«Il terzo giorno», scrive Giovanni: cioè l’ultimo giorno della prima settimana pubblica di Gesù, dopo il battesimo nel Giordano e dopo la chiamata dei primi discepoli; «il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea, e c'era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: "Non hanno vino". E Gesù le rispose: "Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora". Sua madre disse ai servitori: "Fate quello che Lui vi dirà". Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: "Riempite d'acqua le anfore"; e le riempirono fino all'orlo. Disse loro di nuovo: "Ora prendetene, e portatene a colui che dirige il banchetto". Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l'acqua – chiamò lo sposo e gli disse: "Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora". Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui».
Enrico Dal Covolo:
a. Osserviamo anzitutto il contesto del brano. Siamo nella prima settimana della vita pubblica di Gesù: una settimana che anticipa robustamente la rivelazione del suo mistero profondo. Gesù manifesta la sua gloria, quella che gli viene dal Padre: egli infatti non è un uomo come tutti gli altri, ma è il Figlio di Dio. Proprio questo è il suo mistero, che interpella la nostra fede. Certamente la prima settimana di Gesù richiama le altre due, a cui Giovanni allude esplicitamente nel gran finale del suo Vangelo: la settimana della passione, e poi la settimana della gloria, dopo la risurrezione. Al centro di esse si erge la croce di Gesù. La croce, per Giovanni, è la suprema manifestazione della gloria del Figlio di Dio: «Io», dichiara solennemente Gesù, ormai alla vigilia della sua passione, «quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (12,32). Ma la croce è anche l'ora nella quale si condensano le tenebre di questo mondo. Vediamo così il movimento caratteristico del Vangelo di Giovanni. A mano a mano che Gesù si manifesta qual è, cioè il Figlio di Dio, il mondo si chiude a lui. E' il dramma della luce e della tenebre. E’ la provocazione della fede. Questo contesto, così ricco di spunti per la meditazione, ci fa capire che il brano delle nozze di Cana va letto come un'anticipazione della «grande ora» di Gesù, quella della sua morte e risurrezione.
b. Cerchiamo adesso di ricostruire il fatto, così come dovette capitare. Gesù si trova ancora in Galilea, nel nord della Palestina, dove ha raccolto il manipolo dei suoi apostoli. In un villaggio della regione, a Cana, si svolge una festa di nozze, a cui egli è invitato con i suoi discepoli. Una festa di nozze poteva durare diversi giorni, anche una settimana. E' probabile che gli sposi novelli avessero fatto male i loro calcoli: forse si erano lasciati prendere la mano, e avevano invitato troppi ospiti, rispetto alle loro possibilità. Fatto sta che sul più bello della festa essi rimangono del tutto senza vino. La situazione è tragica, anche perché il vino era come il simbolo dell'alleanza nuziale. Senza vino, il matrimonio nasce sotto una cattiva stella. Maria, una delle persone invitate alle nozze, da brava donna di casa si accorge dell'imbarazzo generale, e chiede a Gesù di intervenire. Così Gesù – quasi «costretto» da sua madre – compie il primo dei miracoli. Notate: non un miracolo qualsiasi. E' piuttosto il prototipo, il modello di tutti gli altri «segni» miracolosi. Quali sono questi segni? Sono i segni della rivelazione di Gesù come Figlio di Dio; sono i segni del suo mistero, della sua gloria, e dovrebbero condurre alla fede. Qui, infatti, i discepoli credono in Lui (cioè credono che egli è il Figlio di Dio). Altrove (per esempio di fronte al «segno» di Lazzaro) Giovanni allude anche alla reazione del mondo ostile, dei sommi sacerdoti e dei farisei, che proprio a seguito di questi segni decidono di uccidere Gesù. Ieri come oggi, il dramma della luce e delle tenebre avanza nella storia.
c. Finalmente sottolineiamo alcune parole, alcune espressioni più significative. Anzitutto, il tema dell'ora. «Non è ancora giunta la mia ora», risponde Gesù a sua madre. Quasi a dire: Non è ancora giunto il momento della mia rivelazione. Ma qual è l'ora di Gesù? L'abbiamo già accennato. E' il suo innalzamento, la sua morte-risurrezione. Iniziando il racconto dell'ultima cena, l'evangelista scrive: «Prima della festa di pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (13,1). Ecco l'ora di Gesù: è l'ora dell'innalzamento sulla croce. Solo in quest’ora si manifestano pienamente il suo mistero e la sua gloria. Così appare chiarissimo che il «segno di Cana» rappresenta un anticipo dell'ora suprema. Gesù ne è ben consapevole, e questo spiega la sua resistenza iniziale di fronte alla richiesta di Maria. Di fatto, molti elementi del racconto creano tutta una serie di corrispondenze con l'ora della croce (19,25-37). In particolare, incontriamo Maria: è presente a Cana, ed è presente nell'ora di Gesù, ai piedi della sua croce. Là, come qui, è chiamata «donna». Per Giovanni, Maria è la figura del discepolo fedele e il modello del credente. E attraverso i secoli risuona il suo invito, che diventa la «parola d'ordine» consegnata al discepolo di ogni tempo: «Fate quello che Lui vi dirà».
