Santissima Trinità - Anno A
In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui (...)».
Ermes Ronchi:
La Trinità: un dogma che può sembrare lontano e non toccare la vita. Invece è rivelazione del segreto del vivere, della sapienza sulla vita, sulla morte, sull'amore, e mi dice: in principio a tutto è il legame.
Un solo Dio in tre persone: Dio non è in se stesso solitudine ma comunione, amore, reciprocità, scambio, incontro, famiglia, festa.
L'uomo è creato a immagine della Trinità. E la relazione è il cuore dell'essenza di Dio e dell'uomo. Ecco perché la solitudine mi pesa e mi fa paura, perché è contro la mia natura. Ecco perché quando amo o trovo amicizia sto così bene, perché è secondo la mia vocazione.
In principio a tutto sta un legame d'amore, che il Vangelo annuncia: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio». Nel Vangelo il verbo amare si traduce sempre con un altro verbo concreto, pratico, forte: il verbo dare. Amare equivale a dare, il verbo delle mani che offrono. Dio ha tanto amato il mondo. Non solo l'uomo, è il mondo che è amato, la terra e gli animali e le piante e la creazione intera. E se Lui ha amato, anch'io devo amare questa terra, i suoi spazi, i suoi figli, il suo verde, i suoi fiori, la sua bellezza. Terra amata. La festa della Trinità è specchio del mio cuore profondo e del senso ultimo dell'universo. Incamminato verso un Padre che è la fonte della vita, verso un Figlio che mi innamora, verso uno Spirito che accende di comunione le mie solitudini, io mi sento piccolo e tuttavia abbracciato dal mistero. Piccolo ma abbracciato, come un bambino. Abbracciato dentro un vento in cui naviga l'intero creato e che ha nome comunione.
Io:
- Finito il tempo di Pasqua la liturgia ci invita ad evidenziare quelli che sono i fondamenti della nostra fede, a partire dal primo: Dio è Trinità, è Uno e insieme Trino.
- Sembra una questione da riservare ai teologi (se non ai matematici) che poco ha a che vedere con la nostra vita quotidiana: cosa ci cambia se Dio è Uno o Trino?
- Eppure la nostra fede si alimenta, per fortuna, di gesti che fanno continuamente riferimento a questa realtà, e tra questi il più ricorrente è senza dubbio il SEGNO DELLA CROCE: è nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo che abbiamo iniziato questa (e ogni) celebrazione, così come, speriamo, nello stesso modo diamo inizio e fine alle nostre giornate, ad ogni momento di preghiera, ad ogni incontro con Signore, entrando in Chiesa o preparandoci a vivere qualcosa di importante.
- E’ solo un gesto scaramantico o di routine? Il rischio ovviamente c’è, ma d’altra parte la nostra fede richiede gesti esteriori che ci richiamino a realtà interiori, spirituali, e cosa c’è di più significativo di poter dire con quel gesto: Dio mio, aiutami a vivere questa giornata o questo evento nel tuo nome, con te accanto, come mia guida e mio riferimento.
- Oggi il nostro segno di croce è stato seguito dalla formula paolina che abbiamo ascoltato nella 2° lettura: la GRAZIA (ovvero il dono) del Signore nostro Gesù Cristo, l’AMORE di Dio Padre e la COMUNIONE dello Spirito Santo sia con tutti voi: abbiamo con S.Paolo dato una connotazione importante a ciascuna delle tre persone divine che sono tra loro distinte, ma talmente unite da formare una sola cosa.
- Ma prima di tornare a queste dimensioni teologiche e soprattutto alle conseguenze pratiche che possiamo trarne, vorrei chiarire una cosa: cosa c’entra la CROCE , uno strumento terribile di morte, con la TRINITA’?
- Indirettamente risponde Gesù stesso che, nel brano del Vangelo ascoltato, dice a Nicodemo (importante personaggio della gerarchia ebraica che si rivolge a Gesù di notte): “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito”. Chi ama veramente DONA all’amato ciò che ha di più prezioso: la sua stessa vita donata perché possa essere condivisa con l’amato. Dio acquisisce un volto umano, visibile e vicino a quello di ciascuno, in Gesù, e allo stesso tempo Gesù mostra il volto di Dio in quell’atto d’amore estremo che è il dono della sua vita.
- E aggiunge: non sono stato mandato nel mondo per condannarlo, ma per salvarlo, per dargli la forza e le indicazioni perché ritrovi la via giusta. Ma chi non crede si è auto-condannato: si è escluso da tutto ciò, vive senza Dio e così vive una vita prima di colui che può dare senso e gioia alla nostra vita.
- In tutto il Vangelo Gesù ci insegna a chiamare Dio Padre, a considerarlo come un genitore che ha a cuore la nostra felicità, ma ci svela la dimensione divina d’amore quando, amandoli fino alla fine, dona la sua vita e il suo Spirito per metterci in comunione col Padre.
- La croce è dunque il segno di questo amore estremo, di un amore che si dimostra più forte del peccato e della morte, ma un amore che è tale già all’origine e lo è sempre: da sempre e per sempre Dio è comunione, amore. Non è un Dio solitario, ma un Dio amante.
- Dio non solo ama veramente, ma è Amore in sé stesso, apertura e donazione di sé: l’amore non può essere solitario, non ammette solitudine, ma è apertura agli altri, ricerca e donazione per gli altri, l’amore è dinamismo che genera vita.
- La croce è un segno che ci richiama la dimensione verticale (dal Padre al Figlio) da non separare dalla dimensione orizzontale, quella dello Spirito Santo che è comunione, che guida la Chiesa , che ci spinge a riconoscerci fratelli per il fatto di essere figli dello stesso Padre.
- In una cultura profondamente monoteistica, che considera una bestemmia sacrilega l’idolatria, l’adorare altri dei, ecco che Gesù ci mostra con originalità e coraggio il volto di Dio: un Dio che è Padre, Padre suo e Padre nostro, un Dio che è, come rivela a Mosè, tornato sul monte per ristabilire quella comunione incrinata dall’idolatria del suo popolo (siamo appena dopo l’episodio del vitello d’oro) “misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore”.
- Dio cerca e crea comunione, relazione: crea il mondo per amarlo e nel mondo crea l’umanità come sua IMMAGINE, suo PATNER, capace di ricevere e ricambiare tale amore.
- Essere creati a immagine di Dio significa che per realizzarci, per trovare la nostra vera identità e quindi la nostra felicità, dobbiamo anche noi sperimentare lo stesso amore, relazione, comunione. Solo se ci lasciamo amare e da tale amore troviamo il motivo e la forza per amare a nostra volta gli altri, possiamo essere ciò che siamo.
- Che Dio sia Uno e Trino significa per noi tendere alla stessa Unità divina nel rispetto della differenza reciproca, nel riconoscimento che siamo unici e irripetibili, che abbiamo bisogno degli altri, non possiamo bastare a noi stessi.
- L’unità non è sinonimo di uniformità, ma frutto dell’incontro con l’unicità di ciascuno. Come cristiani siamo chiamati a ricercare e realizzare l’unità con tutti, compresi quelli che non credono o credono in un Dio che ha un volto diverso dal nostro, ma non per questo è in contraddizione col nostro.
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