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“Chiediamoci: qual è il combattimento a cui siamo chiamati nella esortazione
conclusiva della Lettera di Paolo agli Efesini?”, si domanda Carlo Maria Martini in un
testo inedito tratto da un suo corso di esercizi spirituali del 1975 e anticipato da
Avvenire l'11 ottobre 2016.
Chiediamoci: qual è il combattimento a cui siamo chiamati nella esortazione conclusiva della Lettera di Paolo agli Efesini (Ef 6, 10ss)? Vorrei dare tre idee fondamentali, sulle quali dovremo ritornare, per cercare di capire perché san Paolo ci parla di combattimento spirituale, qual è questa battaglia dell’anima e perché la vita cristiana è descritta con la metafora della lotta. Il primo pensiero che propongo è questo. Tutta la storia del mondo può essere vista – ed è vista dalla Scrittura – come una grande lotta. Il libro che conclude, che riassume in qualche maniera la Bibbia, cioè il Libro dell’Apocalisse, ci presenta la storia del mondo proprio come una grande battaglia. Prendiamo qualche brano dal capitolo dodicesimo, che si trova al centro dell’Apocalisse. Ci mostra lo scontro che si dipana fra cielo e terra: «Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago; il drago combatteva insieme con i suoi angeli».
È un combattimento che dal firmamento giunge fino all’umanità: il drago si infuriò contro la donna e se ne andò a far guerra contro il resto della sua discendenza, contro quelli che osservano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù. Qual è la concezione che fa da sfondo a questi passi dell’Apocalisse e ad altri brani biblici? La storia del mondo è una grande lotta, un ininterrotto combattimento. Non c’è affatto una visione irenica della Storia. Si sfata il mito di un mondo pacifico, nato da un mite germoglio, poi fiorito, che diventerà albero di pace. C’è, al contrario, una visione drammatica, perennemente in balìa di contrasti e violenze. I contrasti si possono ridurre, essenzialmente, con la semplicità di cui la Bibbia si fa portatrice, a un solo dilemma: riconoscere Dio e metterlo al di sopra di tutto, e quindi ripensare la creazione, la storia e l’esistenza a partire da lui; oppure non riconoscere Dio. Queste due alternative fondamentali sono alle origini della lotta che segna la storia e che rende così drammatica l’esistenza stessa. Tutti gli altri conflitti non sono che parti, applicazioni o momenti di questo conflitto fondamentale che, come si evince, non è scontro di sangue, non è un corpo a corpo fra persone che mirano a stabilire chi è il più forte; è in realtà un conflitto di idee, di sentimenti, di scelte. La prima alternativa riconosce Dio – «dare a Dio ciò che è di Dio», la grande parola di Gesù –, lo pone al centro e concepisce tutta la realtà a partire da lui, facendo convergere verso di lui tutta la realtà e tutto il mondo; questa prospettiva conferisce un senso divino agli uomini e alle cose, alla nostra vita sulla terra; da essa deriva per l’uomo una possibilità di giustizia, di pace, di comprensione, di fraternità.
È una visuale che comprende e abbraccia in sé tutto l’universo. La seconda alternativa non riconosce Dio; e allora si concepisce l’uomo, la terra, il mondo, prescindendo da lui, negando la dipendenza da lui e mettendo al centro qualche altra cosa: un idolo o, al posto dell’idolo, l’uomo stesso, reso misura di tutte le cose, padrone di tutte le cose, punto assoluto di convergenza; si tenta così di costruire un mondo che ha al centro l’uomo, dal quale tutto nasce e muore. È una visione che affascina tanto i nostri contemporanei, perché sembra realizzabile, così semplice, così chiara e a portata di mano. Non è una visione totalmente negativa o cattiva – peccato, passioni, odio –, no: è una visione che vorrebbe mettere al centro l’uomo e, quindi, subordinare tutto a lui, posto come misura ultima, definitiva, di tutte le cose. È una visione che lotta contro il progetto divino accusandolo di distruggere l’uomo, di non dargli il giusto posto; che combatte fortemente, ansiosamente, per dare all’uomo un posto di preminenza. La “grande guerra”, che si combatte nel mondo dal principio della Creazione (e la Bibbia mette l’arcangelo Michele a capo di questa lotta, colui il cui nome significa «Chi è come Dio?») si gioca su questa disputa cruciale: riconoscere Dio come Amore, e l’uomo come “essere amato da Dio”, capace di amore per Dio, per la terra e i suoi simili; oppure negare Dio e trarne le conseguenze.
