglio, Gesù racconta la parabola del re «che vuole regolare i conti con i suoi servi». A costui, si legge nella Scrittura, venne presentato «uno che gli doveva diecimila talenti», una quantità enorme per la quale, «secondo la legge di quei tempi», sarebbe stato costretto a vendersi «tutto, anche la moglie, i figli e i campi». A questo punto, ha detto il Papa riprendendo il racconto evangelico, il debitore «incominciò a piangere, a chiedere misericordia, perdono», finché «il padrone ebbe “compassione”».
«Compassione», ha spiegato il Pontefice, è un’altra parola che si accosta facilmente al concetto di misericordia. Quando nei Vangeli si parla di Gesù e quando si descrive il suo incontro con un malato, si legge infatti che egli «ebbe “compassione” di lui».
La parabola quindi continua con il padrone che «lasciò andare» il servo «e condonò il debito». Si trattava di «un debito grosso». Invece il servo, incontrato «il compagno che aveva con lui un debito di spiccioli, voleva mandarlo in carcere». Quell’uomo, ha spiegato il Papa, «non aveva capito quello che il suo re aveva fatto con lui» e così si «comportò egoisticamente». A conclusione del racconto il re richiama il servo a cui aveva condonato il debito e lo incarcera perché non era stato «generoso». Cioè, non aveva fatto «al suo compagno quello che Dio aveva fatto con lui».
Per trarre un insegnamento valido per tutti, Francesco ha richiamato la frase del Padre nostro nella quale si dice: «Perdona i nostri debiti come noi perdoniamo ai nostri debitori». E ha affermato che si tratta di «un’equazione», ovvero: «Se tu non sei capace di perdonare, come potrà Dio perdonarti?». Il Signore, ha aggiunto il Papa, «ti vuole perdonare, ma non potrà se tu hai il cuore chiuso, e la misericordia non può entrare». Qualcuno potrebbe obiettare: «Padre, io perdono, ma non posso dimenticare quella brutta cosa che mi ha fatto...». La risposta è: «Chiedi al Signore che ti aiuti a dimenticare». In ogni caso, ha aggiunto il Pontefice, se è vero che «si può perdonare, ma dimenticare non sempre ci si riesce», sicuramente non si può accettare l’atteggiamento del «“perdonare” e “me la pagherai”». Bisogna invece «perdonare come perdona Dio», il quale «perdona al massimo».
Concludendo la sua meditazione il Papa si è soffermato sulle nostre difficoltà quotidiane: «Non è facile, perdonare; non è facile» ha riconosciuto, ricordando come in tante famiglie ci siano «fratelli che litigano per l’eredità dei genitori e non si salutano mai nella vita; tante coppie che litigano e cresce, cresce l’odio e quella famiglia finisce distrutta». Queste persone «non sono capaci di perdonare. E questo è il male».
La quaresima allora, ha auspicato Francesco, «ci prepari il cuore per ricevere il perdono di Dio. Ma riceverlo e poi fare lo stesso con gli altri: perdonare di cuore». Avere, cioè, un atteggiamento che ci porti a dire «Forse non mi saluti mai, ma nel mio cuore io ti ho perdonato».
È questa la maniera migliore, ha concluso, per avvicinarci «a questa cosa tanto grande, di Dio, che è la misericordia». Infatti «perdonando apriamo il nostro cuore perché la misericordia di Dio entri e ci perdoni, a noi». E tutti noi abbiamo motivi per chiedere il perdono di Dio: «Perdoniamo e saremo perdonati».
Nessun commento:
Posta un commento