Per la preghiera e per la vita - E che cosa ci dice oggi Gesù, a duemila anni di distanza? Ce lo chiediamo con una certa impazienza, mentre saliamo gli ultimi due gradini della lectio tradizionale, che riguardano la preghiera e la conversione della vita. Anzitutto Gesù ci invita a conoscerlo di più, ad amarlo, a imitarlo. Ci invita a essere saldi nella fede, radicati in Lui, suoi testimoni nel mondo. Ci dice di mettere Lui e il suo progetto di vita a fondamento della nostra esistenza; di buttare la vita, di donarla per gli altri fino allo scandalo della croce, perché questa è la gloria, questa è l’unica via di risurrezione. Le altre strade non portano proprio alla risurrezione. Ed è inutile poi lamentarsi. I falsi valori ci ingannano sempre. Così la parola appassionata di Maria (Fate quello che Lui vi dirà) ci fa puntare decisamente a Gesù come risposta ultima alle nostre attese e ai nostri problemi, ieri, oggi, sempre. E questo non da un punto di vista teorico, astratto, bensì dal punto di vista di un preciso impegno pratico, esistenziale. Il traguardo a cui puntare è l’esperienza di una vita intesa come amore senza limiti, che si dona fino a perdere tutto, e che – nell’ora precisa del dono supremo – rivela il suo senso più pieno. La vita donata lascia vuota la tomba, vince la morte e vive per sempre. Chi spreca la sua vita per gli altri, la ritrova in pieno… Non c’è nessun masochismo in tutto questo. Neppure c’è amore della croce, o del dolore, o del sacrificio per se stesso. C’è soltanto l’adesione di fede alla vita di Gesù – l’Uomo che indica all’uomo il vero volto dell’uomo, proprio perché non è soltanto un uomo –. Talvolta la croce ci fa paura, perché sembra essere la negazione della vita. In realtà è proprio vero il contrario! La croce è il supremo sì di Dio all’uomo; è l’espressione massima del suo amore per noi; è la cattedra dell’amore; è la sorgente della vita che vince la morte. E subito mi torna alla memoria Sabatino, un ragazzo di vent’anni, che ho incontrato molti anni fa, da giovane prete. Sabatino era un ragazzo come tanti altri. Faccio un po’ di fatica a ricordarne il volto. Eppure, era un ragazzo santo. Aveva lasciato la sua casa, per andare a vivere con i barboni, i poveracci, gli emarginati che si danno ritrovo vicino alla Stazione Centrale di Milano. Qui un frate camilliano, fratel Ettore, aveva requisito per loro uno stanzone, una specie di tunnel dentro alla stazione. Sabatino aveva deciso di vivere con loro, per servirli. Gli fu fatale un acquazzone d’agosto, quando, sotto la pioggia, andava a cercare i suoi barboni. Poco prima che la polmonite lo uccidesse, alla Clinica del Lavoro di Milano, un biglietto: «Se esco di qui, vi racconto tutto… Come si muore, e poi ci si trova risorti. Saluto tutti. Sabatino». E ancora ricordo… Sabatino mi raccontò quella prima volta, in cui s’era messo a lavare i piedi purulenti di un barbone, ed era proprio un venerdì santo. Mi disse che aveva provato la mistica certezza di stringere tra le proprie mani i piedi feriti di Gesù. «E’ stata un’esperienza unica», confessava, «e rimarrà per sempre indimenticabile». Al funerale, dove nessun barbone volle mancare, l’Arcivescovo Martini spiegò finalmente il segreto di Sabatino. «Sabatino viveva dell’Eucaristia», disse; «aveva fatto suo il progetto di vita di Gesù, cioè il pane spezzato e il vino versato. Sabatino portava impresso nel suo cuore Cristo crocifisso».
Ma che cosa significa per me portare «impresso nel cuore» il segno della croce? Che cosa significa questo nel concreto della mia vita? Che cosa significa per me rimanere saldo nella fede? Vuol dire precisamente questo: Fate quello che Lui vi dirà… Alla fine di tutto, la celebrazione di queste parole nella nostra preghiera e nella nostra vita impone il discernimento e la conversione, e ci invita – come faremo in questi giorni – a passare attraverso i segni sacramentali della Chiesa: la Confessione, l’Eucaristia…
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