Questa è la lotta della storia. Le due concezioni si oppongono in maniera non conciliabile, in maniera drammatica. Perché la concezione che mette al centro l’uomo non riconosce che quest’uomo è creato da Dio, amato da Dio? Perché, ponendo al centro l’individuo in maniera così assoluta e definitiva, si esclude qualsiasi dipendenza, non c’è alcuna forma di relazione con Qualcosa o Qualcuno al di sopra di lui. Questo è il grande dramma che si svolge ancora oggi, sotto i nostri occhi, ai nostri giorni, nelle vicende delle persone e che, in fondo, viviamo anche noi credenti. In ciascuno di noi, infatti, questo tragico dibattersi si nasconde in modo subdolo, sottile. Per questo è necessario chiedersi: riconosco nella mia vita il primato assoluto di Dio? Oppure voglio mettere me stesso, l’uomo, l’umanità al centro dell’universo, e rifiutare tutto ciò che in qualche maniera mi supera? Di qui tanti atteggiamenti ambigui, tante situazioni che dividono gli uomini mettendoli gli uni contro gli altri, che dilaniano i loro cuori, che entrano anche nella Chiesa, perché nessuna realtà è esente da questa tentazione, da questa lotta. Noi ci siamo dentro e non possiamo uscirne, perché continuamente la vita ci tenta e ci trascina verso questo conflitto di prospettiva. La storia del mondo è questa grande lotta. Secondo pensiero: la vita di Gesù è stata una precisa presa di posizione in questa grande lotta.
Gesù è venuto a «rendere testimonianza alla verità», come dice di fronte a Pilato (Gv 8, 37); cioè a confermare, con la sua vita e la sua morte, che Dio è al di sopra di tutto, che Dio ci ama, che Dio è l’unico che può veramente saziare la nostra sete di felicità, che Dio si è fatto vicino a noi, che Dio è accessibile attraverso di lui, che Dio vuole salvarci. Gesù è venuto per rendere testimonianza alla centralità e alla prossimità di Dio. Tutta la sua vita è stata spesa per questo. Un Vangelo come quello di Marco, ad esempio, descrive la vita di Gesù come una continua lotta contro il demonio, contro ogni chiusura verso Dio, che è paralisi. Si svela così il vero significato dell’esistenza umana “alla luce della verità”, nel senso giovanneo della manifestazione del progetto escatologico con cui Dio vuole redimerci e trasformarci. Gesù è colui che, in maniera definitiva, è venuto a prendere posizione a favore del piano di Dio: è venuto a darci la possibilità di riconoscere definitivamente qual è il nostro posto nell’universo e come dobbiamo prepararci, comunque, ad affrontare la lotta. Gesù soffrì e morì per le conseguenze di questa lotta, perché non venne riconosciuto il suo messaggio, che si tentò inutilmente di calpestare e soffocare. Anche la nostra vita, la vita cristiana, è un combattimento, se vogliamo testimoniare Dio di fronte al mondo intero, ma anche di fronte a noi stessi. Definendo l’esistenza cristiana come “combattimento spirituale”, si vogliono indicare in particolare due caratteristiche: il combattimento è un impegno inevitabile e pericoloso. È inevitabile, perché non possiamo esimerci da questa lotta, dobbiamo prendere posizione.
È pericoloso, perché siamo immersi in una mentalità alternativa, a volte opposta, a volte indifferente, che ci disorienta, facendoci perdere il vero senso dell’esistenza. Questo combattimento, come ogni lotta, è un impegno totalizzante. Non potremo risparmiarci, ne saremo travolti; la nostra felicità e la piena realizzazione della nostra esistenza nasceranno dall’esserci ingaggiati fino in fondo in questo combattimento, come Gesù: per testimoniare la santità di Dio, la sua grandezza e la sua gloria di fronte al mondo, per fare della nostra vita un servizio alla Verità. In queste due caratteristiche si delinea la serietà dell’esistenza cristiana, ed è a questa serietà che Paolo si richiama scrivendo alla comunità degli Efesini, così elevata nella contemplazione, ma probabilmente senza un adeguato armamentario per la lotta. San Paolo dice: siete di fronte a un’impresa grandiosa, formidabile, urgente, un’avventura alla quale non si può sfuggire: testimoniare la Verità di Dio nel mondo. Questo compito è superiore alle vostre forze, ma possiamo vestire l’armatura che ci viene da Dio per affrontare con coraggio questa lotta.
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